23 febbraio 2022 12:00

Alla conclusione della Cop26, nel novembre 2021, il presidente del vertice Alok Sharma aveva lodato gli “eroici sforzi” dei paesi che avevano dimostrato di poter superare le loro differenze e sapersi unire per affrontare il cambiamento climatico, un risultato del quale, aveva detto “il mondo aveva finito per dubitare”.

A quanto pare il mondo aveva ragione di essere scettico.

Tre mesi dopo, una combinazione tossica d’intransigenza politica, crisi energetica e realtà economiche dettate dalla pandemia ha messo in dubbio i progressi fatti durante la Cop26. Se il 2021 è stato caratterizzato dall’ottimismo che i più grandi inquinatori fossero finalmente disposti a fissare ambiziosi obiettivi di azzeramento delle emissioni nette, il 2022 minaccia già di essere l’anno della marcia indietro globale.

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Dagli Stati Uniti alla Cina, passando per Europa, India e Giappone, i combustibili fossili stanno tornando alla ribalta, i titoli dell’energia pulita stanno subendo un duro colpo, e le prospettive d’accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabili sembrano cupe. Questo nonostante i costi delle energie rinnovabili siano scesi rapidamente, gli investimenti nelle tecnologie pulite stiano aumentando, e gli elettori di tutto il mondo chiedano un’azione più forte.

“Dovremo fare i conti con uno sforzo pluriennale che testerà la volontà politica d’imporre costose politiche di transizione”, ha dichiarato Bob McNally, presidente dell’azienda di consulenza Rapidan energy group di Washington ed ex funzionario della Casa Bianca. McNally ha accusato i governi di sbandierare una volontà solo di facciata d’intraprendere le necessarie azioni politiche, un atteggiamento di cui la crisi energetica ha dimostrato l’ipocrisia.

Il petrolio vive un momento di ottima salute, e si avvicina ai cento dollari al barile appena due anni dopo che il suo prezzo era crollato

Le emissioni sono aumentate nel 2021, mentre dovevano diminuire se il mondo voleva rimanere sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi climatici. L’interesse nazionale si è scontrato con quel genere di misure dolorose che, concordano gli scienziati, è necessario adottare per raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Ma già in questo inizio dell’anno, i venti contrari a un’azione aggressiva sul clima si sono rivelati potentissimi.

Il petrolio vive un momento di ottima salute, mentre l’economia mondiale si riprende dalla crisi provocata dalla pandemia, e si avvicina ai cento dollari al barile appena due anni dopo che il suo prezzo era crollato. La cosa sta rafforzando le finanze – e l’influenza – dei giganti dei combustibili fossili come l’Arabia Saudita e la Russia, e rinvigorando un settore che ha spostato la sua attenzione sulle energie pulite. La Exxon Mobil ha appena dato un voto di fiducia al settore dell’estrazione di petrolio di scisto statunitense, con piani di aumento della produzione del 25 per cento quest’anno nel bacino Permiano, situato tra il Texas e il New Mexico.

La depressione di John Kerry
E con i prezzi del gas che raggiungono cifre record, le aziende fornitrici di energie si sono rivolte al carbone, nonostante questo produca circa il doppio di anidride carbonica, secondo Kit Konolige, analista di Bloomberg Intelligence.

Anche il Regno Unito, il paese che ha ospitato la Cop26, rischia di fare passi indietro, mentre il primo ministro Boris Johnson è alle corde e alcuni esponenti del suo Partito conservatore remano contro il suo programma ambientale.

Non c’è da stupirsi che l’inviato degli Stati Uniti per il clima John Kerry sia apparso sempre più depresso, e abbia ripetutamente avvertito che il mondo sta rimanendo indietro. “Siamo nei guai”, ha detto Kerry durante un evento della camera di commercio degli Stati Uniti, a gennaio. “Non siamo sulla buona strada”.

Per molti, il punto culminante della Cop26 è stato l’accordo a sorpresa tra l’équipe di Kerry e i suoi colleghi cinesi per andare oltre la rivalità tra Stati Uniti e Cina, e aumentare congiuntamente gli sforzi climatici in questo decennio. Quell’accordo è ancora valido, ma entrambi i paesi hanno da allora fatto dietrofront in molti dei rispettivi impegni.

Gli Stati Uniti sono diventati il primo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto a gennaio, spodestando il Qatar nella classifica per il secondo mese consecutivo. Il consumo di carbone è aumentato, e la sua produzione è salita dell’8 per cento nel 2021 dopo anni di declino. Secondo l’Amministrazione per l’informazione energetica degli Stati Uniti, la produzione dovrebbe salire per tutto il 2023.

A Washington il presidente Joe Biden sta lottando per far approvare in senato la legge Build back better e i suoi principali provvedimenti climatici. Una proposta iniziale, che avrebbe dedicato circa 555 miliardi di dollari al clima e all’energia pulita, è crollata tra le obiezioni di tutti i senatori repubblicani e, fatto decisivo, del democratico Joe Manchin del West Virginia, uno stato ricco di carbone e gas.

Le sue disposizioni sul clima – compresi circa 355 miliardi di dollari in crediti d’imposta pluriennali per l’idrogeno, i veicoli elettrici e le energie rinnovabili – sono essenziali per soddisfare gli impegni degli Stati Uniti di ridurre le emissioni di gas serra tra il 50 e il 52 per cento entro il 2030, assunti ai sensi dell’Accordo di Parigi. Senza di esse, quell’impegno è in pericolo, secondo un’analisi del Rhodium group.

Lungi dall’assegnargli quel ruolo di leadership che Biden ha rivendicato per gli Stati Uniti, la cosa fa apparire il suo paese come in ritardo rispetto alla lotta climatica. Attuare le disposizioni chiave è necessario “per legittimarci diplomaticamente”, ha ammesso Kerry in un’intervista di gennaio. “La nostra credibilità sarà seriamente minata se non lo faremo”. I legislatori democratici sperano ancora di resuscitare i provvedimenti, anche se c’è poco tempo e le elezioni di metà novembre incombono. In questo momento Biden è sotto pressione per rispondere all’aumento dell’inflazione e soprattutto dei prezzi della benzina, che potrebbero pesare sulle sue possibilità di mantenere il controllo del congresso statunitense. Biden ha risposto facendo appello ai paesi dell’Opec+ affinché aumentino la produzione, chiedendo alle compagnie petrolifere nazionali di trivellare di più, e a vari paesi di unirsi agli Stati Uniti in un uso coordinato delle scorte di emergenza di greggio.

Le pressioni asiatiche
Il nuovo primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, è sottoposto a un’analoga pressione. A gennaio, nel tentativo di tenere sotto controllo i prezzi, il suo governo ha annunciato sussidi per le raffinerie di petrolio di un valore di circa tre centesimi di dollaro per ogni litro di benzina prodotto. In seguito, ha dichiarato di voler fare di più per mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi del petrolio. Stando ad alcuni resoconti starebbe considerando la possibilità di triplicare il volume delle sovvenzioni.

Dopo la crisi energetica della seconda metà del 2021, Pechino ha dovuto aumentare a livelli record produzione e importazioni di carbone

Tutte queste mosse sembrano convergere nel lasciare campo libero alla Cina, attualmente principale responsabile di emissioni inquinanti al mondo.
In diversi recenti incontri di alto livello, i funzionari cinesi hanno sottolineato l’importanza della sicurezza energetica oltre che degli sforzi di riduzione delle emissioni. Come ha scritto il Quotidiano del Popolo, l’organo di stampa del Partito comunista cinese, in un recente commento: “Dobbiamo tenere salda in mano la ciotola di riso dell’energia”.

Anche se i dirigenti cinesi hanno ripetutamente sottolineato la loro attività di costruzione d’impianti di energia solare, all’interno di una campagna per garantire il futuro energetico della Cina, la spinta deve ancora cambiare tangibilmente l’equilibrio delle fonti energetiche del paese. La quota cinese di carbone e gas nella produzione di energia era ancora al 71 per cento nel 2021, lo stesso volume del 2020.

Dopo la crisi energetica senza precedenti che ha colpito la Cina nella seconda metà del 2021, Pechino è stata costretta ad aumentare a livelli record sia la produzione sia le importazioni di carbone. In una sessione di studio collettiva del Politburo (il comitato permanente dell’ufficio politico del Partito comunista cinese) a gennaio, il presidente Xi Jinping ha detto che, pur diminuendo le emissioni, dovrebbe essere garantita la sicurezza della catena di approvvigionamento. E che le forniture di carbone dovrebbero essere garantite, pur facendo “crescere costantemente” la produzione di petrolio e gas.

“Il taglio delle emissioni non mira a frenare la produttività o ad azzerare le emissioni”, ha detto Xi, sottolineando che lo sviluppo economico e la transizione verde dovrebbero rafforzarsi a vicenda. All’inizio di febbraio, per illustrare la sua posizione, la Cina ha offerto alla sua vasta industria siderurgica altri cinque anni di tempo per tenere a freno le sue emissioni di gas serra.

Si tratta di un approccio condiviso altrove. Il ministro dell’energia sudafricano Gwede Mantashe ha detto ai capi delle aziende minerarie, il 1 febbraio, che il carbone sarà ancora usato per decenni e che affrettarsi a porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili del paese “ci costerà caro”.

La più grande azienda di estrazione di carbone dell’India, l’azienda statale Coal India, sta aumentando la produzione e il paese sta riducendo la sua dipendenza dalle importazioni. È una dimostrazione del modello di crescita economica dipendente dal carbone, usato a lungo dall’occidente, e dal quale l’India non si è ancora allontanata. Questo nonostante il primo ministro Narendra Modi avesse annunciato a Glasgow un obiettivo di emissioni zero nel 2070. L’India è il secondo più grande utilizzatore di carbone dopo la Cina, e secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia nel 2021 il carbone ha rappresentato il 74 per cento della sua produzione di energia, seguito dalle rinnovabili al 20 per cento.

Eppure queste quote sono destinate a cambiare, secondo alcuni piani ambiziosi per rafforzare la produzione di energie rinnovabili. I miliardari Mukesh Ambani e Gautam Adani hanno contribuito a spingere gli investimenti in energie alternative a un record di dieci miliardi di dollari nel 2021. Una cifra che impallidisce di fronte al nuovo piano d’energia pulita di Ambani, che si aggira sui 76 miliardi di dollari.

“Il mondo sta entrando in una nuova era energetica, che sarà profondamente dirompente”, ha detto Ambani quando ha svelato i suoi piani, che includono l’obiettivo di rendere la sua Reliance industries – tra i più grandi raffinatori di petrolio e produttori di plastica del mondo – a emissioni zero entro il 2035.

Il dibattito fermo nell’Ue
La crisi energetica ha senza dubbio gettato un’ombra sul dibattito, interno all’Unione europea, su come implementare il suo green deal, uno sforzo economico senza precedenti per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Molti governi temono che l’impennata dei prezzi possa minare il sostegno della popolazione alle riforme.

L’atmosfera politica non è aiutata dallo stallo dell’occidente con Mosca a proposito dell’Ucraina, una situazione che aumenta la minaccia d’interrompere le forniture di gas russo, e di alzare ulteriormente i prezzi. Per ora, comunque, i flussi sono intatti, anche se più volatili del solito.

I prezzi più alti dei combustibili fossili e delle emissioni possono aiutare l’economia relativa delle energie rinnovabili. I leader dell’Ue hanno in ogni caso già dato il loro sostegno al green deal. E con sondaggi che mostrano costantemente come il clima sia tra le maggiori preoccupazioni per gli elettori dell’Ue, la Commissione europea sta raddoppiando gli sforzi.

Parlando ai giornalisti il 22 gennaio, la commissaria europea per l’energia Kadri Simson ha detto che le tensioni geopolitiche stanno aggravando, nel breve termine, un insolito aumento dei prezzi dell’energia. “Ma siamo anche a un punto cruciale nel nostro sforzo a lungo termine per affrontare la crisi climatica e garantire una transizione energetica pulita e giusta”, ha detto. “L’unica soluzione duratura alla nostra dipendenza dai combustibili fossili e quindi alla volatilità dei prezzi dell’energia è completare la transizione verde”.

La Cina nel frattempo ha aggiunto una quantità record di energia solare nel 2021, ed è probabile che tocchi nuovi massimi nel 2022, sulla scia di una spinta nazionale all’incremento di installazioni di pannelli sui tetti e di una mastodontica costruzione d’impianti d’energia rinnovabile nei deserti del nord.

Negli Stati Uniti il settore privato sta investendo parecchio capitale, come conseguenza della volontà politica di attuare un’importante politica climatica. Al livello globale questi investimenti ammontavano a 755 miliardi di dollari nel 2021, secondo l’agenzia di analisi finanziaria ed energetica BloombergNef.

Guardando più a lungo termine, la tendenza verso l’energia pulita non appare indebolita. L’attuale turbolenza rafforza semmai l’idea che saranno sempre necessarie misure dolorose. Ma il costo dell’inazione è più elevato: dieci dei peggiori disastri climatici del 2021 sono costati all’economia globale 170 miliardi di dollari.

Ciò nonostante, ovunque regna l’incertezza in questo momento, ha detto Christy Goldfuss, ex funzionaria dell’amministrazione Obama e vicepresidente per la politica energetica e ambientale al Center for american progress di Washington. “Guardare alla situazione attuale ed essere preoccupati per il futuro è un atteggiamento sensato”, ha dichiarato.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Bloomberg News, con il contributo di Akshat Rathi, Will Wade, Sergio Chapa, Eric Roston e Ben Westcott.

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