A fine maggio è circolata molto la storia del presunto rapimento di Michael Valentino Teofrasto Carturan, un italiano di Rivoli, in Piemonte, che sostiene di essere stato sequestrato e torturato per settimane da tre persone che volevano rubare le sue criptovalute.
La sua versione, raccontata nella denuncia fatta alla polizia di New York, è grosso modo questa: Carturan arriva in città il 6 maggio e si sistema nel quartiere di Nolita, a Lower Manhattan, in un appartamento di otto camere da letto affittato a trentamila euro al mese da John Woeltz, un investitore di criptovalute di 37 anni originario del Kentucky; poco dopo Woeltz e un suo complice, William Duplessie, gli rubano i dispositivi elettronici e il passaporto, e gli chiedono di rivelare la password del suo conto bitcoin per poter prendere le sue criptovalute; Carturan si rifiuta di farlo e i due uomini lo prendono in ostaggio, con la complicità di una terza persona, l’italiana Beatrice Folchi; lo immobilizzano a una sedia e lo torturano per settimane, con percosse, scosse con cavi elettrici e minacce con una pistola puntata alla tempia; lo portano in cima al tetto dell’edificio e lo tengono sospeso oltre il cornicione; arrivano a dirgli che sono disposti a uccidere i suoi familiari se non dovesse dare le password; la mattina del 23 maggio Carturan riesce a liberarsi e corre a piedi nudi verso un vigile per raccontargli quello che gli è successo.
Nella casa la polizia avrebbe trovato delle foto Polaroid che mostrano l’uomo legato e aggredito, e anche una pistola e diversi altri oggetti che sarebbero stati usati per la tortura. Woeltz e Duplessie sono stati arrestati e accusati di sequestro, un reato che nello stato di New York è punibile con una pena dai 25 anni all’ergastolo. Sono accusati anche di aggressione, sequestro di persona e detenzione illegale di arma da fuoco. Folchi è stata inizialmente accusata dalla polizia di sequestro di persona e sequestro a scopo di estorsione, ma poco dopo è stata rilasciata e il procedimento a suo carico è stato rinviato.
Nel frattempo però sono emerse informazioni che sembrano raccontare una storia un po’ diversa da quella riferita da Carturan. Il sito Tmz ha pubblicato un breve video girato nella casa, in cui l’italiano è ripreso mentre cucina crack con una friggitrice ad aria e sembra in sintonia con i presunti sequestratori.
Per quanto surreale, questa vicenda è il segno di un problema che sta diventando abbastanza comune, cioè le aggressioni e i rapimenti contro operatori delle criptovalute e le loro famiglie a fini di estorsione, non solo negli Stati Uniti. Nei giorni del presunto sequestro di Carturan, a Parigi una donna di 34 anni, figlia dall’amministratore delegato di Paymium, una piattaforma di scambio di criptovalute, è stata aggredita da tre uomini incappucciati che hanno cercato di rapirla con il figlio. L’intervento del marito della donna e di alcuni residenti del quartiere hanno costretto i rapitori a desistere e a mettersi in fuga. Mesi prima, sempre in Francia, David Balland, cofondatore della piattaforma Ledger, era stato sequestrato con la compagna. I rapitori gli hanno amputato un dito per dimostrare la serietà della minaccia. Il riscatto, richiesto in tether (una criptovaluta stablecoin), è stato in parte recuperato. Altri imprenditori e loro familiari, come il padre dell’influencer Teufeurs, sono stati rapiti in cambio di milioni in criptovalute.
Può sembrare controintuitivo che in un mondo così volatile i tentativi di furto avvengano con metodi tanto primitivi, in realtà è la conseguenza inevitabile della crescita esponenziale di settore non regolamentato: tantissime persone si sono arricchite molto rapidamente e, non potendo depositare le loro criptovalute in banca, ricorrono a metodi sempre più avanzati per evitare che i loro dispositivi vengano hackerati, e sempre più spesso decidono di mettere offline i loro portafogli digitali e affidarsi a dispositivi fisici, rendendo più difficile il furto da remoto. Intanto una serie di grandi fughe di dati, come quelle recenti che hanno riguardato le piattaforme Coinbase, Ledger e Kroll, fanno crescere l’allarme tra chi possiede criptovalute e rendono abbastanza facile per i potenziali sequestratori procurarsi le informazioni per localizzare fisicamente le vittime.
Il bisogno di protezione degli investitori di criptovalute ha contribuito a far nascere una nuova figura professionale, quella dei consulenti per la privacy estrema, persone che aiutano i super ricchi a sparire dai radar. Qualche settimana fa l’Atlantic ha dedicato un articolo ad Alec Harris, amministratore delegato della HavenX, una delle principali aziende del settore. I prezzi partono da qualche migliaia di dollari e arrivano a decine di migliaia di dollari al mese, e comprendono servizi che vanno dal monitoraggio continuo dei profili online dei clienti alle operazioni di protezione fisica sul campo fino a una serie di escamotage cervellotici per coprire ogni possibile traccia digitale: indirizzi camuffati, decine di numeri di telefono “usa e getta”, acquisti effettuati con carte virtuali anonime, dispositivi custoditi in sacche schermate, case intestate a trust con nomi fittizi.
L’articolo fa capire che oggi, nell’epoca del riconoscimento facciale, delle fughe di dati e dell’intelligenza artificiale, la privacy è diventata un bene di lusso. Chi non è molto ricco o non ha grandi conoscenze tecniche per difendersi dalla sorveglianza è costantemente vulnerabile, e lo è ancora di più se al potere ci sono persone disposte a usare le informazioni per punire gruppi o individui considerati ostili. E questo ci porta all’amministrazione Trump.
Negli ultimi mesi l’apparato federale statunitense ha avviato un processo senza precedenti di centralizzazione e connessione dei dati personali in possesso di decine di agenzie governative. Finora i database del fisco, del dipartimento della sicurezza interna, della previdenza sociale, dell’Fbi e di altre agenzie erano tenuti separati per proteggere le informazioni sensibili: dati fiscali, spostamenti geografici, registri biometrici, cartelle cliniche, redditi, licenze professionali, denunce. Ma sotto l’impulso del dipartimento per l’efficienza governativa (Doge), guidato da Elon Musk, questi confini sono stati progressivamente abbattuti (un processo che sembra destinato a continuare anche dopo il brusco allontanamento di Musk dal governo). E intanto i progressi dell’intelligenza artificiale potrebbero consentire a breve di trasformare una massa ingestibile di dati e metadati in qualcosa di facilmente ricercabile e politicamente strumentalizzabile, oltre che redditizio per le aziende tecnologiche.
A marzo Trump ha firmato un ordine esecutivo per eliminare quella separazione e facilitare l’accesso trasversale ai dati. La conseguenza è un’accumulazione pericolosa di potere informativo, che potrebbe aprire la strada a scenari inquietanti. Per esempio, hanno spiegato Ian Bogost e Charlie Warzel, “un’amministrazione potrebbe incrociare dati fiscali e spostamenti geografici per intimidire attivisti, identificando chi ha fatto donazioni a ong sgradite o è andato in determinate aree ‘sensibili’. Oppure potrebbe colpire economicamente chi ha problemi finanziari o psichiatrici, negando licenze professionali, congelando conti, revocando benefici, o addirittura usando queste informazioni come leva per il ricatto politico”.
Come al solito i primi a essere colpiti saranno gli immigrati. All’inizio di aprile il Washington Post ha scritto che alcune agenzie governative stanno combinando dati che normalmente sono isolati, in modo da facilitare l’identificazione degli immigrati senza documenti. Secondo Wired, il Doge ha ottenuto l’accesso a dati sensibili sugli immigrati e sui lavoratori agricoli in possesso del dipartimento del lavoro e sembra interessato a trovare modi per “incrociare i dati e sfruttare l’accesso ai sistemi sensibili della previdenza sociale per impedire agli immigrati di partecipare alla vita economica”, secondo Wired.
Se fino a poco tempo fa nei paesi occidentali eravamo preoccupati soprattutto di come le aziende tecnologiche accumulano una gran massa dei nostri dati per fare profitti, la deriva degli Stati Uniti mostra che si rischia di andare in una direzione più inquietante, spiegano Warzel e Bogost: uno scenario distopico in cui i dati governativi e quelli privati si fondono in un grande database gestito dall’intelligenza artificiale, e in cui la privacy è cancellata e le libertà civili sono represse.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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