01 giugno 2019 09:58

Mangiare da soli è diventato un aspetto caratteristico della vita contemporanea: il pendolare che fa colazione, le persone di una stessa famiglia con orari inconciliabili, la vedova che riceve poche visite. Quasi un terzo degli adulti britannici mangia da solo “la maggior parte delle volte o sempre”, secondo l’ultimo indice del benessere (Well being index) compilato con dati raccolti su oltre ottomila persone da Oxford Economics e dal Centro nazionale per la ricerca sociale per conto della catena di supermercati Sainsbury’s. Analogamente, uno studio della società di ricerca di mercato Mintel su duemila consumatori britannici di 16 anni o più ha rilevato che uno su tre “consuma regolarmente tutti i pasti da solo”. A Londra il dato arriva a quasi metà delle persone.

Buona parte di questo solitario masticare avviene a porte chiuse. Le case con un solo abitante sono il secondo tipo di abitazione più diffusa nel Regno Unito e secondo l’Ufficio nazionale di statistica vive sola una percentuale record del 35 per cento di persone con più di 16 anni. È per questo che, nel 2018, il gruppo di grande distribuzione Tesco ha annunciato l’arrivo sugli scaffali di quattrocento prodotti monoporzione, tra cui hamburger, bistecche e verdure.

Siamo diventati anche meno imbarazzati all’idea di mangiare da soli al ristorante. Il sito di prenotazioni OpenTable ha recentemente dichiarato che le prenotazioni per una persona sono aumentate, in tutto il Regno Unito, del 160 per cento dal 2014. Posti a sedere al bancone e tavoli condivisi sono sempre più frequenti nei ristoranti.

Solitudine e obesità
Per quanto sia liberatoria la diminuzione dei pregiudizi associati all’andare al ristorante da soli e alle sue relative manifestazioni, le nostre nuove abitudini alimentari ci spingono in un territorio inesplorato. Fino a oggi mangiare in gruppi di più persone è stato un rituale umano universale. Non è solo pratico (molte mani rendono meno gravoso il lavoro, e riducono anche la nostra vulnerabilità nei confronti dei predatori) ma i pasti sono anche stati usati, tradizionalmente, per soddisfare il nostro bisogno fondamentale di metterci in relazione con gli altri.

Non credo di fare un salto nel buio collegando il mangiare da soli con l’attuale epidemia di solitudine. Ci si potrebbe poi chiedere se sia solo una coincidenza il fatto che la nuova fase stia andando a braccetto con l’innalzamento dei livelli d’obesità.

Alla fine chi scrive ricette ha dovuto rispondere alla necessità di pasti da preparare in pochi minuti

Su scala molto più ridotta, decidere cosa mangiare per cena dopo una lunga giornata può diventare una sfida. “Mangiare da soli non ha solo cambiato profondamente come e cosa mangiamo ma anche il modo in cui parliamo a noi stessi di cibo”, spiega Bee Wilson, autrice del libro The way we eat now (Il modo in cui mangiamo oggi). “C’è sempre discrepanza tra come dovremmo mangiare e come effettivamente mangiamo”. I pasti condivisi con familiari di diverse generazioni, tipici delle pubblicità televisive, sono presentati come un ideale, spiega, ma quanti di noi mangiano così nella vita reale, a parte Natale?

Il numero di riferimento di commensali indicato dai libri di ricette è ancora compreso tra quattro e sei, ma alla fine chi scrive di cucina ha dovuto rispondere alla necessità di pasti da preparare in pochi minuti. Molti di noi oggi hanno problemi di tempo, e quando si cucina per una persona bisogna poi anche lavare i piatti. Nel 2010 Jamie Oliver ha scritto un libro di ricette da 30 minuti, per poi sostituirlo nel 2012 con un libro di ricette da 15 minuti. Alcune delle sue ricette sono addirittura scese sotto il tetto dei dieci minuti. Per non parlare della sempre più popolare torta al cacao in tazza, monoporzione e pronta in cinque minuti di forno a microonde, con il suo fascino rassicurante e studentesco.

Tavole da millennial
I pasti pronti sono sempre più rivolti alle persone che vivono sole ma, “come accade per ogni forma di alimentazione, esiste probabilmente un’enorme diversità di modi in cui le persone mangiano quando sono sole”, dice Wilson. Uno dei modi in cui le ultime generazioni stanno “trovando la quadratura del cerchio per quanto riguarda il mangiare da soli, godendosi il cibo ma senza diventare schiavi della cucina, è la crescita del meal prepping”, spiega. Meal prep non significa semplicemente “preparare pasti”, ma è anche l’hashtag di una delle ultime mode di Instagram (dieci milioni di post, e in continua crescita), che si riferisce a un genere di cucina sana al limite del disturbo nevrotico. “Si tratta di un fenomeno imponente”, continua Wilson. “Moltissimi millennial con cui parlo s’ispirano al libro The green roasting tin (La teglia da forno verde): buttano un sacco di verdure e spezie su una teglia, ne cucinano una enorme quantità, e poi la dividono in porzioni che dispongono in vari contenitori di plastica”.

I cosiddetti millennial si prendono delle pause pranzo più brevi e si affidano maggiormente al cibo da prendere e portare via

Altri cuochi solitari meno organizzati (non abbastanza ricchi da ordinare o comprare pasti pronti ogni sera) si affidano sempre di più a quella che nella mia famiglia chiamiamo “cena da spizzicare”, che consiste più nell’assemblare gli avanzi e i condimenti che non nel cucinare davvero. Wilson sospetta che il boom di salse come l’hummus e il guacamole possa essere, almeno in parte, riconducibile alle persone che mangiano da sole. “Cose del genere sono facilissime da consumare per chi contemporaneamente va di fretta e mangia da solo”, spiega. “È una combinazione tra due cose: l’abitudine di pensare che non vale la pena cucinare solo per sé e la comodità”.

Esiste un altro fattore che spiega la crescita del mangiare da soli. “In questo mondo fatto di comodità”, dice Edward Bergen, analista globale di cibo e bevande presso la Mintel, “abbiamo rilevato che si mangia sempre più rapidamente. Soprattutto nel Regno Unito i consumatori dedicano sempre meno tempo, da un anno all’altro, ai pasti”. La realtà, continua Bergen, è che siamo un paese di persone che fanno spuntini, e dove il 37 per cento della popolazione sgranocchia qualcosa invece di fare un pasto normale almeno una volta alla settimana. Questo vale soprattutto per i millennial, che si prendono delle pause pranzo più brevi e si affidano maggiormente al cibo da portare via (un mercato in piena espansione), che si tratti di indigesti prodotti dolciari, zuppe in scatola o salutari panini vegetariani.

Una scelta di consumo
Il bello del mangiare in solitudine sta nella libertà di gustare i propri piaceri proibiti senza subire giudizi. L’autrice del New Yorker Rachel Syme ha recentemente avviato un mastodontico thread-confessione su Twitter, ammettendo che quando lavora a casa da sola si concede “una barbabietola sottaceto inserita in un miniformaggio Babybel tagliato in due, il tutto mangiato come un microscopico panino”. Chi le ha risposto ha condiviso il proprio amore per cose come l’insalata di tonno mescolata con patatine o il grasso della pancetta rosolata.

Mentre il settore alimentare e quello alberghiero gareggiano per soddisfare i commensali solitari, questa moda è sempre più spesso presentata come una scelta deliberata del consumatore. Secondo Bergen “tra le persone che spesso consumano pasti da sole, due terzi sostengono che il momento dei pasti è un’ottima occasione per trascorrere dei bei momenti per conto proprio”. In questi tempi densi d’impegni e con confini labili tra il lavoro e lo svago, il tempo passato in solitudine è certamente apprezzato. Tuttavia, come rivela il rapporto su cibo e bevande 2017-2018 della catena di supermercati Waitrose, più che concedersi il lusso dello stare in compagnia di se stessi e guardare passare il mondo, molti (il 23 per cento delle persone intervistate), quando mangiano fuori, semmai sono in compagnia del telefono.

Jonathan Knowles, Getty Images

L’ascesa della “tv del cibo” sintetizza in maniera inquietante questa disconnessione. Noto in passato con il suo nome originale coreano di mukbang, il fenomeno è diventato un oggetto di studio. “Le persone guardano video di altre persone che mangiano, mentre a loro volta mangiano qualcosa di completamente diverso”, dice Wilson. “È molto diffuso negli Stati Uniti e anche nel Regno Unito sta prendendo piede”. Di solito le presentatrici sono donne giovani e belle che si mostrano sul web mentre mangiano quantità improbabili di cibo e discutono in maniera insensata di quanto sia delizioso. “È un modo per avere qualcuno che ci tenga compagnia in un modo che desideriamo”, sostiene Wilson. “E indirettamente guardare qualcuno che consuma un pasto da seimila calorie mentre noi stiamo mangiando una pizza da soli a casa ci fa stare meglio”.

Come ci si sente quando si mangia da soli può dipendere dal fatto che si tratti o meno di una scelta. Bergen è una persona estroversa e dice: “Non mi piace mangiare da solo, adoro stare con gli altri”. Io, invece, sono un’introversa, lavoro da casa e ho dei figli piccoli. Una delle cose che mi piace di più del viaggiare sola è andare a pranzo o a cena fuori senza nessuno.

Basso benessere
Dalla ricerca The Big Lunch, effettuata dall’iniziativa di comunità Eden project, è emerso che, in generale, le persone non mangiano da sole per scelta, ma casomai a causa di “vite piene e orari di lavoro frenetici”. La cosa, inoltre, non ci rende felici. Secondo l’Indice del benessere, dopo i disturbi mentali mangiare da soli è l’attività che più influenza negativamente i livelli di benessere dichiarati dalle persone.

Bergen sostiene che il numero di pasti consumati da soli è più basso “per le persone che vivono in famiglie con bambini, ma non abbastanza basso. Spesso un genitore va a prendere i bambini a scuola, cucina per loro – magari mangiando a sua volta – poi il secondo genitore torna a casa e cena più tardi”. I pasti solitari sono diffusi, spiega, tra le persone di età compresa tra i 16 e i 24 anni, ma soprattutto tra quelle di 65 anni o più, visto che circa la metà delle persone di oltre 75 anni vive sola. Il centro di ricerca sulla dieta e le attività fisiche dell’università di Cambridge ha scoperto che le persone di oltre 50 anni che vivono sole consumano ogni giorno un numero di “prodotti vegetali” 2,3 volte più basso. Questi dati sono stati ricavati da un campione di 25mila persone di oltre 40 anni, la cui dieta e la cui salute sono state analizzate a partire dal 1993. Ha anche evidenziato che vedovi e vedove, qualora vivano in compagnia di altre persone, consumano una quantità di verdure pari a quelle che avrebbero mangiato se avessero ancora vissuto con il coniuge o partner.

Uno studio sudcoreano ha evidenziato che il pasto solitario fa aumentare l’obesità negli uomini

Ma se mangiare da soli può portare a una dieta meno salutare e meno diversificata, questo non determina necessariamente una differenza per quanto riguarda la salubrità di un pasto, secondo Mandy Saven di Stylus, un’azienda che analizza le tendenze dei consumatori. “Le decisioni legate alla salute sono molto più complesse”, sostiene. “Scegliamo il nostro cibo in base a un sacco di fattori, per esempio cos’altro abbiamo mangiato quel giorno, un determinato piatto consigliato da un amico fidato, o come ci sentiamo emotivamente in quel momento”.

Quando mangiamo da soli tendiamo ad avere un maggiore controllo del cibo. Lo psicologo statunitense John de Castro ha guidato una serie di studi che hanno evidenziato come mangiare in compagnia ci spinga a mangiare di più. De Castro ha scoperto che più la compagnia è numerosa, più mangiamo. In una cena per due, mangiamo circa il 35 per cento in più di quanto faremmo da soli, una quantità che sale al 75 per cento in un pasto in quattro, e che quasi raddoppia in un tavolo da sette.

Le difficoltà della dieta
Ne consegue che per quanti cercano attivamente di perdere peso, l’interruzione della dieta è più probabile quando si mangia in compagnia, come dimostrato recentemente dai ricercatori dell’Università di Pittsburgh. Una ricerca presentata all’Associazione dei cardiologi statunitensi suggerisce che le persone a dieta hanno il 60 per cento di possibilità d’interrompere il loro regime alimentare quando mangiano con altre persone. “Nessuno capisce il perché di questa facilitazione sociale dell’assunzione di cibo”, spiega Suzanne Higgs, docente di psicologia dell’appetito all’Università di Birmingham. “L’altra cosa che non capiamo è quindi se il mangiare in gruppo possa o meno contribuire all’aumento dell’assunzione di calorie e all’aumento di peso nel corso del tempo”. La sua équipe sta attualmente lavorando per capire se compensiamo altrove, nella nostra assunzione di cibo quotidiana, gli eccessi di cibo dei pasti in compagnia.

Ma uno studio sudcoreano del 2017, generalmente considerato una cattiva notizia per chi mangia da solo, sembra contraddire l’idea diffusa che consumiamo meno quando siamo da soli. Ha evidenziato che, per gli uomini, mangiare regolarmente da soli aumenta del 45 per cento il rischio di obesità. Come in Giappone, dove si può mangiare in cubicoli nei quali il ramen viene servito tramite un passavivande che evita il contatto visivo, la Corea del Sud ha portato il mangiare fuori a un altro livello, creando un termine speciale per definire la cosa, honbap, che mescola le parole coreane che significano “da solo” e “riso”. De Castro ha una spiegazione per questa contraddizione. “Abbiamo scoperto che le persone obese tendono a eccedere nel consumo di cibo non tanto a casa, ma piuttosto fuori. Nello studio coreano sono analizzati uomini soli, che probabilmente mangiano spesso fuori e, per questo motivo, troppo”.

Un altro evidente tranello del mangiare da soli risiede nel sostituire la compagnia delle persone con quella di telefoni o tv. “Il mangiare di fronte alla televisione è spesso associato a un’assunzione di cibo maggiore di quella che si consuma quando ci si siede in assenza di altre distrazioni”, sostiene Higgs. Non solo ingurgitiamo più cibo quando fissiamo uno schermo, ma tendiamo decisamente anche a riprenderne più spesso.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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