C’è stato un momento del capodanno cinese che mi è apparso come la summa degli ultimi mesi a Pechino. Ero salito con alcuni amici sul terrazzo di un palazzo all’interno del secondo anello delle circonvallazioni, era la mezzanotte di chuxi, la vigilia, volevamo guardare i fuochi d’artificio che da tempo immemore servono a scacciare gli spiriti maligni e quindi impazzano gioiosamente e rumorosamente proprio a capodanno.
Ma non è successo niente. Nulla, zero.
Sotto di noi, che la guardavamo in panoramica, la città era buia, silenziosa, all’orizzonte scorgevo come unica fonte luminosa la torretta della porta nord della Città proibita, nel complesso mi sembrava di guardare quelle foto notturne satellitari della Corea del Nord che ogni tanto girano in rete.
Oltre al danno la beffa
La Cina è la massima produttrice mondiale di fuochi d’artificio: il 90 per cento del totale. Di solito sono sparati a ciclo continuo per tutte le due settimane di chunjie – il capodanno appunto – con tre momenti di maggiore intensità. Uno di questi è proprio la vigilia, ma questa volta sembra avere funzionato il bando totale dei botti ordinato nella capitale e in altre 400 città per evitare che il livello dell’inquinamento salga in maniera incontrollata.
Tuttavia, mentre osservavamo la spettrale desolazione di Pechino, un odore di zolfo nell’aria ci lasciava intuire non solo che altrove la festa era in corso, eccome, ma che la capitale non era scampata alla sua condanna.
Una rapida occhiata alla app che misura l’inquinamento mi confermava che a Pechino centrale le polveri sottili erano salite a livello 250 dell’indice Aqi (Air quality index) per la prima volta nelle ultime settimane.
I migranti allontanati dalla città-vetrina riconquistano il centro a modo loro
Oltre al danno la beffa: niente festa, niente gioiosa intemperanza, ma aria pessima lo stesso. Era come se la periferia si fosse presa una rivincita sul centro in una grande metafora: ecco lo smog dei fuochi d’artificio rimossi dal centro “igienizzato” ma gioiosamente sparati tutto attorno, nella Pechino estesa, nello Hebei che sta a Pechino come la ciambella sta al buco; quello smog stava tornando all’interno del secondo anello, buio, triste, spettrale, ma inquinato comunque.
Per la prima volta mi sono sentito felice di respirare schifezze, immaginando i migranti allontanati dalla città-vetrina – quelli che erano stati chiamati diduan renkou, popolazione di fascia bassa – che riconquistano il centro a modo loro, sospingendovi il residuo tossico della propria voglia di vivere. Una vendetta anche contro chi ha scritto sui muri vicini a un quartiere già abitato da migranti e ormai demolito: “Felice trasloco, felice ritorno a casa. Fatevene una ragione e abbandonate le illusioni”.
Imbarazzo a pieni polmoni
Senza mai averlo applicato davvero, il giro di vite contro i botti di capodanno era cominciato nel 2009, quando andò in fiamme un grattacielo della televisione di stato, la Cctv, proprio a causa dei fuochi d’artificio. L’incendio provocò un morto tra i vigili del fuoco accorsi per spegnerlo – un iscritto al partito che fu poi proclamato “martire rivoluzionario” – e creò molto imbarazzo. Si scoprì infatti che era stato proprio un alto funzionario dell’emittente a organizzare del tutto illegalmente lo spettacolo pirotecnico a base di 700 fuochi d’artificio per una sua confraternita di amici. Parecchi quadri della tv di stato finirono sotto inchiesta e il suo stesso numero uno di allora, Zhao Huayong, fu silenziosamente “dimesso” pochi mesi dopo.
Proprio su Cctv, e proprio mentre io inspiravo a pieni polmoni zolfo contemplando il nulla, andava in scena lo show più grande del mondo. È Chunwan, cioè il gran galà della vigilia, la trasmissione con più audience del pianeta (anche se poi magari funziona come da noi, uno accende la tv su un programma e poi continua a farsi i fatti suoi).
Questa volta ha ipnotizzato 700 milioni di telespettatori, che sono stati però testimoni di una scenetta imbarazzante quasi quanto l’incendio di nove anni fa: in una gag che celebrava l’amicizia tra la Cina e l’Africa – grazie ai benefici condivisi della nuova via della seta – compariva un’attrice cinese truccata da “mamma africana” con tanto di cestino di frutta in testa, natiche ingrandite artificialmente e una scimmia al seguito. Sui social network cinesi è esplosa la polemica tra chi ha trovato tutto ciò divertente e chi si vergogna tantissimo nei confronti degli “amici africani” che potrebbero sentirsi offesi.
Astrologi e indovini per Trump
L’anno che va a cominciare è quello del cane e molti hanno rimarcato che pure Donald Trump è un cane, ovviamente in senso astrologico. Occasione troppo ghiotta: giornali orientali e occidentali sono corsi a interpretare indovini e astrologi per chiedere che ne sarà del presidente statunitense nel 2018 visto che l’anno, ben ming nian, non gli è necessariamente propizio.
Per Trump tutti prevedono dodici mesi complicati, peggiorati dal fatto che pure sua moglie Melania è un cane. Ci saranno baruffe in famiglia e all’interno della Casa Bianca, dove lo staff presidenziale perderà pezzi (dove sta la novità?).
Aumenteranno i nemici sia esterni (democratici) sia interni (repubblicani), ma se supererà ottobre, mese in cui rischia perfino problemi di salute, “The Don” potrà tirare il fiato a novembre. Sempre che non abbia scatenato una guerra nel frattempo – cosa probabile, dicono gli indovini – che a causa del ben ming nian non può che andargli male, così come il progetto di tirare su un muro tra Stati Uniti e Messico. Prendete nota, alla fine faremo i conti.
Queste sono le note di un capodanno cinese un po’ diverso dal solito. Buon cane a tutti.
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