15 novembre 2019 10:12

Quando mio padre aveva 18 anni si addormentò al volante mentre stava tornando a casa. Era il 1954. Le cinture di sicurezza si diffusero solo negli anni sessanta e una legge federale le rese obbligatorie negli Stati Uniti solo nel 1968. Il corpo non protetto di mio padre fu scaraventato fuori del parabrezza e finì sull’asfalto. Sopravvisse – altrimenti non sarei qui a scriverne – ma al costo di un’invalidità permanente.

La strada verso l’obbligo delle cinture di sicurezza è stata lunga. Ha avuto bisogno di decenni di ricerche mediche e militari, interventi legislativi e dell’assenso delle grandi aziende. Ma oggi, afferma l’amministrazione nazionale per la sicurezza del traffico autostradale negli Stati Uniti (Nhtsa), il 90 per cento degli statunitensi in auto usa le cinture di sicurezza, e queste, secondo l’agenzia, salvano circa quindicimila vite all’anno. La maggior parte dei conducenti e dei passeggeri le allaccia quasi automaticamente.

Tranne che in un caso: nei taxi. I passeggeri dei taxi di New York di 16 anni o più sono esentati (per ora) dall’obbligo di usarle, e un’indagine della commissione taxi e limousine della città ha evidenziato che in effetti solo il 38 per cento di loro le allaccia. Perché? In uno studio del 2008 su centomila tragitti in automobile, due psicologi hanno concluso che probabilmente i passeggeri considerano le corse con un autista più sicure: i tragitti sono brevi, i conducenti appaiono come professionisti con un sacco di chilometri alle spalle, e il rischio per chi viaggia sui sedili posteriori è percepito (a torto) come più basso.

Vittorie cancellate
Per anni questa particolare minaccia alla salute pubblica ha riguardato solo chi prendeva il taxi. Ma oggi sono aumentati in tutti gli Stati Uniti i servizi di auto private con conducente prenotate online, come Uber e Lyft: nel 2018 hanno effettuato 3,2 miliardi di corse, e la probabilità che i passeggeri non indossassero le cinture di sicurezza era quasi la stessa che per i clienti dei taxi newyorchesi. Un’indagine ha rilevato che il 43 per cento degli utenti di questi servizi di trasporto privati ha detto di non usare sempre una cintura di sicurezza, e l’80 per cento non le allaccia per i tragitti brevi.

I miei figli più grandi hanno ormai l’età che aveva mio padre all’epoca del suo incidente. E a causa di servizi come Uber e Lyft, i miei figli hanno molte più probabilità di quante ne avevo io alla loro età di rischiare un destino simile.

Quando si comincia a osservare le cose più da vicino, esempi del genere spuntano dappertutto. I servizi tecnologici stanno sistematicamente, anche se invisibilmente, erodendo le vittorie ottenute anni fa nel campo della salute pubblica.

Prendete il caso dello “svapo”. Proprio come Uber ha trasformato il servizio di taxi con le piattaforme online, le sigarette elettroniche hanno reinventato la cultura del tabacco tramite una nuova e silenziosa tecnologia: un bastoncino a batteria che riscalda e vaporizza la nicotina (o talvolta la cannabis). Si tratta di un’invenzione dell’inizio degli anni duemila, opera di Hon Lik, un farmacista (e fumatore) cinese di 52 anni, che voleva trovare il modo di avere lo stesso piccolo piacere derivante da una sigaretta, ma senza tutti gli agenti chimici dannosi: fumare senza il fumo. I produttori le hanno commercializzate come dispositivi terapeutici, utili ai fumatori che speravano di smettere. Nel 2008 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato di “non considerarle una terapia legittima per i fumatori che cercano di smettere”. La Ruyan, l’azienda cinese che ha messo sul mercato l’invenzione di Lik, ha risposto finanziando uno studio secondo cui le sigarette elettroniche sono decisamente meno dannose di quelle tradizionali, in parte perché “ogni boccata contiene da un terzo alla metà della nicotina contenuta in quelle di una sigaretta di tabacco”.

Ma come ha scritto la mia collega Amanda Mull, “mettere in vendita un prodotto presentandolo come meno nocivo delle sigarette non significa granché”. Juul Labs, un’azienda di San Francisco che produce una nota marca di sigarette elettroniche, vende capsule con il 3 e il 5 per cento di nicotina, quantità più forti di quelle di prodotti simili precedenti. Una singola capsula Juul permette circa duecento boccate, più o meno l’equivalente, per contenuto di nicotina, di un pacchetto di sigarette. Man mano che il verbo juuling è diventato sinonimo di “svapare” negli Stati Uniti, i prodotti alla nicotina dell’azienda, più forti, sono diventati la norma.

Il consumo di tabacco tra gli adolescenti è sceso, ma le sigarette elettroniche hanno rovesciato la situazione

Nel frattempo le sigarette elettroniche continuano a rilasciare particolato e tossine nei polmoni (anche se meno delle normali sigarette). Respirare fumo di aerosol passivo rappresenta un certo rischio per le persone che si trovano vicino alle sigarette elettroniche, che spesso sono usate al chiuso perché i vapori senza odore non appaiono dannosi come il fumo del tabacco.

Juul ha creato fumatori di sigarette elettroniche di ogni età, ma queste sono di moda soprattutto tra i giovani, i quali sembrano perfino ignorare che lo “svapo” all’aroma di mango contenga nicotina, e che ormai sono già più sensibili agli effetti di questa sostanza. Nel 2015 gli studenti delle superiori che aveva fumato di recente negli Stati Uniti erano il 74 per cento in meno rispetto al 1997. Ma tra loro le sigarette elettroniche erano diffuse più del doppio di quelle tradizionali. E gli adolescenti che svapano hanno più possibilità degli altri di cominciare a fumare anche le sigarette tradizionali. Il consumo di tabacco tra gli adolescenti è sceso con l’aumento della regolamentazione e la stigmatizzazione delle sigarette. Ma quelle elettroniche hanno rovesciato la situazione, offrendo una nuova strada verso la dipendenza da nicotina tra i giovani.

Lo “svapare” si era costruito la fama, senza mai meritarla davvero, di essere meno dannoso, ma oggi la sta rapidamente perdendo. Di recente l’agenzia per gli alimenti e i medicinali degli Stati Uniti (Fda) ha ingiunto alla Juul di non pubblicizzare più le sigarette elettroniche come un’alternativa più salutare alle sigarette tradizionali. Lo “svapo” ha fatto ammalare più di mille cittadini statunitensi, che altrimenti avrebbero avuto polmoni perlopiù sani, in 48 stati. All’inizio di ottobre aveva provocato almeno 18 morti. La causa potrebbe essere un contaminante (forse l’acido cianidrico) che si trova nei prodotti per fumare elettronicamente marijuana. Ma prima che quest’ondata di paura ci ricordasse quanto poco sappiamo delle conseguenze dello “svapo” sulla salute, le sigarette elettroniche avevano già avviato dei mutamenti sociali che hanno vanificato decenni di progressi nella riduzione del consumo di tabacco.

Aziende irresponsabili
Il settore tecnologico ha basato in parte la sua conquista del mondo sul totale disinteresse per l’impatto dei suoi prodotti e servizi sul mondo reale. La Tesla collauda il “pilota automatico” delle sue auto sulle strade pubbliche perché può farlo impunemente. Le app Google Maps e Waze indicano i tragitti in auto più veloci, disinteressandosi di quali siano gli effetti sul traffico o la sicurezza. Amazon è sfuggita alle sue responsabilità per i danni, gli infortuni e le morti causati dalla sua rete di consegne scaricandole su presunti subappaltatori esterni, anche se in realtà è il colosso delle vendite al dettaglio a fare pressione per aumentare la velocità e il volume della distribuzione. Le aziende tecnologiche si garantiscono contro la loro esposizione al rischio nello stesso modo in cui lo creano: ignorandolo deliberatamente.

Le grandi aziende tecnologiche perseguono le loro aspirazioni private senza preoccuparsi del costo per la collettività

La salute pubblica protegge le persone, ovvero una collettività che ha diritto di essere difesa. Si tratta di uno sforzo condiviso e volto a un vantaggio comune. Alcune innovazioni tecnologiche, come i sistemi che avvisano quando l’auto sta uscendo di corsia o il freno d’emergenza automatico, aiutano sia chi possiede questi strumenti sia le persone intorno. Ma la tecnologia, intesa come prodotto delle grandi aziende tecnologiche della Silicon valley, ha sottilmente modificato la nostra concezione di bene pubblico. Indubbiamente ha migliorato la vita privata degli individui, perché è questo l’obiettivo del suo modello d’impresa. Ma non è detto che abbia portato vantaggi alla comunità in senso più ampio.

La visione del futuro con cui si sono arricchite aziende come Uber, Amazon e Facebook è decisamente individualistica: puoi ottenere una corsa in auto, dovunque tu sia, via Uber. Puoi ricevere praticamente qualsiasi prodotto esistente domani, senza uscire di casa, grazie ad Amazon. Puoi ascoltare solo le persone e i gruppi che scegli tu su Facebook. I prodotti tecnologici possono migliorare la salute e la sicurezza, ma perlopiù al livello personale, come lo smartphone per le emergenze o l’app che dovrebbe motivarci a fare esercizio. Risolvere i propri problemi individuali può diminuire l’interesse a risolvere quelli comuni. Questo individualismo libertario può impadronirsi anche delle grandi aziende tecnologiche, che perseguono le loro aspirazioni private senza preoccuparsi del costo per la collettività.

Il buono e il cattivo della tecnologia
Voi e io, i vostri figli, i vostri vicini, i vostri colleghi – l’intera collettività – siamo intrappolati. Da una parte, da un punto di vista personale, amiamo e desideriamo i prodotti offerti dal settore tecnologico. Dall’altra non riusciamo sempre a valutare le conseguenze di quest’offerta sulla collettività. Quando i suoi effetti diventano visibili, cerchiamo un modo per eliminare gli aspetti negativi della tecnologia senza dover rinunciare ai vantaggi.

Ma non è mai così semplice. Alcuni autisti ingaggiati attraverso le piattaforme online, per esempio, sono stati accusati di aggressioni, rapimenti e violenze sessuali nei confronti dei passeggeri. Alcune vittime hanno sostenuto che le aziende fossero al corrente di queste violenze, eppure non abbiano fatto in modo di evitarle. Ma le persone vengono aggredite anche nei taxi e nelle tradizionali auto con conducente. Non ci sono dati sufficienti per stabilire se le corse private prenotate con un’app siano davvero più pericolose dei taxi o di quelle con autisti in livrea.

Un fatto più certo è che l’esposizione a simili rischi è aumentata con la diffusione delle app di trasporto privato. Ci sono più autisti, che trasportano più passeggeri e più di frequente. Nell’ultimo decennio le persone hanno fatto spostamenti che non sarebbero proprio esistiti prima dell’entrata in scena di Uber e Lyft.

Che lo vogliano o meno, aziende come queste stanno cambiando gli standard della sicurezza e della salute pubblica. Si tratta di conseguenze, in parte, della globalizzazione e dell’automazione di processi che in precedenza erano locali e umani. Ma emergono anche quando l’innovazione porta con sé le caratteristiche indesiderabili di tecnologie precedenti e contigue, intensificandone la portata.

Il seggiolino che fa la differenza
Ecco un altro esempio: a New York i tassisti con licenza regolare sono esentati dalle leggi dello stato che impongono di far viaggiare i bambini sotto i quattro anni su seggiolini di sicurezza. I passeggeri possono portare i propri seggiolini, e i tassisti devono permettergli d’installarli e di usarli se lo desiderano. Ma molte persone si comportano come fanno con le cinture di sicurezza: è un tragitto breve, che differenza fa?

Le app di trasporto privato hanno ereditato questo dilemma, diffondendolo alle città di tutto il mondo. Solo in alcune città Uber e Lyft permettono ai passeggeri di richiedere un’automobile con un seggiolino di sicurezza per bambini, ma a un costo (e probabilmente anche un’attesa) supplementare. Altrove entrambe le aziende incoraggiano gli utenti a portare i loro seggiolini, come richiesto dalle leggi locali, ma nessuna delle due sembra avere regole che impongono agli autisti di accontentare questi passeggeri. E anche se le avessero, portarsi un seggiolino a un concerto o a una partita vanifica già di per sé i vantaggi del servizio offerto da queste app.

I seggiolini per le auto sono un risultato di decenni di progressi nel campo della sicurezza infantile, e hanno permesso di salvare molte vite. Alcuni produttori di automobili li offrirono negli anni sessanta, e la Nhtsa adottò i primi standard in materia nel 1971. Nel corso del tempo, i requisiti sono diventati più severi e complessi (viso rivolto al contrario del senso di marcia per i lattanti, rialzi per i bambini di età prescolare, stabilizzatori a corda, obbligo del sistema di fissaggio conosciuto come Latch o Isofix). Non è raro che degli stati impongano delle strumentazioni specializzate per bambini di età fino agli otto anni.

Anche quando le cinture sono ben allacciate, la tecnologia ha reso la guida più rischiosa perché siamo tutti distratti dagli smartphone

Gli incidenti d’auto sono la principale causa di morte infantile negli Stati Uniti. I passeggeri sfidavano il rischio in taxi solo in condizioni di difficoltà. Ma le piattaforme online per prenotare auto private sono state una scorciatoia per trasformare quell’eccezione in una regola, esportando il falso senso di comodità dei tragitti in taxi a tutte le corse in auto.

Puntando alla crescita a ogni costo, Uber e Lyft hanno lasciato lavorare gli autisti senza troppa supervisione. Come altre aziende della “economia della condivisione”, hanno sfruttato leggi permissive, ambiguità e vuoti delle norme locali a loro vantaggio. Quando, poco tempo fa, la California ha approvato una proposta di legge che obbligava le aziende a fornire ai lavoratori della gig economy maggiori indennità, Uber ha risposto che non intendeva riclassificare i propri autisti come dipendenti, perché “il lavoro degli autisti non rientra nelle consuete attività economiche di Uber”. L’azienda ha sempre sostenuto di essere “solo” un’attività tecnologica, un fornitore di strumenti informatici che creano un mercato in cui autisti e passeggeri possono connettersi. Anche la salute e la sicurezza, quindi, diventano preoccupazioni a cui rispondere con delle soluzioni tecnologiche. Questo atteggiamento distaccato alimenta l’indifferenza: le conseguenze diventano il problema di qualcun altro.

Anche quando le cinture di sicurezza sono ben allacciate nella tua auto, e il tuo bambino è debitamente protetto nel sedile posteriore, la tecnologia ha reso la guida più rischiosa perché siamo tutti costantemente distratti dagli smartphone.

La peggior distrazione
È da quando le auto hanno cominciato a circolare che i conducenti si fanno distrarre al volante. All’inizio del novecento la causa erano spesso le strade stesse, che spingevano chi guidava a fare delle deviazioni, un fenomeno poi divenuto noto come “ipnotismo autostradale”. In seguito, quando alle auto sono stati aggiunti nuovi dispositivi, come radio, lettori cd e sistemi di navigazione, i veicoli stessi hanno cominciato a distrarre gli automobilisti.

Ma la strumentazione è solo una parte di tutto l’insieme. L’Nhtsa divide le distrazioni in tre generi: visive, manuali e cognitive. Le distrazioni visive distolgono il tuo sguardo dalla strada. Tra queste possono esserci i bambini che litigano sui sedili posteriori o dei neon scintillanti lungo la strada. Le distrazioni manuali sono quelle che ti spingono a togliere le mani dal volante. Lo fanno la radio e altri controlli, ma anche le bibite e i panini di McDonald’s. Le distrazioni cognitive, infine, allontanano la mente dalla guida. Sono innumerevoli e vanno dai problemi casalinghi alla rabbia per il traffico, passando dalle preoccupazioni per la giornata di lavoro che ti aspetta o che hai passato.

L’uso del telefono è particolarmente insidioso per chi guida perché fonde in sé i tre tipi di distrazione: spinge a distogliere lo sguardo dalla strada, le mani dal volante, e i pensieri dalla guida, portandoli verso il mondo che si trova dietro lo schermo. Inoltre è una distrazione frequente, anzi continua, perché non è raro che chi guida prenda il telefono a ogni semaforo. L’Nhtsa lo definisce una delle “peggiori distrazioni per gli automobilisti”.

Gli effetti possono essere gravi. Dal 2012 al 2015, in media 283mila infortuni all’anno possono essere fatti risalire alla messaggistica e ai telefoni. Più di recente, l’obbligo di usare l’auricolare e la maggiore consapevolezza delle distrazioni al volante hanno ridotto le telefonate in auto, ma l’abitudine a digitare sullo smartphone mentre si guida diminuisce meno rapidamente. Nel 2017 gli incidenti automobilistici sono aumentati dell’11 per cento rispetto a pochi anni prima, e le collisioni causate da distrazioni dovute al telefono sono rimaste relativamente stabili.

Sono sempre di più i passeggeri che evitano di allacciare le cinture di sicurezza e sono continuamente distratti da uno schermo

Quando si parla di tutela della collettività, i cittadini dovrebbero esigere dei diffusi miglioramenti nel maggior numero possibile di aspetti della vita pubblica. I telefoni non hanno causato da soli questi problemi. A farlo è stato il loro uso diffuso. Gli adulti, soprattutto i più giovani, sentono la pressione di dover rispondere ai messaggi di lavoro anche quando guidano. I social network possono spingere le persone a seguire i feed, a postare foto o a scrivere battute mentre sono al volante.

Una legge degli Stati Uniti del 2018, che impone alle nuove auto di avere delle telecamere sul retro per evitare gli incidenti in retromarcia, potrebbe aver peggiorato le cose. Installare delle telecamere ha significato aggiungere dei grossi schermi al cruscotto, una modifica che è arrivata in contemporanea con la proliferazione dei touch screen. Molte case automobilistiche hanno riprogettato il cruscotto per poterveli adattare. Spesso oggi da un singolo schermo si manovra la radio, la climatizzazione, la navigazione e, naturalmente, la telecamera sul retro. Si chiamano “sistemi informatici di bordo”, o ivis, nel gergo automobilistico.

Come è logico immaginarsi, questi schermi non fanno altro che distrarre ancora di più chi guida. Oggi si può scegliere una stazione radio o azionare il ventilatore usando il tatto, senza dover guardare. Anche le opzioni disponibili diventano più complesse: radio satellitare, controlli per la musica, navigazione su mappa. È quasi come usare uno smartphone.

Poi sono arrivati Apple CarPlay e Android Auto. Il loro aspetto familiare sembra ridurre la distrazione rispetto ad altre strumentazioni informatiche, ma secondo uno studio dell’associazione automobilistica statunitense, anche il loro software produce una chiara distrazione cognitiva e visiva. Rispondere ai messaggi di testo (anche dettando), passare in rassegna le scalette musicali di Spotify o gestire le varie opzioni di questi sistemi sollecitano l’attenzione del guidatore più spesso di quanto accadrebbe guidando senza averle a disposizione.

Negli stessi spazi urbani dove un maggior numero di auto fa aumentare il traffico, dove sono sempre di più i passeggeri che evitano di allacciare le cinture di sicurezza e sono distratti da schermi e CarPlay, magari mentre inalano tabacco in forma di aerosol, circolano anche nuovi mezzi di trasporto. I monopattini elettrici in condivisione, come quelli di Bird e Lime, sono tra i servizi di “micromobilità” che, nelle speranze dei loro sostenitori, contribuiranno a ridurre l’uso dell’automobile per chi si muove in città, soprattutto nei tragitti brevi.

Senza casco
Bird, Lime e altri servizi hanno seguito il modello di Uber, espandendosi rapidamente in nuove città, allargando il proprio mercato e stimolando la domanda dei consumatori, spesso senza avere i permessi necessari. Nelle città dove hanno avuto successo, i monopattini sono diventati un pilastro del trasporto urbano e permettono ai professionisti di andare al lavoro senza spiegazzare i vestiti e senza sudare. “Non posso più farne a meno”, ha scritto in proposito il mio collega Robinson Meyer l’anno scorso.

Ma secondo uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno, nell’arco di dodici mesi, due reparti di pronto soccorso della California hanno accolto 249 pazienti infortunati a causa di piccoli incidenti in monopattino. Le lesioni più frequenti erano alla testa – perlopiù perché gli utenti non usavano il casco – ma anche le fratture erano comuni. Uno studio dei centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) effettuato a Austin, in Texas, ha rilevato che in tre mesi venti tragitti con monopattini elettrici ogni centomila hanno provocato degli infortuni che hanno avuto bisogno d’interventi di pronto soccorso. In quasi la metà dei casi erano infortuni alla testa, e nel 15 per cento erano infortuni traumatici al cervello. Dei 190 guidatori feriti, solo uno aveva indossato il casco.

I caschi per motociclette sono stati messi in vendita negli anni cinquanta, e il dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti ha imposto degli standard di fabbricazione ai suoi produttori nel 1964. Nel 1975 hanno fatto il loro spettacolare ingresso in scena quelli per ciclisti, e nel decennio successivo il loro uso è aumentato. A partire dal 1987 alcuni stati hanno cominciato ad approvare leggi che imponevano l’uso del casco, soprattutto per i bambini.

Nel corso del tempo la cultura del casco si è radicata tra quanti usano la bicicletta per andare al lavoro e i ciclisti saltuari. Nel 2012 il 29 per cento dei ciclisti adulti e il 42 per cento dei bambini affermava di usare sempre un casco. La metà dichiarava d’indossarli almeno ogni tanto. Il 90 per cento dei bambini indossava il casco se lo facevano anche gli adulti vicini a loro, ed era inoltre più probabile che lo facessero negli stati dove era obbligatorio per legge.

Il problema è che il casco rovina quasi del tutto il fascino dei monopattini elettrici condivisi. Come mi ha detto lo scorso anno Michael Keating, amministratore delegato dell’azienda di micromobilità Scoot, monopattini come quelli di Birds sono utili perlopiù per brevi tragitti che richiederebbero una lunga camminata, più facili da fare senza automobile. Indossare un casco significa portarne uno con sé, il che rischia di vanificare la convenienza del sistema.

È lo stesso problema con cui hanno dovuto fare i conti le biciclette. Chi contesta l’obbligo di indossare il casco in bici sostiene che questo scoraggi l’uso della bicicletta o sia un modo per non mettere in discussione il ruolo dominante dell’automobile. In parte è vero. È facile mostrare il dito medio a chi non indossa il casco, e gli incidenti di monopattino elettrico gravi capitano relativamente di rado: nello 0,2 per cento circa dei tragitti, secondo i dati di Austin. Ma i Cdc hanno rilevato che, in questi casi, solo il 10 per cento degli utenti di monopattini elettrici è stato coinvolto in un incidente in cui era presente un veicolo, il che significa che i problemi di sicurezza dei monopattini non sono colpa solo della centralità dell’automobile.

Le persone contrarie all’obbligo del casco in genere cercano di destreggiarsi tra rischi e vantaggi su scala urbana. Ed è vero, come sostiene lo scrittore Sam Bloch, che il significato della salute e della sicurezza pubblica dovrebbe evolversi. Ma non è questo che succede quando dei guidatori inesperti di monopattino elettrico si fanno male da soli. Se la popolarità di questi mezzi continuerà a crescere, questa tendenza non farà che continuare: gli studi dei Cdc suggeriscono che l’influenza degli altri – vedere che le altre persone stanno in sella in modo sicuro – è l’elemento che ha il maggior impatto sulle scelte dei ciclisti.

In fin dei conti, potrebbe valere la pena di fare alcuni compromessi sulla sicurezza per far emergere una nuova pianificazione degli spazi urbani e una nuova mobilità, per non parlare dell’impatto ambientale. Ma non è così che i monopattini si sono diffusi. La questione della salute pubblica è stata completamente ignorata, senza che le persone se ne accorgessero.

Conseguenze prevedibili
C’è una certa ironia nell’erosione del benessere collettivo da parte della tecnologia, perché l’innovazione molto spesso promette di migliorare la nostra vita, a volte sostenendo esplicitamente di migliorare la salute. Una delle promesse delle automobili a guida autonoma, per esempio, è che ridurranno gli infortuni nel traffico e gli incidenti come quelle causati da automobilisti o motociclisti distratti che non danno la precedenza ai monopattini. Questa promessa è ipotetica e forse sbagliata, ma il suo valore commerciale ha spinto alcuni governi a fare seri compromessi sull’attuale assetto della sicurezza e della salute pubblica in vista di possibili miglioramenti nel futuro. Il governatore dell’Arizona Doug Ducey, per esempio, ha emesso dei provvedimenti legislativi che autorizzano l’uso sperimentale delle auto senza conducente sulle strade del suo stato, sperando d’incoraggiare gli investimenti e la creazione di posti di lavoro in Arizona.

Quando un’auto di Uber con il pilota automatico ha colpito e ucciso un pedone a Temple, le voci critiche hanno attaccato in parte la legislazione permissiva che ha permesso a Uber di correre dei rischi inutili con le sue strumentazioni. Ma, com’è successo con i sostenitori dei monopattini, alcuni fautori dei sistema di guida automatica hanno risposto che era una preoccupazione faziosa visto il numero degli incidenti stradali negli Stati Uniti. Con più di quarantamila morti e feriti per incidenti automobilistici ogni anno negli Stati Uniti, perché dare tanta attenzione all’unico incidente mortale di un veicolo automatico?

Il numero totale dei morti dovuti al mancato dell’uso delle cinture di sicurezza o dei seggiolini nelle corse condivise, o perfino agli agenti patogeni ignoti contenuti nelle sigarette elettroniche, è basso rispetto a quello delle vittime di altri fenomeni. Insistere su Uber o su Juul può apparire come un’eccessiva attenzione su un dettaglio rispetto al quadro generale, o essere percepito come una reazione impulsiva e reazionaria che demonizza ingiustamente delle mode giovanili. Che senso ha preoccuparsi di una decina di morti per sigaretta elettronica o infortuni provocati da monopattini elettrici, si lamenta qualcuno, quando ogni anno negli Stati Uniti quarantamila persone muoiono per ferite d’arma da fuoco e 480mila per le sigarette?

Quando si parla di benessere collettivo, i cittadini dovrebbero esigere un diffuso miglioramento di quanti più aspetti possibili della vita pubblica

La maggior parte di queste conseguenze era prevedibile, ma nessuno se ne è preoccupato. Rispondendo alle critiche per le morti provocate dai veicoli con il pilota automatico, nel 2018 ho scritto che concentrarsi sulla quantità di morti o feriti, attraverso esperimenti mentali come il problema del carrello ferroviario, non è il punto della questione. Un’ossessione utilitaristica per gli esiti pratici trascura i problemi dei processi sociali, politici ed economici che aspirano a realizzare quegli esiti. Anche quando i numeri in questione sono bassi, il modo in cui sorgono i problemi può essere importante. Allo stesso modo le vittorie possono essere ambigue. Prenotare un’auto su una piattaforma di condivisione online può aver ridotto la guida in stato di ebbrezza in alcune città, ma non in altre, per esempio.

L’erosione di successi diffusi, come l’obbligo di usare le cinture di sicurezza o la diminuzione del consumo di nicotina, dovrebbe preoccupare tutti perché questi cambiamenti rappresentano un rovesciamento di vittorie nel campo della salute pubblica talmente radicate da essere state dimenticate. La Juul vende sigarette elettroniche aromatizzate a dei giovani che, con il passare degli anni, avevano sempre meno probabilità di consumare prodotti con la nicotina. La praticità dei monopattini elettrici ha spinto i loro utenti ad accettare rischi d’infortuni che difficilmente avrebbero corso in altre circostanze. Lo stesso vale per l’uso delle cinture di sicurezza e dei seggiolini per bambini nei passaggi in auto a pagamento, e per l’uso del telefono al volante.

Se gli statunitensi potessero scegliere un’unica strada verso il bene comune, allora forse sarebbe sensato concentrare l’attenzione solo sulle morti causate dal fumo e dalle armi da fuoco. Ma il mondo non è monolitico. Imporre una rinuncia al tabacco in passato non avrebbe contribuito a evitare l’incidente di mio padre. Il controllo delle armi non migliorerà il controllo delle regole sulle auto senza conducente. Il fatto che le persone muoiano di cancro al polmone o per colpi di arma da fuoco non elimina la necessità di una pianificazione stradale, di regolamenti per la costruzioni di edifici o di norme per la sicurezza sul lavoro. Quando si parla di sicurezza e salute pubblica, i cittadini non dovrebbero concentrarsi solo sui rischi con un impatto, percepito o reale, più forte. Dovrebbero esigere un diffuso miglioramento di quanti più aspetti possibili della vita pubblica.

Quando si comincia a fare marcia indietro rispetto a queste vittorie, emergono nuovi margini di rischio che, ad anni di distanza, potrebbero non essere più facilmente compresi. E quando queste novità diventano la norma, è difficile farle tornare a essere delle eccezioni. Ma quando una nuova tecnologia è davvero nuova, chi ne subirà le conseguenze principali deve cercare di mitigare i suoi possibili rischi in maniera più decisa. I passati miglioramenti in materia di salute pubblica hanno imposto un intervento normativo e trasformazioni sociali. È probabile che lo stesso accadrà per le circostanze attuali. Dove possibile è necessario minimizzare gli effetti negativi della tecnologia, mantenendo quelli positivi, il che diventa molto più difficile quando è già stata diffusamente adottata. Ma oltre a questo, i soggetti pubblici e privati dovrebbero trarre una lezione dalle frequenti ed evidenti lezioni del passato, e del presente, quando sono apparse nuove tecnologie.

Le condizioni che si verificano ai margini di una pratica sociale sono amplificate quando questa diventa più diffusa. Le cinture di sicurezza e i seggiolini per bambini sono quasi universalmente diffusi, tranne che nei taxi, ma la condivisione delle corse in auto private ha fatto proliferare questa eccezione quasi ovunque. Le sigarette erano perlopiù un ricordo del passato, fino a quando un’azienda non ha trovato un nuovo modo di vendere nicotina, invertendo il declino di questa sostanza, come ha fatto la Juul. Solo i dirigenti d’azienda o i funzionari di stato di alto livello ritenevano necessario inviare un messaggio di testo o un’email quando si fermavano a un semaforo, fino a quando le app e gli smartphone hanno fatto apparire più urgenti il lavoro e la vita sociale di ciascuno di noi. La maggior parte di queste conseguenze era prevedibile, ma nessuno voleva pensarci. Il settore privato si è seduto al volante – mentre la protezione dei cittadini si accomodava sul sedile posteriore – indisturbato e pronto a prendere il controllo del veicolo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale. © 2019. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.

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