22 agosto 2019 15:28

Il cliché del signore della guerra barbuto e chiuso da solo nel suo quartier generale in un posto isolato non è più attuale in Afghanistan. Vent’anni dopo la caduta dei taliban, questi moderni signori feudali cercano di prendere il controllo di una o l’altra provincia, puntando sul clientelismo anziché sulla violenza, e occasionalmente coltivando la loro immagine internazionale.

Indipendentemente dalla loro appartenenza etnica, questi signori della guerra sono tutti ugualmente preoccupati della campagna per le elezioni presidenziali del 28 settembre, ma soprattutto dei negoziati tra gli Stati Uniti e i taliban.

La prospettiva di un ritiro delle forze statunitensi nel 2020 ha effettivamente indebolito in modo significativo il potere centrale, che è stato escluso, su espressa richiesta dei taliban, dai colloqui in Qatar tra gli Stati Uniti e l’insurrezione afgana. Donald Trump vuole a tutti i costi ritirare il suo contingente dall’Afghanistan, in modo da monetizzare tale ritiro durante la sua campagna per le presidenziali del 2020.

Un voto in pericolo
Sembra quindi disposto ad accontentarsi delle rassicurazioni formali dei taliban sulla neutralizzazione delle reti collegate ad Al Qaeda e al gruppo Stato islamico (Is), visto che i taliban avevano già condotto delle operazioni contro i sostenitori del califfato in Afghanistan.

Il presidente Ashraf Ghani, al potere a Kabul dal 2014, appartiene allo stesso gruppo etnico dei comandanti taliban, quello pashtun, e potrà solo essere danneggiato da questo accordo. È comunque candidato alla sua successione, anche se il voto, originariamente previsto per luglio, è già stato rinviato di due mesi per non compromettere i colloqui tra Stati Uniti e taliban.

Ghani si troverà ad affrontare Abdullah Abdullah, il suo capo di governo, un posto ritagliato su misura per Abdullah nel 2014, quando dichiarò di aver vinto le elezioni presidenziali contro Ghani. Parteciperà alla corsa anche Gulbuddin Hekmatyar, uno dei più accaniti signori della guerra, alleato pashtun dei taliban finché non raggiunse un accordo di riconciliazione con Ghani nel 2016. Le speranze di pacificazione dopo il voto sono quindi molto limitate, soprattutto visto che i taliban hanno minacciato di uccidere i partecipanti a queste elezioni.

La rinascita dei feudi taliban
Invece di investire nella campagna presidenziale, i principali feudatari stanno lavorando per consolidare il loro radicamento locale. È il caso di Atta Mohammad Noor, il padrone tagico di Mazar-e-Sharif, che non ha escluso una candidatura presidenziale durante una sua intervista con Le Monde nel 2018. Noor ora preferisce controllare il grande incrocio commerciale del nord, incluso il traffico redditizio con il vicino Uzbekistan. Ha una sua milizia, che attualmente lavora in parallelo e in collaborazione con le forze governative, ma potrebbe probabilmente assorbirla localmente in caso di un risveglio della guerra civile. Lo stesso processo sta avvenendo nella valle del Panshir, dove il leader tagico Bismullah Khan Mohammadi si sta mobilitando in nome della crescente minaccia dei taliban.

Questa stessa minaccia giustifica i recenti sforzi per ricostruire la milizia guidata dall’uzbeco Abdul Rachid Dostum. Questo ex generale comunista, che nel 1992 si era unito alle forze antisovietiche per contenere i taliban, è, dal 2014, vicepresidente della repubblica. Dostum è tornato nel luglio 2018 da un esilio volontario in Turchia, nel momento in cui in Afghanistan cadevano in prescrizione le accuse contro di lui per crimini sessuali. La crescente influenza dell’uzbeco preoccupa molto Atta Noor, la cui roccaforte tagica è vicina a quella di Dostum. Questa frammentazione del nord del paese è aggravata, sull’altopiano centrale, dalla determinazione della minoranza sciita hazara di difendersi a tutti i costi dai jihadisti. Già colpiti da numerosi sanguinosi attacchi dell’Is, gli hazara hanno poca fiducia nella protezione delle forze governative. Inoltre, migliaia di sciiti afgani hanno combattuto sotto il nome di fatimidi, all’interno delle milizie filoiraniane in Iraq e Siria.

Non ci vorrebbe molto perché un possibile “fronte” antitaliban si divida tra i miliziani tagichi e uzbechi, o anche i fatimidi agguerriti, sullo sfondo di regolamenti di conti tra signori della guerra. Oltre all’esito delle elezioni presidenziali, questa frammentazione porta minacce di vario genere. Ora fa il gioco dei taliban che, in quanto interlocutori unici degli Stati Uniti, possono rappresentarsi come garanti dell’ordine e della stabilità. Serve ricordare che era in nome della lotta contro i signori della guerra che i taliban avevano già conquistato Kabul in passato?

Era il 1996.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Le Monde.

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