30 giugno 2022 12:17

Fahd Jamil Georges ha avuto molti soprannomi: il turco, il padrino, il capo dei capi, il re del confine. In cinquant’anni è passato dalla gestione di casinò al contrabbando di armi e droga in Brasile dal Paraguay, il principale produttore di marijuana dell’America Latina e snodo fondamentale per la cocaina proveniente dalle Ande.

La sua ex tenuta a Ponta Porã, in Brasile – ispirata alla villa Graceland di Elvis Presley – è circondata da filo spinato e da una recinzione elettrificata. La sua Cadillac aveva gli pneumatici rinforzati e il suo letto era protetto da vetri antiproiettile. Era vicino a presidenti e dittatori su entrambi i versanti del confine.

Alla fine però questa protezione non è servita a molto. Lo scorso aprile Jamil Georges, ormai ottantenne, si è consegnato alle autorità paraguaiane dopo anni di latitanza e ha indicato che nella regione c’è un nuovo pericolo: “Il Pcc mi dà la caccia”, ha detto. Jamil Georges è stato forse l’ultima tessera del domino a cadere nel cosiddetto progetto Paraguay, cioè la conquista di questo redditizio corridoio del narcotraffico avviata un decennio fa dal Primeiro comando da capital (Pcc), un violento cartello brasiliano fondato nel 1993 in un carcere di São Paulo e oggi diffuso in tutta l’America Latina e nel mondo. L’affermazione del Pcc nel paese sudamericano ha coinciso con un’ondata di esecuzioni su commissione. Tra le vittime più recenti ci sono José Carlos Acevedo, sindaco della città paraguayana di Pedro Juan Caballero, al confine col Brasile, Marcelo Pecci, un noto procuratore antimafia ucciso mentre era in luna di miele in Colombia, e l’ex capo del più grande carcere del paese.

Lo spargimento di sangue ha alimentato i timori che i cartelli internazionali della droga in alleanza con i funzionari corrotti stiano trasformando il relativamente tranquillo Paraguay in un narcostato violento. “Da quando Jamil Georges si è arreso, il Pcc ha preso il controllo totale”, dice il tenente colonnello Ozevaldo Santos de Melo, ufficiale di polizia di Ponta Porã.

La caduta di Jamil Georges è arrivata dopo l’eliminazione di altri rivali del Pcc. Nel giugno 2016 Jorge Rafaat, un potente narcotrafficante, e in alcune occasioni alleato di Jamil, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a Pedro Juan Caballero. Poi è stata la volta di almeno quaranta suoi soci. Poco dopo il Pcc ha dichiarato guerra al Comando vermelho, un altro cartello brasiliano, affermandosi come il più importante attore nel campo del traffico di droga in Brasile e verso l’Europa, dove la ’ndrangheta calabrese gestisce la distribuzione.

Jamil Georges era legato a diversi omicidi, spiega Santos de Melo, ma aveva messo un argine alla violenza sul confine. “È sempre stato discreto e non così aggressivo”, osserva. “Il Pcc è più violento, i suoi affiliati sono senza scrupoli, uccidono persone innocenti”. Ora che boss come Jamil Georges e Rafaat sono fuori gioco, le sparatorie da veicoli in movimento tra piccoli criminali e gli scontri tra affiliati dello stesso Pcc sono diventate più comuni, spiega Cristian Amarilla, direttore dell’intelligence nella Senad, l’agenzia antidroga del Paraguay.

Secondo gli attivisti indigeni brasiliani i gruppi della criminalità organizzata hanno avuto un ruolo nel duplice omicidio di Pereira e Phillips

“È un gran caos”, osserva Amarilla mentre mi accompagna a visitare una proprietà rurale di lusso sequestrata, con un lago artificiale e un campo da calcio con i riflettori, progettata per ospitare i signori della droga brasiliani in visita. “Oggi il confine sta cambiando. Chiunque traffica”, spiega.

Pedro Juan Caballero ha 120mila abitanti, ma il suo tasso di omicidi – più di 70 ogni centomila abitanti nel 2020 – è paragonabile a quello di Caracas, in Venezuela. Nel dipartimento di Amambay, dove si trova la città, vive il 2 per cento della popolazione del Paraguay, ma nel 2020 più di un terzo dei 481 omicidi del paese è avvenuto lì. Al London pub di Pedro Juan Caballero i clienti sono spesso armati e questo rende l’orario di chiusura un momento molto teso, racconta David Ovelar, che lavora nel locale. “Siamo sempre in allerta”, aggiunge.

Senza controllo
Secondo l’organizzazione giornalistica InSight Crime, che si occupa della violenza in America Latina, il Pcc ha una presenza “forte” o “intermittente” in sei dei diciassette dipartimenti del Paraguay e in molti altri ha messo a segno eclatanti rapine in banca. Dando un forte segnale del crescente controllo nelle carceri del paese, 75 affiliati del Pcc sono evasi dal carcere di Pedro Juan Caballero nel gennaio 2020, alcuni attraverso un tunnel, altri semplicemente uscendo dall’ingresso principale.

Tuttavia, secondo Zully Rulón, direttrice della Senad, è eccessivo dire che il Paraguay si stia trasformando in un narcostato. “Non siamo la Colombia o il Messico, assolutamente no”, sostiene. Il paese però, ammette Rulón, non ha il pieno controllo di quello che succede nel nord, perciò è quasi impossibile intercettare gli aerei carichi di cocaina che il Pcc manda in Bolivia. “Se avessimo la tecnologia giusta il nostro lavoro sarebbe più semplice”, afferma.
E quando il capo di un cartello viene arrestato, spiega Santos de Melo, “il Pcc ne manda un altro da São Paulo”.

Si sospetta che i comandanti del Pcc commissionino le azioni direttamente dal carcere, e sembra che siano stati loro a maggio a ordinare l’omicidio del principale procuratore del Paraguay. Marcelo Pecci è stato ucciso su una spiaggia colombiana poche ore dopo che la moglie aveva pubblicato sui social network la notizia che aspettavano il loro primo figlio.

Il 17 giugno quattro persone che hanno confessato di aver preso parte al delitto sono state condannate a più di 23 anni di carcere ciascuna. Tuttavia il capo della polizia colombiana ha affermato che il Pcc deve considerarsi il mandante del delitto e che l’organizzazione ha pagato i sicari 500mila dollari per eliminare Pecci, che stava indagando sui legami del cartello in Paraguay.

Oltre confine
Il Pcc ha anche trentamila uomini in Brasile, dove sta combattendo una guerra sempre più cruenta per il controllo della regione dell’Amazzonia al confine con il Perù e la Colombia. Proprio in questa zona all’inizio di giugno sono stati uccisi il giornalista britannico Dom Phillips e l’esperto di popolazioni native Bruno Pereira. La polizia brasiliana, che ha arrestato tre sospettati, non ha rilevato segnali di una cospirazione più ampia, ma secondo gli attivisti indigeni locali i gruppi della criminalità organizzata hanno avuto un ruolo nel duplice omicidio.

Il cartello si sta espandendo anche altrove nel continente, dall’Uruguay all’Argentina fino al Venezuela, ha collegamenti nei Caraibi, in Europa e in Africa e ricicla i suoi profitti in banche cinesi e statunitensi. Il Pcc è “l’organizzazione criminale più forte dell’America Latina”, dice Robert Muggah dell’istituto brasiliano Igarapé.

La forza del cartello si basa sul “leggendario” livello di controllo esercitato sui suoi affiliati – che fanno un giuramento di fedeltà e pagano addirittura una quota per entrare nell’organizzazione. In Paraguay è “penetrato in profondità nello stato e ha cooptato le forze di sicurezza”, afferma Muggah. “Il Brasile deve abbandonare la sua politica di carcerazione di massa” così da smantellare la base di potere del Pcc che si trova nelle sovraffollate prigioni del paese, prosegue Muggah. “L’unica soluzione di lungo periodo per il Brasile è accelerare il processo di depenalizzazione delle droghe”.

Politiche di questo tipo però rappresentano una possibilità remota tanto nel Brasile di Jair Bolsonaro come in Paraguay, dove lo stesso Colorado, il partito conservatore al potere, è stato spesso associato a narcotrafficanti e criminalità organizzata. L’ex presidente conservatore Horacio Cartes (al governo dal 2013 al 2018) è stato più volte accusato di avere legami con un’estesa operazione di riciclaggio di denaro sporco legata al contrabbando di sigarette e al traffico di droga. Cartes, un potente magnate del tabacco, ha negato sostenendo che le accuse avessero una motivazione politica.

In una grande operazione condotta a febbraio con il coinvolgimento di Pecci, il procuratore ucciso in Colombia, la Senad ha sequestrato tenute, appartamenti, garage pieni di auto di lusso e perfino una chiesa evangelica, con l’accusa che avessero legami con soldi provenienti dal narcotraffico. Il ministro dell’interno del Paraguay, però, ha ammesso che i responsabili che hanno “ramificazioni in tutti i livelli della nostra società” sono ancora in libertà.

“I trafficanti stanno prendendo il controllo del Paraguay e delle sue istituzioni”, dice López Eulalio, un leader comunitario del dipartimento di San Pedro. “La società è stata completamente contaminata”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian. Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in America Latina. Ci si iscrive qui.

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