30 maggio 2020 11:58

Nell’inverno del 2010 l’azienda aerospaziale SpaceX si preparava a lanciare una capsula nello spazio. Si trattava di una dimostrazione per la Nasa, e la speranza dei vertici di SpaceX era quella di poter riuscire, un giorno, a inviare forniture sulla Stazione spaziale internazionale (Iss). Ma pochi giorni prima del lancio, quando gli ingegneri ispezionarono il razzo, trovarono una crepa sull’ugello del motore. Per smontare il meccanismo, riparare il pezzo e riassemblare tutto ci sarebbero volute diverse settimane, e SpaceX non voleva aspettare. Così Elon Musk – miliardario, ingegnere capo e amministratore delegato della società – decise di mandare un tecnico con un paio di cesoie a Cape Canaveral, per aggirare il problema ed eliminare il componente difettoso.

“Gli ingegneri della Nasa erano esasperati. ‘Che diavolo stiamo facendo?’, si domandavano”, ha ricordato in una recente intervista Garrett Reisman, ex astronauta della Nasa e consulente di SpaceX. “Sembrava una follia”. In più di un’occasione l’approccio radicale e frenetico di Musk è entrato in rotta di collisione con quello metodico e ponderato della Nasa.

Alla fine il lancio del razzo si è concluso senza problemi. Se quel giorno qualcuno avesse detto agli ingegneri che dieci anni dopo la Nasa avrebbe accettato di piazzare due dei suoi piloti migliori in una capsula della SpaceX per mandarli nello spazio, probabilmente non ci avrebbero creduto. “All’epoca la sfiducia reciproca era evidente, e anche la mancanza di rispetto”, ha raccontato Reisman, che all’epoca partecipava al programma.

Successo o catastrofe
Quel momento imprevedibile è arrivato il 27 maggio. Più o meno. Due astronauti della Nasa, Doug Hurley e Bob Behnken, erano pronti a partire da Cape Canaveral a bordo di una capsula di SpaceX, ma il volo è stato cancellato pochi minuti prima del decollo a causa di un fattore che né la Nasa ne SpaceX possono controllare: le condizioni meteorologiche. È stato un finale frustrante per una giornata carica di attesa, per quanto questo tipo di inconvenienti sia piuttosto comune nei voli spaziali.

SpaceX ci riproverà nel pomeriggio del 30 maggio.

Nonostante il rinvio del decollo, e anche senza considerare la pandemia che incombe sullo sfondo, la posta in gioco nell’operazione è altissima. Hurley e Behnken sono due astronauti esperti che in passato hanno già volato per quattro volte a bordo degli shuttle (e tra l’altro sono legati da una amicizia profonda), ma resta il fatto che la SpaceX non ha mai lanciato un veicolo con degli esseri umani a bordo. La Nasa, dal canto suo, non ha mai affidato una responsabilità così grande a un privato. L’ultima volta che un astronauta americano ha volato su un veicolo spaziale nuovo di zecca è stato nel 1981.

Un successo dell’operazione segnerebbe l’avvento di una nuova era per il programma spaziale degli Stati Uniti. La Nasa ha deciso di esternalizzare il compito più importante dell’intero programma: trasportare esseri umani oltre i confini che ci separano dal resto dell’universo, e poi riportarli a casa. E a raccogliere il testimone non è stato il programma spaziale di un altro paese ma una società privata statunitense con un’esperienza di lanci in orbita di appena dieci anni. Hurley e Behnken saranno i primi astronauti della storia a viaggiare su un velivolo privato, progettato interamente da ingegneri che lavorano per Musk e non per l’agenzia spaziale. È un esperimento grandioso, ma è anche un’anticipazione del probabile futuro dei viaggi spaziali, in cui le società commerciali potrebbero trasportare le persone oltre l’atmosfera terrestre.

Se la missione si concluderà senza intoppi, SpaceX potrebbe entrare nella cultura di massa come un tempo ha fatto la Nasa. Se invece qualcosa dovesse andare storto, la nuova era dei viaggi spaziali potrebbe concludersi prima ancora di cominciare.

Per più di cinquant’anni tutti gli astronauti della Nasa che hanno lasciato il nostro pianeta lo hanno fatto da Cape Canaveral

Volendo ridurre la storia delle missioni spaziali negli Stati Uniti a un singolo punto su una mappa, segnato da una semplice combinazione di coordinate, la scelta cadrebbe sicuramente sulla costa sabbiosa della Florida centrale. È da lì che sono decollati gli astronauti del programma Mercury, i primi americani a viaggiare nello spazio. È da lì che sono partiti gli astronauti del programma Gemini per esercitarsi nelle manovre oltre l’atmosfera terrestre. Ed è sempre lì che è cominciato lo storico viaggio lunare degli uomini dell’Apollo. Da quella costa sono decollati e atterrati gli shuttle, e sono state tragicamente perse alcune vite umane. Per più di cinquant’anni tutti gli astronauti della Nasa che hanno lasciato il nostro pianeta lo hanno fatto da Cape Canaveral.

Nel 2011 uno shuttle americano si innalzò elegantemente nel cielo sopra la costa della Florida. Gli spettatori osservavano estasiati dal basso mentre il veicolo spaziale si allontanava nel cielo, ma in quel caso ai comandi non c’era nessuno, e lo shuttle non era diretto nello spazio.

Quell’anno, infatti, gli shuttle furono caricati su una serie di aerei e trasportarti alla vecchia maniera nelle loro nuove case, in musei sparsi sul territorio nazionale. Dopo trent’anni e 135 missioni, il programma era arrivato alla conclusione. Gli astronauti americani avrebbero dovuto trovare un altro modo per andare nello spazio.

Negli ultimi nove anni gli astronauti della Nasa hanno viaggiato insieme ai cosmonauti russi, stretti in piccole capsule in partenza dalle piattaforme di lancio del Kazakistan per raggiungere l’unico insediamento umano lontano dalla Terra, la Stazione spaziale internazionale. Per quanto i vecchi nemici della Guerra fredda condividano ormai la gestione dell’Iss, gli statunitensi non hanno mai gradito il fatto di dover chiedere un passaggio ai russi. Dopo tutto il paese che ha mandato i suoi astronauti sulla Luna dovrebbe essere in grado di inviarli su una stazione orbitante a poca distanza dalla Terra.

Sganciarsi dai russi
Intanto a Cape Canaveral, tre anni dopo la definitiva partenza degli shuttle, è arrivata SpaceX, dopo aver firmato un contratto d’affitto per usare la piattaforma di lancio più famosa del paese.

Nello stesso anno, il 2014, la Nasa ha assegnato alla SpaceX un contratto da un miliardo di dollari per costruire un nuovo sistema per il trasporto degli astronauti. L’agenzia ha proposto lo stesso accordo alla Boeing. All’epoca non esisteva un’opzione interna, perché l’amministrazione di George W. Bush (2000-2008) aveva messo fine al programma Space shuttle e Barack Obama (2008-2016) aveva cancellato il piano di Bush di costruire una nuova flotta di velivoli per trasportare gli astronauti verso l’Iss e oltre.

Il nuovo programma, Commercial Crew, dovrebbe aiutare la Nasa a sganciarsi dai russi e a trasportare i suoi astronauti a bordo di velivoli che possano vantare un marchio “made in Usa”. L’accordo con Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, non è esattamente economico. Negli ultimi dieci anni il prezzo per un posto su un Soyuz è passato da cinquanta a novanta milioni di dollari. Il programma degli shuttle è stato cancellato anche per via dei costi eccessivi, e la Nasa spera che affidando il compito al settore privato e incaricando più di una società sarà possibile ridurre le spese per i viaggi in orbita. Oltre alla questione economica c’è anche quella del patriottismo: un paese che opera nello spazio dovrebbe essere nelle condizioni di far partire i suoi esploratori.

La Nasa si è sempre affidata agli appaltatori per la costruzione dei velivoli, dai lander lunari agli shuttle. Stavolta, però, l’agenzia spaziale non ha più il controllo delle operazioni come accadeva in passato. La costruzione dell’intero sistema, dai singoli bulloni alle toilette montate dentro le capsule, è stata affidata alle due ditte private.

Per la Nasa il rapporto con Boeing è piuttosto familiare, dato che l’industria aeronautica ha già collaborato spesso con l’agenzia spaziale ed è abituata a rispettarne le regole. Ma una start-up esuberante come SpaceX ha tutta l’intenzione di stabilire regole proprie.

Gli attriti tra la SpaceX e la Nasa non sono mai scomparsi del tutto, e gli scontri occasionali sono proseguiti fino all’anno scorso

Spesso la collaborazione è sembrata una sorta di esercizio di fiducia. Nel 2013 la capsula Dragon di SpaceX era in viaggio verso l’Iss. Il lancio era andato secondo i programmi, ma quando la capsula ha raggiunto l’orbita una valvola inceppata ha cominciato a creare scompiglio. Nella sala controlli, mentre gli ingegneri della SpaceX si affannavano per risolvere il problema ed erano pronti a interrompere la missione, gli esperti della Nasa osservavano nelle retrovie, sussurrando tra loro le possibili soluzioni.

Lori Garver, all’epoca viceamministratore della Nasa, era presente e avrebbe voluto intervenire per aiutare i colleghi della SpaceX prima che fosse troppo tardi. “Dovresti parlare con loro!”, ricorda di aver detto a Bill Gerstenmaier, all’epoca amministratore del settore dell’esplorazione umana. Ma Gerstenmaier non era intervenuto, perché voleva che gli ingegneri della SpaceX risolvessero il problema ed era convinto che ci sarebbero riusciti. Alla fine ha avuto ragione. “In quel momento ho capito che la Nasa stava cominciando ad accettare la situazione e che la collaborazione avrebbe funzionato”, mi ha raccontato recentemente Garver.

Gli incidenti di percorso si sono ripresentati nella fase iniziale del programma Commercial Crew. SpaceX ha proposto di affidare a tre dipendenti della Nasa l’incarico di supervisionare lo sviluppo di una versione della capsula Dragon destinata a trasportare gli astronauti. Ma la Nasa, racconta Garver, avrebbe preferito inviare trecento dipendenti. Alla fine si sono accontentati di trenta. “Nel suo primo decennio di attività la Nasa ha ottenuto risultati che appartengono alla storia dell’umanità”, sottolinea Garver riferendosi agli atterraggi lunari delle missioni Apollo. “Da quel momento per loro è sempre stato difficile accettare di doversi giustificare per qualsiasi cosa”.

Reisman ricorda la frustrazione dei dipendenti della SpaceX e la resistenza nei confronti dell’approccio prudente della Nasa. “C’erano persone che dicevano ‘Ehi, so benissimo che ti pesa fare le cose nello stile della Nasa, ma è importante, devi farlo’”, mi ha raccontato. Nel corso degli anni l’agenzia del governo e l’azienda hanno costruito quella fiducia reciproca indispensabile quando in gioco c’è la vita delle persone. Nei ricordi di Garver e Reisman, SpaceX e la Nasa sono state le protagoniste di una commedia in cui il lieto fine dipende dalla capacità dei personaggi principali di conoscersi meglio e scendere a compromessi.

Eppure gli attriti non sono mai scomparsi del tutto, e gli scontri occasionali sono proseguiti fino all’anno scorso. Quando Elon Musk ha fumato erba durante la registrazione di un podcast, la Nasa ha ordinato un’indagine sugli ambienti di lavoro della SpaceX. In un’altra occasione Musk ha preso in giro il programma della Nasa durante uno scontro pubblico con Jim Bridenstine, il capo dell’agenzia, per poi invitarlo nella sede di SpaceX per dimostrare che i due si erano riappacificati.

Trittico minimalista
Il 27 maggio Hurley e Behnken hanno indossato le tute nella stessa stanza in cui si erano preparati per i loro viaggi a bordo degli shuttle. Ma questa volta erano circondati da tecnici della SpaceX, che si affannavano intorno a loro indossando equipaggiamenti protettivi e controllando le tute alla ricerca di perdite e i caschi per garantire una comunicazione impeccabile.

Gli astronauti hanno trascorso un’infinità di ore nei simulatori e nelle strutture dedicate all’addestramento, abituandosi a nuovi veicoli completamente diversi da quelli su cui hanno volato in passato. Mentre gli interni dello shuttle erano funzionali e pieni di pannelli di controllo con interruttori vicinissimi tra loro – “se azioni l’interruttore sbagliato la tua giornata può trasformarsi in un incubo”, mi ha raccontato Hurley – il Crew Dragon è minimalista, con un trittico di schermi touch. Gli astronauti hanno comunque chiesto di piazzare pannelli di velcro sulle pareti per poter appoggiare gli strumenti evitando che fluttuino nella cabina. “In questo io e Bob siamo un po’ all’antica”, si è giustificato Hurley.

Quando la SpaceX ha progettato questo lussuoso ambiente non pensava solo a un volo di prova con un paio di astronauti. Anche se la Nasa ha contribuito a finanziare il progetto, infatti, non sarà l’unico cliente della capsula Dragon. Nei prossimi viaggi SpaceX potrebbe trasportare non solo astronauti ma anche cittadini abbastanza ricchi da potersi permettere il biglietto. La società ha già promesso di portare Tom Cruise sull’Iss per girare un film. Diversamente dagli shuttle, la capsula Dragon non ha bisogno di un pilota per attraccare nella stazione spaziale. Può volare in automatico, dal decollo all’ammaraggio.

Dietro questa estetica futuristica, però, resta il fatto che i viaggi spaziali comportano ancora enormi rischi a prescindere dalla destinazione, la Luna o appena oltre l’atmosfera terrestre. “Sono assolutamente convinto che SpaceX e la Nasa abbiano svolto un ottimo lavoro per minimizzare i rischi e incrementare la sicurezza per l’equipaggio”, sottolinea Wayne Hale, ex direttore di volo e amministratore del programma Space shuttle. “Ma questo non significa che viaggiare nello spazio sia sicuro”.

In passato la Nasa, sullo slancio della corsa alla luna con i sovietici, ha ripreso i viaggi spaziali anche dopo un devastante incendio che aveva spazzato via un equipaggio del programma Apollo e due incidenti in cui avevano perso la vita 14 astronauti. Ma oggi è difficile prevedere come reagirebbe l’opinione pubblica se un volo del programma Commercial Crew dovesse concludersi in tragedia. Gli americani accuserebbero la Nasa di aver delegato un aspetto cruciale del programma, affidando le vite degli astronauti a un privato? Il progetto rischierebbe di crollare sotto il peso delle critiche?

Il 27 maggio, mentre il conto alla rovescia si avvicinava allo zero, è toccato a un dirigente della SpaceX decidere se andare avanti oppure, come alla fine è successo, rimandare il lancio. “Quando si decolla la sala di controllo non è a Houston”, ammette Reisman, “ma a Hawthorne, in California, nella sede della SpaceX”.

Anche se ai comandi ci sono gli ingegneri della SpaceX, il personale della Nasa li segue da vicino, come ha fatto durante tutto il corso dello sviluppo del programma. L’agenzia spaziale ha fissato le regole per garantire la sicurezza degli astronauti, e l’ultima parola spetta all’amministratore della Nasa, non a Musk. “Se vediamo qualcosa che non ci convince abbiamo il diritto di intervenire”, mi ha spiegato Bridenstine il 27 maggio. Ma una situazione simile si verificherebbe solo in caso di estrema necessità, e Bridenstine spera che non si arrivi mai a tanto.

Per il momento l’istantanea più significativa non è quella del razzo in posizione di lancio, o la panoramica della sala controllo con gli ingegneri della SpaceX ai comandi, per quanto queste scene siano effettivamente state surreali. L’immagine più eclatante è quella dei due astronauti a bordo di un’automobile, naturalmente una Model X della Tesla, lungo il breve tragitto verso la rampa di lancio, con l’inconfondibile logo della Nasa stampato sugli sportelli.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sull’Atlantic.

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