15 luglio 2022 10:08

Nikólaos Michaloliákos, 62 anni, è un uomo arrabbiato. È arrabbiato da molto tempo, da quando aveva appena 16 anni. Cioè da quando, nel luglio del 1976, la giunta militare (il regime dei colonnelli) che governava la Grecia dall’aprile del 1967, viene sostituita da un governo democraticamente eletto.

Se per molti in occidente la caduta di una dittatura militare, sostituita da una democrazia liberale moderna, è considerato uno sviluppo positivo, Michaloliákos non era della stessa opinione. Alla vigilia della rivoluzione, viene arrestato davanti all’ambasciata britannica ad Atene per aver protestato con violenza contro la cacciata dei colonnelli. Ed è allora che intraprende il suo percorso politico.

Quando esce di prigione, comincia a radunare sostenitori con idee simili alle sue, con i quali nel 1980 fonda una rivista chiamata Chrysi Avgi, alba dorata, dalla quale spiega ai suoi pochi lettori che la democrazia è una cosa negativa e che le dittature sono la migliore forma di governo. Dopo diversi tentativi falliti di entrare in partiti di estrema destra, Michaloliákos porta il suo gruppo a fare un passo avanti, fondando l’Associazione popolare alba dorata, con una piattaforma ideologica che rende totalmente chiaro che i suoi militanti hanno posizioni neonaziste.

Gli appartenenti ad Alba dorata sostenevano, e continuano a sostenere, che la Grecia sia controllata da una tirannia democratica. Più nello specifico, affermano che le politiche liberali dei partiti principali consentono a elementi stranieri di infiltrare il paese, conducendo a uno scippo della patria e alla contaminazione della razza e del patrimonio culturale della Grecia. La crisi dei rifugiati in Europa del 2015 ha incoraggiato il partito neonazista a diffondere il proprio messaggio ancor più strenuamente, nella speranza di trovare un’accoglienza più favorevole.

Un’anomalia politica
Oltre all’uso di simboli nazisti, i militanti di Alba dorata credono che la nazione greca si basi su un fondamento di superiorità razziale, e che sia una diretta continuazione della gloriosa razza greca che nell’antichità ha generato figure come quella del re spartano Leonida e Alessandro Magno. Inoltre sostengono che la società greca sia stata rovinata da anni di degenerazione politica, culturale e morale, e che la Grecia moderna è solo una pallida ombra del glorioso passato della nazione. I militanti affermano che saranno loro quelli che combatteranno per raggiungere quella “alba dorata” in cui, come una fenice che sorge dalle ceneri, la Grecia si solleverà dalle rovine di ciò che è diventata e riconquisterà la gloria perduta dei suoi antenati.

Ma nonostante tutta la sua ideologia e il desiderio di diventare qualcosa di grande, per buona parte della sua esistenza Alba dorata è rimasta solo una marginale anomalia politica. Nel 1996, la prima volta che il partito si è presentato alle elezioni, ha preso appena lo 0,1 per cento dei voti (circa settemila preferenze). Ma poi qualcosa è cambiato.

Nel 2008 la Grecia è sprofondata in una grave crisi economica, dalla quale solo di recente è riuscita in una certa misura a riprendersi. In circostanze che ricordano gli eventi della Germania degli anni trenta, Alba dorata ha visto l’opportunità e si è lanciata, promettendo di far approvare riforme economiche, punire i responsabili della crisi e ristabilire l’orgoglio infranto dei greci. Intanto, mentre le dispense dei greci restavano vuote, il movimento inviava squadre in tutto il paese a consegnare pacchi alimentari, aiutava le donne anziane ad attraversare la strada e parlava con fierezza di speranza in un paese che vacillava sull’orlo della disperazione.

Sono pochissimi i greci che si identificano con l’ideologia razzista e ultranazionalista del partito, ma hanno scelto di votarli per “dare una scossa al sistema”

E ha funzionato. Nelle elezioni del 2012 il partito è salito al 6,97 per cento dei voti (440.985 preferenze), diventando il terzo partito in parlamento. Nelle elezioni del 2014 per il Parlamento europeo quasi un greco su dieci (il 9,4 per cento) ha votato per il partito, attirando le attenzioni da tutto il mondo. Sostanzialmente, mai i nazisti erano arrivati tanto vicini al potere dopo il terzo reich.

Diversi studi hanno cercato di capire come la Grecia, che ha sofferto enormemente sotto l’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale, abbia potuto consentire a un partito con caratteri neonazisti così marcati di diventare tanto forte. I più sono arrivati alla conclusione che Alba dorata sia diventata così potente non perché è un partito neonazista, ma nonostante questo. Sono pochissimi i greci che si identificano con l’ideologia razzista e ultranazionalista del partito, ma hanno scelto di votarli per “dare una scossa al sistema”, pensando che solo un partito aggressivo e del tutto sfacciato come Alba dorata potesse realmente generare un bello scossone. Non avevano idea di quanto questa idea fosse azzeccata.

Il 18 settembre 2013 la polizia di Atene riceveva una chiamata urgente per intervenire in un caffè nel quartiere Keratsini. Quando sono arrivati, gli agenti di polizia hanno trovato Pavlos Fyssas, un rapper di 34 anni noto come Killah P e riconducibile alla sinistra greca, steso a terra con gravi ferite da taglio. Prima di morire, Fyssas è riuscito a dare un nome al suo assassino, un noto attivista di Alba dorata, arrestato sul posto. La prima telefonata che il sospettato ha fatto dal carcere è stata all’ufficio di Michaloliákos.

Nel corso delle indagini sull’omicidio del rapper antifascista la polizia ha fatto irruzione negli uffici del movimento neonazista, confiscando prove che hanno portato a un’inchiesta nei confronti di altri attivisti di Alba dorata, sospettati di coinvolgimento in casi di aggressioni violente ai danni di rifugiati e immigrati, fino ad allora irrisolti. Alcuni dei parlamentari del movimento sono stati scoperti in possesso di souvenir del terzo reich.

La Grecia è andata in tumulto per l’omicidio di Fyssas. Non appena si è chiarito che Alba dorata era coinvolta, i greci si sono rivoltati contro il movimento. L’ostracismo pubblico è stato così vasto che nelle elezioni politiche del 2019 il partito non è riuscito a superare la soglia di sbarramento minima ed è stato spazzato via dalla scena politica.

Anche sul fronte legale Alba dorata ha subìto un colpo letale. Nell’ottobre 2020, dopo un processo di cinque anni per le accuse di omicidio, aggressione violenta ai danni di migranti e attivisti di sinistra e possesso illegale di armi, decine di attivisti e tutti i leader del partito, tra cui l’esponente di spicco Michaloliákos, sono stati condannati per appartenenza e conduzione di un’organizzazione criminale. Quel giorno il grido “Fuori i nazisti” e l’esultanza davanti all’aula di tribunale sono risuonati per tutta l’Europa. Alba dorata cessava di esistere in quanto partito e il suo leader, trovato in possesso di armi e munizioni illegali, veniva condannato a 13 anni di carcere.

Anche se gli imputati sono stati processati per le loro azioni e non per la loro ideologia, il procedimento nei loro confronti è stato definito il più importante processo nei confronti di nazisti dopo quello di Norimberga. Ma nonostante le condanne e le lunghe pene detentive ricevute, i militanti di Alba dorata non avevano ancora avuto la loro ultima parola.

Il 15 giugno 2022 infatti è cominciato un nuovo processo contro di loro, dopo che la corte aveva accolto il ricorso in appello. Nel sistema legale greco, soprattutto in casi con un alto profilo pubblico, se l’appello di un condannato viene accolto, il procedimento giudiziario ricomincia da capo davanti a un collegio di giudici più ampio, cinque anziché i tre del primo processo.

Perciò nei prossimi anni, a gruppi, cinquanta imputati torneranno ancora una volta alla sbarra. Quaranta di loro stanno scontando o hanno già scontato pesanti pene in carcere, tra questi sette ex deputati e alcuni condannati per concorso in omicidio.

Di nuovo alla ribalta
Gli imputati più importanti sono Michaloliákos e sua moglie Eleni Zaroúlia; Ioannias Lagos, che è stato eletto al parlamento europeo e in quanto tale è stato protetto dall’immunità fino a quando è stato espulso ed estradato in Grecia un anno fa per scontare una pena di 13 anni; e Chrístos Pappás, che fino a pochi mesi fa era riuscito a sfuggire alla polizia.

I processi in appello non sono stati una sorpresa per nessuno in Grecia, ma certamente la notizia sta turbando i sonni delle famiglie delle vittime aggredite da Alba dorata. Il loro grande timore è che alcuni dei ricorrenti in appello vedranno le proprie sentenze ridotte, o che addirittura potrebbero essere liberati.

Durante il precedente processo, durato anni, gran parte degli imputati girava a piede libero e i loro avvocati avevano interesse a trascinare il procedimento il più a lungo possibile. Ora che gli accusati sono già in carcere, si prevede che il processo in atto possa concludersi in meno di due anni.

Ma mentre i ricorrenti sperano di essere scarcerati o di vedere ridotte le proprie condanne, anche l’accusa ha preso l’iniziativa presentando a sua volta appello e sostenendo che le prime sentenze sono state troppo indulgenti e dovrebbero essere aumentate.

L’etichetta politica “alba dorata” è diventata tossica, e in pochi vogliono ancora averci a che fare. A differenza del primo processo, quando avevano ancora potere politico e risorse economiche, i militanti di Alba dorata arrivano a questo processo da una posizione di debolezza, e molti di loro hanno chiesto di essere rappresentati da un difensore d’ufficio.

“L’esito sarà enormemente significativo”, ha dichiarato al Guardian Petros Constantinou, coordinatore di Keerfa, l’attivissimo fronte antifascista greco. “In un momento in cui la guerra in Ucraina ha riacceso gli animi dei fascisti in tutta Europa, il messaggio dev’essere di tolleranza zero”.

Michaloliákos non sarà presente in aula a causa di problemi di salute. Il leader di Alba dorata, noto anche per essere un fervente antivaccinista, è stato ricoverato all’inizio di quest’anno con il covid-19 e solo di recente è stato trasferito dalla terapia intensiva a un reparto di riabilitazione.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.

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