19 maggio 2023 14:26

Questo articolo è uscito il 2 luglio 2021 sul numero 1416 di Internazionale.

Alla fine di una conversazione sugli aspetti più profondi dell’esistenza umana, il filosofo Galen Strawson ha fatto una pausa e poi mi ha chiesto: “Ha già parlato con qualcun altro che ha ricevuto strane email?”. Ha cercato un file sul suo computer e ha cominciato a leggere i messaggi allarmanti che lui e altri studiosi avevano ricevuto negli ultimi anni. Alcuni erano lamentosi, altri offensivi, ma tutti contenevano pesanti accuse. “L’anno scorso avete contribuito a distruggere la mia vita”, aveva scritto qualcuno. “Ho perso tutto per colpa vostra: mio figlio, il mio partner, il mio lavoro, la mia casa, la mia salute mentale. Mi avete detto che non avevo nessun controllo sulla mia vita, che non ero responsabile di ciò che facevo, che mio figlio non era responsabile di quello che faceva. Buona fortuna per il resto della vostra malvagia e patetica esistenza”.

“Marcisci nella tua merda Galen”, diceva un altro messaggio all’inizio del 2015. “Mia moglie, i miei figli, i miei amici, hai rovinato tutti i risultati che hanno ottenuto, brutto stronzo”, scriveva la stessa persona, che poi lo avvertiva: “Io ti rovino”. E qualche giorno dopo: “Sto venendo a prenderti”. “A quel punto ho dovuto chiamare la polizia”, mi ​​ha detto Strawson. Da allora le minacce sono cessate.

È già successo che dei filosofi ricevano minacce di morte. Lo studioso di etica australiano Peter Singer, per esempio, ne ha ricevute molte dopo aver affermato che, in circostanze eccezionali, potrebbe essere moralmente giustificabile uccidere i neonati con gravi disabilità. Ma Strawson e gli altri destinatari di questa ondata di insulti avevano semplicemente ribadito una posizione già espressa in un vecchio dibattito che molti considerano la quintessenza della “filosofia da salotto”, lontanissimo dai grovigli emotivi della vita reale. Negano che gli esseri umani possiedano il libero arbitrio, e sostengono che le nostre scelte sono determinate da forze che sfuggono al nostro controllo, quindi nessuno è mai totalmente responsabile delle proprie azioni. Rileggendo le email, Strawson si è trovato a provare comprensione per l’angoscia dei suoi molestatori. “Penso che per loro sia una catastrofe esistenziale”, ha detto. “E credo di capire perché”.

La difficoltà di spiegare l’enigma del libero arbitrio a chi non ha familiarità con l’argomento non dipende dal fatto che è oscuro o complesso. È che l’esperienza di possedere il libero arbitrio – la sensazione di essere responsabili delle nostre scelte – è così fondamentale per l’esistenza di ognuno che può essere difficile avere la distanza mentale necessaria per valutare la questione. Supponiamo che un pomeriggio abbiate un po’ fame, perciò andate al cesto della frutta in cucina, dove vedete una mela e una banana. Si dà il caso che scegliate la banana. Ma sembra assolutamente ovvio che eravate liberi di scegliere la mela o nessuna delle due o entrambe. Questo è il libero arbitrio: se riavvolgessimo il nastro della storia del mondo fino all’istante appena prima della vostra decisione, con tutto il resto dell’universo esattamente identico, avreste potuto prenderne una diversa.

Niente potrebbe essere più evidente. Eppure, secondo un numero sempre più grande di filosofi e scienziati, non è possibile che sia così. “Questo tipo di libero arbitrio è escluso dalle leggi della fisica”, afferma il biologo evoluzionista Jerry Coyne. Psicologi di spicco come Steven Pinker e Paul Bloom sono d’accordo, e a quanto pare lo era anche Stephen Hawking, insieme a molti eminenti neuroscienziati, tra cui VS Ramachandran, che ha definito il libero arbitrio “un concetto intrinsecamente imperfetto e incoerente” nella sua recensione del bestseller di Sam Harris Free will, che sostiene la stessa tesi. Secondo Yuval Noah Harari il libero arbitrio è un mito anacronistico, che forse è stato utile in passato per motivare le persone a combattere contro i tiranni o le ideologie oppressive, ma è stato reso obsoleto dalla capacità della moderna scienza dei dati di conoscerci meglio di quanto conosciamo noi stessi, e quindi di prevedere e manipolare le nostre scelte.

“Se la gente capisse di che si tratta sarebbe semplicemente troppo spaventoso”

Gli argomenti contro il libero arbitrio risalgono a millenni fa, ma l’ultima ondata di scetticismo è dovuta ai progressi delle neuroscienze negli ultimi decenni. Oggi che è possibile osservare l’attività fisica del cervello associata alle nostre decisioni, è più facile vedere queste come una delle tante componenti della meccanica dell’universo materiale, in cui il “libero arbitrio” non ha alcun ruolo. Dagli anni ottanta in poi, inoltre, varie scoperte neuroscientifiche hanno offerto scomodi indizi del fatto che le nostre cosiddette libere scelte potrebbero in realtà avere origine nel nostro cervello diversi millisecondi (o anche molto di più) prima che ci rendiamo conto anche solo di averle pensate.

Anche se alcuni la definiscono filosofia da salotto, la verità è che la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Se si dimostrasse che il libero arbitrio non esiste – e se dovessimo davvero accettare quest’idea – “scoppierebbe una guerra culturale molto più violenta di quella che è stata combattuta sul tema dell’evoluzione”, ha scritto Harris. Probabilmente saremmo costretti a concludere che non ha senso lodare o criticare qualcuno per le sue azioni, dal momento che non ha veramente scelto di compierle. Né avrebbe senso sentirci in colpa per i nostri misfatti o provare orgoglio per i nostri successi e gratitudine per la gentilezza degli altri. E potremmo arrivare a pensare che sia moralmente ingiustificabile infliggere punizioni ai criminali, dal momento che non potevano scegliere di non commettere i loro reati. Alcuni temono che tutti i rapporti umani potrebbero essere fatalmente sminuiti, dal momento che l’amore romantico, l’amicizia e la cortesia nei confronti del prossimo dipendono tutti dal presupposto che sia stata fatta una scelta: perché valga qualcosa, ogni gesto amorevole o rispettoso deve essere volontario. Se ci affacciamo per un po’ sul precipizio del libero arbitrio, cominciamo a capire come una persona già psicologicamente vulnerabile possa entrare in crisi. Harris ha inserito all’inizio dei suoi podcast sul libero arbitrio un avvertimento, in cui consiglia alle persone che trovano l’argomento angosciante di non ascoltarli. Saul Smilansky, che insegna filosofia all’università di Haifa, mi ha detto che se uno studente incline alla depressione cercasse di approfondire l’argomento con lui, cercherebbe di dissuaderlo. “Io sono ottimista per natura”, mi ha detto. “Ma se lo prendi sul serio, il problema del libero arbitrio è davvero deprimente. Non mi ha reso felice, e se tornassi indietro forse sceglierei un argomento diverso”.

Smilansky è un sostenitore di quello che chiama “illusionismo”, l’idea che sebbene il libero arbitrio come lo intendiamo normalmente non esista, è fondamentale che le persone continuino a crederci. Di conseguenza un articolo come questo potrebbe essere pericoloso. Vent’anni fa probabilmente si sarebbe rifiutato di rispondere alle mie domande, dice, ma oggi lo scetticismo è così diffuso che ormai “la frittata è fatta”. “A livello più profondo, se la gente capisse veramente di che si tratta – e non credo di averne completamente interiorizzato le implicazioni io stesso, anche dopo tutti questi anni – sarebbe semplicemente troppo spaventoso”, dice Smilansky. “Per chiunque sia dotato di una profondità emotiva e morale, è davvero deprimente e distruttivo. Minaccia il nostro senso del sé e del valore personale. La verità è troppo terribile”.

Il demone di Laplace
L’idea che nessuno scelga mai liberamente di fare qualcosa – che siamo tutti burattini in balia di forze al di fuori del nostro controllo – spesso sembra balenare nella mente dei suoi sostenitori all’inizio della loro carriera intellettuale, come un’improvvisa intuizione. “Nel 1975 ero seduto in biblioteca e non avevo idea di che argomento scegliere per la mia tesi di dottorato”, ricorda Strawson. “Stavo leggendo qualcosa sulle opinioni di Kant sul libero arbitrio e rimasi molto colpito. Era proprio così”. La logica, una volta intuita, sembra freddamente inesorabile. Comincia da quella che sembra una verità ovvia: tutto ciò che succede nel mondo dev’essere stato causato da cose che sono successe prima. E quelle cose devono essere state causate da cose che sono successe ancora prima, e così via, fino all’alba dei tempi. Causa dopo causa, tutte seguono le prevedibili leggi della natura, anche se non le abbiamo ancora comprese. È abbastanza facile capirlo nel contesto del mondo puramente fisico delle rocce, dei fiumi e dei motori a combustione interna. Ma sicuramente “da cosa nasce cosa” anche nel mondo delle decisioni e delle intenzioni. Le nostre decisioni e intenzioni implicano un’attività neurale, e perché un neurone dovrebbe essere esente dalle leggi della fisica più di una roccia?

Quindi nell’esempio del cesto della frutta, in primo luogo esistono motivi fisiologici per la nostra sensazione di fame, e ci sono motivi – nei nostri geni, nella nostra educazione o nel nostro ambiente – che ci spingono a soddisfarla con la frutta piuttosto che con una scatola di ciambelle. E la preferenza per la banana rispetto alla mela dev’essere stata causata da ciò che è successo prima, compreso lo schema dei neuroni che si attivano nel nostro cervello, che è stato esso stesso causato e così via, in una catena che risale fino alla nostra nascita e oltre, fino alla nascita del cosmo.

Ma se tutto questo è vero, non c’è semplicemente spazio per il tipo di libero arbitrio che possiamo immaginare di avere quando vediamo la mela e la banana e ci chiediamo quale scegliere. Per avere ciò che nel gergo accademico viene chiamato libero arbitrio “controcausale” – secondo il quale se riavvolgiamo il nastro della storia fino al momento della scelta, potremmo farne una diversa – dovremmo in qualche modo uscire dalla realtà fisica. Per fare una scelta che non fosse semplicemente l’anello successivo della catena ininterrotta di cause, dovremmo essere in grado di staccarci da tutto, diventare un’entità spettrale separata dal mondo materiale ma misteriosamente ancora in grado di influenzarlo. Ovviamente, però, non possiamo raggiungere questo presunto luogo esterno all’universo, separato da tutti gli atomi che lo compongono e dalle leggi che li governano. Non siamo che una parte degli atomi dell’universo, governati dalle stesse leggi prevedibili di tutti gli altri.

Nel 1814 l’erudito francese Pierre-Simon Laplace espresse in modo più sintetico questo rompicapo: come può esistere il libero arbitrio in un universo in cui gli eventi seguono inesorabilmente il loro corso come gli ingranaggi di un orologio? Il suo esperimento mentale è noto come il demone di Laplace: se un ipotetico essere superintelligente, o demone, potesse in qualche modo conoscere la posizione di ogni atomo dell’universo in un dato momento e tutte le leggi che governano le loro interazioni, potrebbe predire il futuro nella sua interezza. Non ci sarebbe nulla che non potrebbe sapere del mondo tra cento o mille anni, fino al minimo fremito dell’ala di un passero. Potremmo pensare di aver scelto di sposare il nostro partner o di ordinare un’insalata piuttosto che delle patatine come contorno, ma in realtà il ​​demone di Laplace l’avrebbe saputo da sempre estrapolandolo dall’infinita catena delle cause. “Per un intelletto simile”, dice Laplace, “nulla potrebbe essere incerto, e il futuro, proprio come il passato, sarebbe presente davanti ai suoi occhi”.

È vero che dai tempi di Laplace le scoperte della fisica quantistica hanno suggerito che alcuni eventi, a livello di atomi ed elettroni, sono realmente casuali, il che significa che neanche un ipotetico megacervello potrebbe prevederli in anticipo. Ma poche persone coinvolte nel dibattito sul libero arbitrio pensano che questo faccia una differenza fondamentale. Quelle piccole fluttuazioni probabilmente sono quasi irrilevanti per la vita sulla scala in cui la viviamo come esseri umani. E in ogni caso, non c’è più libertà nell’essere soggetti ai comportamenti casuali degli elettroni di quanta ce ne sia nell’essere schiavi di leggi causali predeterminate. In ogni caso, a muovere i fili è qualcosa di diverso dal nostro libero arbitrio.

Nessun colpevole
L’implicazione di gran lunga più sconvolgente dell’inesistenza del libero arbitrio è quello che sembra dirci sulla moralità: nessuno merita mai veramente una ricompensa o una punizione per ciò che fa, perché ciò che fa è il risultato di forze deterministiche cieche (con l’aggiunta, forse, di un po’ di casualità quantistica). “Per uno scettico del libero arbitrio”, scrive Gregg Caruso in Just deserts, una raccolta di dialoghi con il suo collega filosofo Daniel Dennett, “non è mai giusto trattare qualcuno come se fosse moralmente responsabile”. Se dovessimo accettare le implicazioni di questa teoria, il modo in cui ci trattiamo a vicenda – e in particolare il modo in cui trattiamo i criminali – potrebbe cambiare drasticamente.

Consideriamo il caso di Charles Whitman. La notte del 1 agosto 1966, Whitman – un ex marine statunitense di 25 anni estroverso e apparentemente stabile – raggiunse l’appartamento di sua madre a Austin, nel Texas, e la uccise a coltellate. Poi tornò a casa e uccise sua moglie nello stesso modo. Quello stesso giorno salì in cima a un edificio del campus dell’università del Texas armato fino ai denti e cominciò a sparare a caso per circa un’ora e mezza. Quando fu ucciso dalla polizia, erano morte 12 persone e un’altra sarebbe morta anni dopo per le ferite riportate.

Poche ore dopo il massacro le autorità trovarono un messaggio che Whitman aveva scritto la sera prima. “Non capisco bene cosa mi spinga a scrivere questa lettera”, diceva. “Forse è per dare una vaga spiegazione delle mie azioni. In questi giorni non mi capisco proprio. Dovrei essere un giovane mediamente ragionevole e intelligente. Ma da qualche tempo sono vittima di pensieri ricorrenti strani e irrazionali, e devo fare un enorme sforzo mentale per concentrarmi sulle attività utili. Dopo la mia morte vorrei che fosse eseguita un’autopsia per vedere se ho qualche problema fisico”. Dopo i primi due omicidi, aveva aggiunto: “Forse la ricerca può impedire ulteriori tragedie di questo tipo”. L’autopsia fu eseguita, e rivelò la presenza di un grosso tumore che premeva sull’amigdala, la parte del cervello che governa la reazione “combatti o fuggi” alla paura.

Secondo alcuni filosofi determinismo e libero arbitrio sono compatibili

Come ammettono gli scettici del libero arbitrio che prendono come esempio questo caso, non possiamo sapere se sia stato il tumore a causare il comportamento di Whitman. Quello che sembra chiaro è che certamente può essere stato così, e che quasi tutti, quando lo scoprono, cambiano atteggiamento nei suoi confronti. Non rende gli omicidi meno orribili, ma la sua furia omicida comincia a sembrare non tanto l’atto malvagio di un uomo malvagio quanto il terribile sintomo di un disturbo, di cui lo stesso Whitman è stato vittima. Lo stesso vale per un altro malfattore molto citato nella letteratura sul libero arbitrio, il soggetto anonimo del saggio del 2003 Right orbitofrontal tumor with pedophilia symptom and constructional apraxia sign, un insegnante di 40 anni che improvvisamente aveva sviluppato impulsi pedofili, aveva cominciato a frequentare siti di pornografia minorile ed era stato condannato per molestie su minori. Poco dopo gli fu diagnosticato un tumore al cervello. Quando il tumore fu rimosso, i suoi impulsi pedofili svanirono. Un anno dopo tornarono, e dalla scansione cerebrale emerse un altro tumore.

Se in questi casi pensiamo che la presenza di un tumore al cervello sia in qualche modo una scusante, dobbiamo porci una domanda scomoda: cos’ha di tanto speciale un tumore rispetto a tutti gli altri modi in cui il cervello spinge le persone ad agire? Quando si scopre la specifica catena di cause scattata nel cranio di Charles Whitman, tendiamo a pensare che sia meno responsabile dei terribili atti che ha commesso. Ma chiunque commetta un atto immorale ha un cervello in cui c’è stata una catena di cause che hanno portato a quell’atto. Se così non fosse, non lo avrebbe mai commesso. “Un disturbo neurologico è solo un caso particolare di evento fisico che dà origine a pensieri e azioni”, riassume Harris. “Comprendere la neurofisiologia del cervello, quindi, escluderebbe la responsabilità di un individuo quanto la scoperta di un tumore”. Ne consegue che, a mano a mano che capiremo sempre meglio come funziona il cervello, illumineremo gli ultimi angoli oscuri in cui potrebbe annidarsi quello che chiamiamo “libero arbitrio”, e saremo costretti ad ammettere che un criminale è solo qualcuno che ha avuto la sfortuna di trovarsi alla fine di una catena causale che culmina in un delitto. Possiamo ancora dire che quel crimine è moralmente inaccettabile, ma non possiamo ritenere il criminale personalmente responsabile. O almeno è qui che la logica sembra condurre le nostre menti moderne: esiste una tradizione alternativa che risale agli antichi greci, secondo cui possiamo essere ritenuti comunque responsabili di ciò che il destino ha deciso per noi.

Per Caruso questo significa che la giustizia retributiva – punire un criminale perché se lo merita, piuttosto che per proteggere la collettività o essere di monito agli altri – non può mai essere giustificata. Anche lui ha ricevuto email di insulti da persone turbate dalle implicazioni di questa teoria. La punizione è fondamentale per tutti i moderni sistemi di giustizia penale, ma secondo Caruso “è un’ingiustizia morale ritenere qualcuno responsabile di azioni che sfuggono al suo controllo”. Alcune ricerche psicologiche suggeriscono che le persone credono nel libero arbitrio anche perché vogliono soddisfare il loro desiderio di punire. “Vengono a conoscenza di un’azione che disapprovano, hanno un gran desiderio di incolpare o punire qualcuno, quindi attribuiscono all’autore il grado di controllo sulle proprie azioni che sarebbe necessario per giustificare la punizione”. Non è un caso che la controversia sul libero arbitrio s’intrecci con il dibattito religioso: i peccatori devono scegliere liberamente di peccare affinché la punizione divina sia giustificata.

Caruso è favorevole a un modello di giustizia che chiama “quarantena per motivi di salute pubblica”, che trasformerebbe gli istituti penali rendendoli molto più umani. Si potrebbe imprigionare un assassino in base alla stessa logica per cui si può chiedere a una persona infetta da ebola di mettersi in quarantena per proteggere la comunità. Ma non si avrebbe il ​​diritto di rendere l’esperienza più spiacevole del necessario. E bisognerebbe rilasciarlo appena non rappresenta più una minaccia. L’obiettivo principale sarebbe risolvere i problemi sociali per prevenire i reati, proprio come i sistemi sanitari pubblici devono prevenire le malattie.

Si è tentati di provare a svincolarsi da queste implicazioni sostenendo che, anche se le persone forse non scelgono di seguire i loro peggiori impulsi, possono scegliere di resistergli. Si può provare l’impulso di uccidere qualcuno ma non cedere, o magari chiedere aiuto a uno psichiatra. Possiamo farci carico della nostra personalità. In fondo, non lo facciamo ogni volta che decidiamo di acquisire una nuova abilità professionale, imparare ad ascoltare o rimetterci in forma? Ma questa non è la scappatoia che potrebbe sembrare. Dopotutto, insistono gli scettici del libero arbitrio, se riesci a cambiare in meglio la tua personalità, devi già possedere il tipo di personalità in grado di attuare quel cambiamento, e questo non lo hai scelto. Niente di tutto questo ci impone di credere che le peggiori atrocità siano meno spaventose di quanto pensassimo. Ma implica che i loro autori non possono essere ritenuti personalmente responsabili. Se tu fossi nato con i geni di Hitler e avessi avuto le stesse esperienze di Hitler, saresti Hitler, ed è solo un caso se non lo sei. Alla fine, come dice Strawson, “è tutta questione di fortuna”.

Sapersi accontentare
Dato che la tesi contro il libero arbitrio sembra così inattaccabile, può essere sorprendente scoprire che la maggior parte dei filosofi la respinge: secondo un sondaggio solo il 12 per cento di loro ne è convinto. E il disaccordo può essere molto aspro, in parte perché la negazione del libero arbitrio rientra in una tendenza che alcuni filosofi trovano molto seccante: quella degli scienziati che esprimono giudizi drastici su dibattiti che agitano la filosofia da anni, come se quegli ottusi studiosi stessero solo aspettando che i fisici e i neuroscienziati gli spieghino come stanno le cose.

La cosa ancora più sorprendente, e difficile da comprendere, è che la maggior parte di quelli che difendono il libero arbitrio non rifiuta l’affermazione più eclatante degli scettici: ogni scelta che facciamo potrebbe essere stata predeterminata. Quindi nell’esempio del cesto della frutta, la maggioranza dei filosofi concorda sul fatto che, se riavvolgessimo il nastro fino al momento della scelta, con tutto l’universo esattamente uguale, non avremmo potuto fare una scelta diversa. Quel tipo di libero arbitrio è “illusorio come i fantasmi”, dice Dennett. Quello che affermano, invece, è che questo non ha importanza: anche se forse le nostre scelte sono determinate, ha comunque senso dire che siamo liberi di scegliere. Per questo sono definiti “compatibilisti”: pensano che determinismo e libero arbitrio siano compatibili. Altri filosofi, tra cui molti cristiani, pensano invece che abbiamo davvero un libero arbitrio “sovrannaturale”.

A quelli che trovano convincente la tesi contro il libero arbitrio, il compatibilismo sembra a prima vista bizzarro. Come possiamo essere liberi di scegliere se non siamo, in effetti, liberi di scegliere? Ma per comprendere il punto di vista dei compatibilisti bisogna pensare al libero arbitrio non come una sorta di magia, ma come una capacità comune, che quasi tutti gli adulti possiedono. Per la maggior parte dei compatibilisti, “essere liberi” significa solo avere la capacità di pensare a ciò che si vuole, riflettere sui propri desideri, agire in base a essi e talvolta ottenere ciò che si vuole. Quando scegliamo la banana come nel nostro esempio, siamo chiaramente in una situazione diversa rispetto a chi prende la banana perché qualcuno gli sta puntando una pistola alla testa, o a chi è afflitto da una dipendenza che lo costringe ad afferrare tutte le banane che vede. In tutti questi casi le nostre azioni dipendono da una catena ininterrotta di cause che risale alla notte dei tempi. Ma a chi importa? In uno dei casi il soggetto è chiaramente più libero che negli altri.

“Gli scettici fanno tutti le stesse due mosse”, dice il filosofo compatibilista Eddy Nahmias. “Prima affermano: ‘Questo significa libero arbitrio’”, ed è sempre qualcosa che è impossibile avere nella realtà in cui viviamo. “E poi la negano. Ma così è troppo facile”. Pensate all’ipnosi. Un tipico scettico del libero arbitrio potrebbe sostenere che una persona che viene costretta sotto ipnosi a comprare qualcosa non è meno libera di una che tira fuori la carta di credito di sua iniziativa. Dopotutto, la sua idea di libero arbitrio implica che la scelta non sia stata completamente determinata da cause precedenti, mentre in entrambi i casi, con o senza ipnosi, lo è stata. “Ma su, questo è irritante”, dice la filosofa Helen Beebee. “Non m’interessa se lo chiami ‘libero arbitrio’ o ‘agire liberamente’ o qualsiasi altra cosa: è ovvio che è importante per tutti se vengono costretti a fare le cose sotto ipnosi o no”.

Certo, la versione compatibilista del libero arbitrio può essere meno entusiasmante, ma non per questo è priva di valore. In effetti, potrebbe essere (per citare un’altra frase di Dennett) l’unico tipo di “libero arbitrio che vale la pena di desiderare”. Provi il ​​desiderio di un certo frutto, agisci di conseguenza e lo prendi, senza che uomini armati o disturbi interni influenzino la tua scelta. Come si potrebbe essere più liberi di così?

Pensare al libero arbitrio in questo modo permette di leggere in modo diverso alcuni famosi esperimenti condotti negli anni ottanta dal neuroscienziato statunitense Benjamin Libet, che sono stati interpretati come la prova scientifica che il libero arbitrio non esiste. Collegando i suoi soggetti a un elettroencefalografo e chiedendogli di muovere un dito in un momento a loro scelta, Libet trovò che la loro decisione poteva essere rilevata dall’attività cerebrale 300 millisecondi prima che prendessero una decisione consapevole. Altri studi hanno rilevato un’attività fino a 10 secondi prima di una scelta consapevole. Come si può dire che questi soggetti abbiano preso le loro decisioni liberamente se gli strumenti di laboratorio conoscevano le loro decisioni con così tanto anticipo? Ma per la maggior parte dei compatibilisti, questo non è un problema. Come ogni altra cosa, le nostre scelte consapevoli sono frutto di una catena causale di processi neurali, quindi ovviamente alcune attività cerebrali precedono il momento in cui ne diventiamo consapevoli.

Semplici spettatori
Da questo punto di vista non c’è nemmeno bisogno di farsi prendere dal panico se casi come quello di Charles Whitman significano che non possiamo mai ritenere nessuno responsabile dei propri misfatti, o lodarlo per i suoi successi. Dovremmo solo chiederci se qualcuno ha la normale capacità di scegliere razionalmente, riflettendo sulle implicazioni delle proprie azioni. Siamo tutti d’accordo che i neonati non l’hanno ancora sviluppata, quindi non possiamo criticarli se ci svegliano di notte. Crediamo anche che la maggior parte degli animali non umani non la possieda, quindi non ci indigniamo con una vespa perché ci ha punto. Manca sicuramente anche a chi ha un grave disturbo neurologico o dello sviluppo, compreso Whitman. Ma per quanto riguarda tutti gli altri non è così, sostiene Nahmias: “Mi piace usare l’esempio di Bernie Madoff”, dice. “Perché è chiaro che sapeva cosa stava facendo, e sapeva che era sbagliato, e lo ha fatto lo stesso”. Possedeva la capacità che chiamiamo “libero arbitrio”, e l’ha usata per rubare ai suoi clienti più di 17 miliardi di dollari.

Per gli scettici del libero arbitrio, tutto questo è solo un disperato tentativo di salvare la faccia e cambiare argomento, ridefinendo il libero arbitrio non come quello che tutti proviamo di fronte a una scelta, ma come qualcos’altro, che non è degno di quel nome. “Gli esseri umani odiano l’idea di non poter fare libere scelte”, afferma Coyne. Secondo Harris è come dire a qualcuno che sta cercando la città perduta di Atlantide di accontentarsi di un viaggio in Sicilia. Dopotutto anche quella è un’isola che ha ospitato un’antica civiltà. Ma i fatti non cambiano: Atlantide non esiste. E anche se non ci è sembrato inevitabile scegliere la banana, la verità è che lo era.

Si è tentati di liquidare la controversia sul libero arbitrio pensando che non sia rilevante per la vita reale, dato che non possiamo fare a meno di provare la sensazione di possederlo, qualunque sia la verità filosofica. Di certo io continuerò a comportarmi come se gli altri lo avessero: se fai del male a me, o a qualcuno che amo, puoi stare sicuro che sarò furioso piuttosto che sorridere con indulgenza perché non avevi scelta. In questo senso il libero arbitrio sembra essere un dato di fatto.

“Se si guarda bene non c’è un soggetto dell’esperienza, c’è solo l’esperienza”

Ma lo è? Quando la mia mente è più tranquilla – per esempio, mentre bevo il caffè la mattina presto, prima che mio figlio di quattro anni si svegli – le cose possono sembrarmi diverse. In quei momenti di rilassata concentrazione, mi sembra chiaro che le mie intenzioni e le mie scelte, come tutti gli altri pensieri ed emozioni, sorgono spontaneamente nella mia coscienza. Non ho la sensazione di esserne l’autore. Perché metto giù la tazza di caffè e vado a fare la doccia in un certo momento piuttosto che in un altro? Perché l’intenzione di farlo scatta, provocata senza dubbio dall’attività del mio cervello, – un’attività che però va oltre la mia comprensione, e di sicuro non è sotto il mio controllo. È esattamente la stessa cosa quando si tratta di prendere decisioni più gravose che sembrano esprimere qualcosa di importante sul tipo di persona che sono: se partecipare al funerale di un certo parente, per esempio, o quale tra due opportunità di lavoro incompatibili tra loro scegliere. Posso passare ore o addirittura giorni impegnato nel processo che chiamo “prendere una decisione”, mentre in realtà mi limito a vacillare tra le due opzioni, finché a un certo punto emerge la decisione di prendere una strada o un’altra.

È questo che intende Harris quando dice che, a ben guardare, non è solo che il libero arbitrio è un’illusione, ma che l’illusione del libero arbitrio è essa stessa un’illusione. “Se si fa abbastanza attenzione”, mi ha scritto, “si può notare che non c’è un soggetto dell’esperienza, c’è solo l’esperienza. E tutto quello che proviamo semplicemente emerge da solo”. Questa è un’idea che ha radici nel buddismo ed è stata ripresa da altri, compreso il filosofo David Hume: quando ti guardi dentro, non c’è traccia di un comandante interiore che prende decisioni autonomamente. C’è solo il fluire dell’attività mentale. O come scrisse Arthur Rimbaud a un amico nel 1871: “Sono uno spettatore dello svolgersi del mio pensiero. Lo guardo, lo ascolto”.

Ci sono buoni motivi per essere d’accordo con Smilansky sul fatto che potrebbe essere dannoso, a livello personale e sociale, se troppe persone cominciassero a pensarla in questo modo, anche se si scoprisse che è la verità (Dennett, sebbene creda nel libero arbitrio, sostiene che è moralmente irresponsabile promuovere la sua negazione). In una serie di studi del 2008, gli psicologi Kathleen Vohs e Jonathan Schooler chiesero a un gruppo di partecipanti di leggere un estratto dal saggio The astonishing hypothesis (1994) di Francis Crick, uno dei due scopritori della struttura del dna, in cui l’autore suggerisce che il libero arbitrio è un’illusione. Quei soggetti si rivelarono significativamente più propensi di altri a barare in un test in cui c’era in gioco del denaro. Altre ricerche hanno suggerito che smettere di credere nel libero arbitrio comporta una minore disponibilità al volontariato, meno impegno nelle relazioni e livelli più bassi di gratitudine.

I risultati di Vohs e Schooler non sono stati replicati in altri studi e sono stati messi in dubbio. Ma anche se fossero reali, alcuni scettici del libero arbitrio sostengono che i partecipanti a studi simili commettono un errore comune, che potrebbe essere chiarito facilmente se la tesi dell’inesistenza del libero arbitrio fosse meglio conosciuta e compresa. I soggetti che diventano immorali sembrano confondere il determinismo con il fatalismo, l’idea che se non abbiamo il libero arbitrio le nostre scelte non contano nulla, quindi possiamo smettere di cercare di fare quelle giuste. Ma anche se le nostre scelte sono determinate, non significa che non contino. Potrebbe contare enormemente se non decidessimo di dare ai nostri figli una dieta ricca di verdure o di guardare in entrambe le direzioni prima di attraversare una strada trafficata. È solo che (secondo gli scettici) non possiamo fare queste scelte liberamente.

Nella stessa barca
In ogni caso, se il libero arbitrio si dimostrasse davvero inesistente, le implicazioni potrebbero non essere del tutto negative. È vero che c’è qualcosa di repellente nell’idea di dover trattare un assassino come se non fosse responsabile delle sue azioni, e allo stesso tempo spiegare l’amore di un genitore per il figlio come nient’altro che quello che Smilansky chiama “lo svolgimento delle premesse”, una cieca causalità priva di qualsiasi scintilla umana. Ma c’è anche qualcosa di liberatorio in questo. È un buon motivo per essere più gentili con noi e con gli altri. Per chi tende a essere duro con se stesso, è terapeutico pensare di aver fatto esattamente quello che poteva fare e che, nel senso più profondo, non avrebbe potuto fare di più. E per chi tende a infuriarsi con gli altri per i loro piccoli misfatti, è rassicurante pensare con quanta facilità le loro colpe avrebbero potuto essere le nostre. Alcune ricerche hanno collegato l’incredulità nel libero arbitrio a una maggiore gentilezza.

Harris sostiene che se comprendessimo a pieno la tesi dell’assenza di libero arbitrio, sarebbe difficile odiare gli altri: come si può odiare qualcuno che non si incolpa per le sue azioni? Ma l’amore ne uscirebbe in gran parte indenne: dal momento che “amare significa volere che coloro che amiamo siano felici, ed essere noi stessi felici di quel legame etico ed emotivo”, nessuna di queste cose ne risulterebbe indebolita. Anche altri aspetti positivi della vita rimarrebbero indenni. Come dice Strawson, in un mondo in cui non si crede nel libero arbitrio, “le fragole avrebbero comunque un buon sapore”.

A parte quei momenti mattutini, personalmente non posso dire di trovare la negazione del libero arbitrio completamente convincente. È in contrasto con troppe altre cose sulla vita che sembrano palesemente vere. Ma anche se considerato solo come una possibilità ipotetica, lo scetticismo sul libero arbitrio è un antidoto a quella cupa filosofia individualistica secondo cui i successi di una persona appartengono solo a lei, e quindi se falliamo dobbiamo prendercela solo con noi stessi. Ci ricorda che forse le condizioni in cui siamo nati hanno influito sulla nostra vita più di quanto pensiamo, determinando non solo la nostra posizione socioeconomica, ma anche la nostra personalità e le nostre esperienze: i nostri talenti e le nostre debolezze, la nostra capacità di essere felici e di vincere l’inclinazione alla violenza, alla pigrizia, alla disperazione, e le strade che ci ritroviamo a percorrere. C’è un profondo senso di comunione umana in questa visione della realtà, nell’idea che, nella misura in cui siamo esposti a forze al di fuori del nostro controllo, siamo tutti nella stessa barca, alla deriva nel tempestoso oceano della fortuna.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito il 2 luglio 2021 sul numero 1416 di Internazionale.

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