17 marzo 2022 14:15

In tutto l’occidente c’è la sensazione che Vladimir Putin non solo debba essere fermato nel suo tentativo colonizzare l’Ucraina, ma debba anche essere punito per la sua barbarie. È una questione di giustizia naturale. Ma i leader occidentali devono anche affrontare un secondo imperativo. La spaventosa realtà è che siamo più vicini a una guerra nucleare di quanto lo siamo mai stati dai tempi della crisi dei missili di Cuba del 1962.

E per certi versi, il rischio che la crisi attuale vada fuori controllo è ancora più grande di quello affrontato da John F. Kennedy e Nikita Chruščëv. A differenza del 1962, una guerra calda sta già infuriando su un territorio che una delle parti considera importante per il suo interesse nazionale, e che per l’altra è necessario alla sua sopravvivenza come nazione. La guerra, in altre parole, è diventata un conflitto a somma zero, anche se la convinzione di Putin che l’Ucraina sia una minaccia per la sicurezza della Russia non si fonda su alcuna base razionale.

Ciò che rende la situazione ancora più pericolosa è che l’Ucraina è (legittimamente e ragionevolmente) armata e rifornita proprio dall’’alleanza militare che la Russia teme di più, la Nato. Nel frattempo, la Russia è messa alle corde da un boicottaggio economico sempre più duro, che mira a determinare la sua sconfitta. In tutto questo, in molti sono ragionevolmente convinti che questa campagna militare, se dovesse concludersi con una sconfitta umiliante per la Russia, affosserà non solo il potere e il prestigio nazionali del paese, ma lo stesso regime di Putin.

Alzare la posta
Quando un giocatore d’azzardo ha già perso così tanto da essere destinato alla bancarotta, e la sua unica salvezza è ribaltare la situazione, la cosa più logica da fare è continuare ad alzare la posta. È questo il tipo d’avversario disperato che l’occidente si trova forse a dover affrontare. Peggio: è un avversario che si è macchiato di sanguinose colpe per le quali l’occidente, forse, sarà obbligato a non chiedere risarcimenti.

Il segretario alla difesa britannico ha dichiarato che Putin “è una forza ormai esaurita nel mondo”. Il suo collega francese ha dichiarato che “l’Ucraina vincerà”. Tutte le capitali occidentali si stanno convincendo che, a causa della catastrofica gestione del conflitto da parte della Russia, Mosca possa aver già perso. O anzi che i suoi obiettivi politici fossero irrealizzabili fin dal principio, date le dimensioni dell’Ucraina e l’opposizione del suo popolo alla dominazione russa.

Queste dichiarazioni, tuttavia, rivelano una pericolosa miscela di aumento dell’intensità dello scontro, proiezioni illusorie e, elemento più preoccupante di tutti, verità.

I leader occidentali vogliono mettere fine al conflitto o sconfiggere la Russia? Per Putin sarebbe più facile ritirarsi se trovasse un modo d’affermare che non ha fallito

Nelle capitali occidentali c’è stato un crescendo sia nella risposta ufficiale all’invasione della Russia – nella portata delle sanzioni e del sostegno militare, per esempio – sia nella retorica della denuncia del regime. È un fatto comprensibile e che anzi arriva con colpevole ritardo. Putin sembra il presidente di una specie di stato mafioso: corrotto, cleptocratico e violento, fondato su reti di fedeltà e rivendicazioni territoriali che non hanno nulla a che fare con la volontà popolare e che vanno contrastate.

Ma i leader occidentali dovrebbero anche riconoscere il rischio di ritrovarsi in una situazione ancora peggiore di quella attuale, e devono essere chiari sui loro obiettivi. Vogliono mettere fine al conflitto oppure sconfiggere la Russia? Forse queste due cose ormai coincidono, ma la differenza potrebbe diventare importante.

Boris Johnson, per esempio, ha detto che l’atto di aggressione di Putin “deve fallire e deve essere visto fallire”. Un’affermazione tanto vera quanto problematica. È importante per la sicurezza occidentale che gli aspiranti Putin di questo mondo capiscano che, se tentano qualcosa di simile all’invasione dell’Ucraina, saranno schiacciati e umiliati, come sta succedendo alla Russia. Il rompicapo, tuttavia, è che per Putin sarebbe più facile ritirarsi se trovasse un modo d’affermare che non ha fallito. Gli analisti e i diplomatici con cui ho parlato mi hanno detto che è possibile sconfiggere Putin e al contempo elaborare un messaggio che il presidente russo possa sventolare come una vittoria in patria. Ma il fatto stesso che l’occidente debba concedergli qualcosa da sventolare in patria indebolisce la capacità dell’occidente stesso di sventolare la propria vittoria.

Convinzioni illusorie
Un altro problema è che le guerre cambiano le cose. L’unica soluzione diplomatica realistica è una qualche riaffermazione dello status quo precedente alla guerra, accompagnato da garanzie diplomatiche per entrambe le parti. Ma perché l’Ucraina dovrebbe accettare lo status quo, visto quello che ha passato? E Putin come potrebbe fare altrettanto visto il prezzo che ha pagato a sua volta? L’Ucraina ha fatto domanda di adesione all’Unione europea e il suo desiderio di entrare nella Nato è oggi ancor più legittimo. La sua popolazione sembra essere diventata più coesa nelle avversità e aver trovato la sua voce come stato nazionale europeo. Lo status quo che Putin trovava così intollerabile in precedenza potrebbe essere impossibile da resuscitare, perché lui stesso l’ha eliminato.

Le proiezioni illusorie sono il secondo elemento della risposta occidentale che rischia di allontanare ancora di più la pace. I funzionari occidentali stanno rafforzando la loro retorica e il loro sostegno all’Ucraina per solidarietà morale e geopolitica, ma anche per il successo iniziale dell’Ucraina nel resistere all’attacco russo. Più a lungo l’Ucraina resisterà, più l’occidente potrebbe convincersi di poter ottenere qualcosa di più grande dello status quo, e cioè che Putin e il suo regime non sopravvivano alla crisi che hanno generato.

Se l’occidente cominciasse a intravedere un futuro migliore dello status quo, o si rendesse conto che l’opinione pubblica in patria non permetterà un ritorno a relazioni “normali” con la Russia, limiterebbe le possibilità di una soluzione diplomatica.

È la debolezza stessa della Russia a creare una serie di pericoli

C’è un pericolo, tuttavia, nel tradurre le difficoltà russe nelle prime fasi della guerra in ipotesi più ampie sul collasso della Russia, convincendosi per esempio che l’esercito di Mosca non sia all’altezza, che le sue difficoltà in Ucraina rivelino un sistema pervaso dalla corruzione, che Putin sia una tigre di carta, o che il regime di Mosca cadrà presto. L’autoritarismo cinese è sopravvissuto alle proteste di piazza Tiananmen, la teocrazia iraniana è sopravvissuta ad anni di sanzioni occidentali e, più recentemente, Bashar al Assad è sopravvissuto alla guerra civile siriana.

Ma quel che è potenzialmente ancora più spaventoso dell’alimentare pie illusioni è il terzo elemento: la verità. È possibile che il regime di Putin sia davvero debole come le persone credono. Alcuni esperti analisti della Russia, non inclini all’iperbole, credono che il paese potrebbe crollare in seguito a questa crisi. “Per la prima volta, da vent’anni che osservo questo regime, mi sto davvero facendo delle domande”, ha detto al podcast War on the rocks Michael Kofman, direttore degli studi sulla Russia presso l’istituto di ricerche Cna. Si tratta di un qualcosa di buono, giusto? Non necessariamente. Kofman si è detto anche preoccupato da quello che potrebbe arrivare dopo un’eventuale caduta del regime di Putin. “Non sto dicendo che sarà sostituito da un qualcosa di meglio”, ha detto. “Se non vi piace il sistema autoritario che esiste oggi, potrebbe non piacervi il sistema autoritario che lo sostituirà”.

Più di questo, però, è la debolezza stessa della Russia a creare una serie di pericoli. In primo luogo, l’occidente potrebbe diventare troppo sicuro di sé nel testare i limiti di Mosca. La prospettiva di una sconfitta in Ucraina, in secondo luogo, aumenta la possibilità che Putin intensifichi il conflitto.

Il presidente russo potrebbe decidere che, semplicemente, non può perdere. Questo aumenterebbe la probabilità che usi armi nucleari o biologiche per cambiare la realtà sul campo, smascherare la reticenza dell’occidente a rispondere militarmente. La natura del suo regime fa sì che a essere in gioco non sia solo il suo potere, ma potenzialmente anche la sua ricchezza e perfino la sua vita. “Penso che andrà fino in fondo, ed è questo che mi preoccupa”, ha detto Kofman, avvertendo che non si dovrebbe dare per scontato che Putin si fermerà prima di aver raso al suolo Kiev: ha già dimostrato di essere disposto a farlo, prima a Grozny, in Cecenia, e poi ad Aleppo, quando la potenza aerea russa ha sostenuto Assad.

Strada accidentata
Il pericolo, quindi, è che il crescendo del sostegno occidentale all’Ucraina – alimentato dalla barbarie di Putin, dal successo ucraino e dall’ottimismo occidentale – si combini con la crescente debolezza del regime, creando le condizioni per un errore di calcolo nato dalla disperazione. E più la crisi dura, maggiore è questo pericolo.

La domanda, per i leader mondiali, è come assicurarsi che Putin sia sconfitto, fornendogli allo stesso una via d’uscita dalla crisi, ed evitando qualsiasi passo falso che potrebbe portare a una conflagrazione più ampia. La strada, lungo il bordo del precipizio, è accidentata.

Secondo i diplomatici e gli esperti con cui ho parlato, la via da seguire comporta una serie di elementi. In primo luogo l’occidente deve assicurarsi che, per quanto sostegno dia a Kiev, il conflitto rimanga tra Ucraina e Russia. In questo modo, i negoziati di pace rimarranno tra i due paesi, e non tra la Russia e l’occidente più in generale. Washington, Parigi, Londra e Berlino non possono permettere che i colloqui diventino ciò che Putin vuole che siano: un negoziato sulle sfere d’influenza, nel quale l’Ucraina e altri stati possono essere barattati. Questa, in effetti, sarebbe una vittoria di Putin e delle sue politiche di rischio nucleare calcolato, che porterebbe a un mondo più pericoloso in cui altri dittatori si convincerebbero che il bullismo e l’intimidazione funzionano.

In secondo luogo, l’occidente non deve chiudere ai potenziali compromessi che gli stessi ucraini sarebbero disposti a negoziare. Se si vuole che Putin accetti una sconfitta negoziata, avrà bisogno di una foglia di fico per nascondere la realtà di non essere riuscito a sottomettere l’Ucraina. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj oltre a rinunciare all’ingresso nella Nato potrebbe anche promettere di non inviare truppe nel Donbass, per esempio, o cercare di riconquistare la Crimea. O anche di procurarsi armi nucleari, o di permettere che siano posizionate sul territorio ucraino. In altre parole, potrebbe usare l’assurda propaganda della Russia a suo vantaggio, impegnandosi formalmente a non fare cose che lui o qualsiasi altro suo successore non avrebbe comunque considerato di fare.

Più complessa è la questione di compromessi che non sarebbero equi. Perché l’Ucraina dovrebbe rinunciare a fare domanda d’ingresso nell’Ue o nella Nato? O perché dovrebbe accettare l’annessione della Crimea, cha fa parte del suo territorio sovrano? È qui che le abilità diplomatiche dovranno emergere in primo piano.

Alla fine, la diplomazia dovrà convincere ogni parte ad accettare un accordo che permetta a ciascuno di salvare la propria dignità, anche se una parte non lo meriterebbe.

La crisi di Cuba si è conclusa con il ritiro dei missili russi, e con gli statunitensi che hanno accettato di non invadere Cuba e di rimuovere i propri missili dalla Turchia. Il giudizio degli storici non è univoco sul fatto che questo abbia mantenuto lo status quo in termini di equilibrio generale di potere tra le due parti, o se abbia invece lasciato la Russia in una situazione leggermente migliore di quando la crisi era cominciata. In ogni caso, questa si concluse senza catastrofici errori di calcolo e con un compromesso abbastanza equilibrato da permettere a entrambe le parti di salvare la faccia.

La situazione di oggi non è la stessa di allora. A differenza di Chruščëv, Putin non si è semplicemente spinto verso un punto di non ritorno, ma l’ha oltrepassato, scatenando un terrore di cui dovrebbe essere ritenuto responsabile. L’orribile realtà, però, è che la migliore soluzione per l’occidente potrebbe consistere nel non costringere Putin a rispondere del suo operato – come sarebbe giusto – senza però mai più dimenticare ciò che egli ha fatto.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.

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