01 agosto 2018 11:30

Già da alcuni giorni amici e familiari sapevano che Ahed e Nariman Tamimi sarebbero state condotte in un veicolo della polizia penitenziaria al posto di confine di Jabara, a sud di Tulkarem, dove le avrebbero rilasciate. Sabato 28 luglio c’era stata la conferma definitiva. L’ora? Chissà. Come succede con tutti i prigionieri rilasciati dalle carceri israeliane, di solito si sa in anticipo a quale punto di frontiera saranno condotti, ma non l’ora esatta. Le famiglie che possono permetterselo, vanno al mattino e aspettano per ore. Più a lungo un prigioniero è stato in carcere, maggiore è la risolutezza delle famiglie ad aspettare anche un giorno intero.

La mattina del 29 luglio la famiglia e gli amici sono andati a Jabara. Per strada hanno sentito da giornalisti israeliani che, in realtà, madre e figlia sarebbero state portate a Rantis. Era un posto di confine più logico, perché è più vicino al loro villaggio di Nabi Saleh. Hanno immediatamente cambiato rotta. Sulla strada per Rantis, hanno sentito che le due alla fine sarebbero state rilasciate a Jabara.

Hanno fatto un’inversione a U e si sono diretti a nord. Poi è arrivato l’annuncio finale che la liberazione sarebbe stata a Rantis. I familiari e gli amici erano troppo emozionati per decidere se si trattasse semplicemente di confusione nei servizi carcerari o di un tentativo di umiliare loro e le due prigioniere fino all’ultimo momento.

Obiettivo mancato
Quando le hanno fatte scendere dal veicolo del carcere al posto di blocco militare di Rantis, Nariman e sua figlia Ahed erano ammanettate, ma non bendate. La speranza della famiglia che le manette sarebbero state tolte nel tragitto verso le altre auto in attesa era stata delusa. Poi le hanno fatte salire su una jeep militare, ma con gli occhi bendati. La strada tra Rantis e Nabi Saleh non è un segreto militare, quindi perché bendarle? I familiari e gli amici erano troppo emozionati per decidere se si trattasse di una normale procedura dell’esercito – per quanto illogica – o se anche i soldati volessero umiliare la coppia fino alla fine. Se quello era l’obiettivo, non ha funzionato.

Non si sentivano umiliate perché non si aspettavano nessun altro tipo di comportamento dai loro carcerieri

Nariman, Ahed e i loro cari in attesa non si sentivano umiliati. Nemmeno quando la jeep si è fermata accanto a un posto di blocco, all’ingresso di Nabi Saleh, e solo Ahed è uscita. Quando la famiglia e gli amici hanno visto che Nariman non usciva dalla jeep, hanno protestato e bloccato il veicolo, e allora hanno permesso di uscire anche alla donna.

Madre e figlia non provavano alcuna umiliazione, non solo perché erano le eroine del giorno e per otto mesi la loro storia e il loro coraggio avevano occupato quasi ogni giorno i notiziari locali e internazionali. Non si sentivano umiliate perché non si aspettavano nessun altro tipo di comportamento dai loro carcerieri.

Otto anni fa i residenti di Nabi Saleh – un villaggio abitato da una vasta famiglia, i Tamimi – hanno intrapreso una campagna per riprendersi la sorgente naturale che loro e il vicino villaggio di Deir Nidham avevano usato prima che l’insediamento di coloni israeliani di Halamish ne prendesse il controllo. L’esercito e l’amministrazione civile hanno poi negato ai palestinesi e ai legittimi proprietari del terreno l’accesso alla sorgente e ai suoi dintorni. Questo stato di cose continua ancora oggi.

Gli abitanti di Nabi Saleh sapevano che le proteste di alcuni villaggi contro il tracciato del muro di separazione – principalmente Budrus, Bil’in e Jayyous – avevano avuto almeno un parziale successo. In quei casi le proteste si eranp affiancate alla campagna legale per la restituzione della terra ai suoi proprietari e in effetti la rotta originale e avida del muro era stata modificata.

A Nabi Saleh conoscevano anche le campagne fallite, come quella contro il tracciato del muro a Walaja. Anche se i mezzi d’informazione gli hanno dato lo stesso risalto delle altre, la campagna popolare non è riuscita a salvare le terre del villaggio, che insieme alla loro sorgente d’acqua sono state trasformate nel parco metropolitano di Gerusalemme, a cui i palestinesi, inclusi i legittimi proprietari delle terre, non potranno accedere.

Quando Ahed Tamimi è stata arrestata, è nato quasi un culto intorno a lei

Gli abitanti dei villaggi palestinesi che hanno guidato la lotta popolare negli ultimi 15 anni, tra cui Nabi Saleh, speravano che nel mondo ogni singolo caso sarebbe diventato un simbolo e una parabola della politica di conquista israeliana, in netto in contrasto con le sue dichiarazioni sulla sua volontà di pace. Gli abitanti del villaggio speravano che la loro lotta avrebbe prodotto frutti politici non solo locali (ripristinando parte della terra espropriata) ma anche internazionali, come pressioni e risolute mosse diplomatiche.

Per raggiungere questo obiettivo, sapevano che decine di migliaia di palestinesi dovevano unirsi alla lotta popolare e pacifica, dal momento che questo non era un problema di singoli villaggi, ma nazionale, palestinese.

Ci sono stati anni in cui si svolgevano contemporaneamente dieci manifestazioni, ognuna con centinaia di persone, nonostante i violenti atti di repressione da parte dell’esercito e della polizia di frontiera. A volte partecipavano esponenti autorevoli dell’Autorità Palestinese o attivisti israeliani e internazionali, spesso accusati di voler attirare titoli e foto sui giornali. Ma molti palestinesi hanno disertato le proteste e non si sono fatti vedere.

La resistenza, i rischi, le ferite, i raid notturni dell’esercito, la prigionia e le uccisioni da parte dell’esercito israeliano hanno riguardato in genere questi villaggi e il piccolo numero di persone provenienti da altri luoghi che si sono uniti a loro. Anche nei villaggi che partecipavano alla lotta, come Nabi Saleh, non tutti potevano continuare a sostenere il peso della resistenza civile. Quando Ahed Tamimi è stata arrestata, è nato quasi un culto intorno a lei.

In un’epoca in cui la leadership tradizionale (l’Olp) sta diventando irrilevante, in cui Al Fatah si è paralizzato entrando in una fase di spaccatura distruttiva con Hamas, il popolo palestinese ha più che mai bisogno di eroi e icone. Il coraggio personale mostrato da Ahed e sua madre Nariman è stato ripetutamente messo alla prova negli ultimi nove anni, anche quando non ha raggiunto i mezzi d’informazione. Ora, dopo la loro liberazione, loro e altri coraggiosi eroi che hanno guidato una lotta popolare per 15 anni in diversi villaggi sperano e aspettano che decine e centinaia di migliaia di persone seguano il loro esempio.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Leggi anche:

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it