09 ottobre 2022 10:06

Nel 1995, anni prima che cominciasse a collaborare alle ricerche per questa rubrica, Rena Rudavsky e la sua famiglia furono selezionate per partecipare a un innovativo esperimento tecnologico: i ricercatori dell’università Carnegie Mellon avrebbero installato un computer nella loro sala da pranzo e lo avrebbero collegato a internet. All’epoca solo il 9 per cento degli statunitensi usava internet (nel 2020 era quasi il 91 per cento). Rena, che allora era ai primi anni di scuola superiore, ricorda di essersi seduta davanti al computer tutti i giorni, partecipando a chat room e navigando sul web. Quando finiva, era un suo familiare a prendere il suo posto.

Stranamente, questo esperimento non suscitò grandi conversazioni in casa sua. “Non abbiamo parlato molto in sala da pranzo quando il computer era acceso”, mi ha detto Rena via email. Inoltre “nessuno di noi condivideva le proprie esperienze private su internet con gli altri familiari”.

L’esperienza di Rena era comune, come dimostrarono i ricercatori che nel 1998 pubblicarono lo studio HomeNet, oggi diventato celebre. “Un maggiore uso di internet è associato a un calo della comunicazione dei partecipanti con i propri familiari” e “a una diminuzione delle dimensioni della loro cerchia sociale”, scrissero i ricercatori. Fatto ancora più preoccupante, questo portava a un “aumento della depressione e della solitudine [dei partecipanti]”. Stando a quanto dice Rena, la sua esperienza conferma questi risultati.

Una verità più semplice
HomeNet potrebbe essere (ed è stato) interpretato come un atto d’accusa contro internet, gli schermi o la moderna tecnologia delle comunicazioni in generale. In realtà illustra una verità molto più semplice sull’amore e sulla felicità: la tecnologia che esclude l’interazione con gli altri nella vita reale riduce il nostro benessere e deve quindi essere gestita con grande attenzione nella nostra vita. Per trarne tutti i benefici, dovremmo usare gli strumenti digitali in modi che migliorino le nostre relazioni.

Il 62 per cento dei bambini statunitensi ritiene che i genitori siano troppo distratti per ascoltarli: la ragione principale è l’uso del telefono

La pandemia di covid-19 ha creato un ambiente fertile per le ricerche sulla connessione sociale. Ogni volta che le circostanze della vita sociale cambiano all’improvviso, i ricercatori come me si precipitano a porre domande fastidiose alle persone, con i loro taccuini in mano. Una delle aree di indagine più comuni negli ultimi due anni è stata il tentativo di capire come il nostro improvviso passaggio in massa alla comunicazione digitale – con conseguente diminuzione degli incontri di persona – abbia influenzato le connessioni sociali nel loro complesso. In un articolo pubblicato sulla rivista New Media & Society, i ricercatori hanno riportato uno studio su quasi tremila adulti durante i primi mesi della pandemia e hanno scoperto che le email, i social network, i giochi online e gli sms erano sostituti inadeguati delle interazioni di persona. Le chiamate vocali e le videochiamate erano leggermente migliori (anche se ricerche successive hanno messo in dubbio il valore di queste tecnologie).

Attività sostitutive
L’essere connessi socialmente è una delle chiavi della felicità. Se questa diminuisce, si sta peggio, e lo stesso accadrà per i vostri cari, soprattutto per i vostri figli. Uno studio del 2014 ha rivelato che il 62 per cento dei bambini statunitensi ritiene che i genitori siano troppo distratti per ascoltarli; la ragione numero uno è l’uso del telefono da parte dei genitori.

Il modo in cui i diversivi solitari come lo scorrere le pagine web o la navigazione riducono le connessioni sociali è chiaro: sono attività che sostituiscono l’interazione. Ma le comunicazioni virtuali, come i messaggi di testo, sono per loro natura interattive e in teoria dovrebbero essere meno dannose.

Il problema è che con queste tecnologie perdiamo la nostra profondità, o dimensionalità. I messaggi di testo non possono trasmettere molto bene le emozioni, perché non possiamo sentire o vedere i nostri interlocutori; lo stesso vale per i messaggi diretti sui social network (più in generale i social network non sono usati per comunicare con un singolo individuo, ma per trasmettere informazioni a un pubblico più vasto). Queste tecnologie stanno alle interazioni personali come una versione pixelata in bianco e nero della Gioconda sta a quella reale: sono identificabili, ma incapaci di produrre gli stessi effetti emotivi.

Comodità e cortesia
Con le comunicazioni a bassa dimensionalità tendiamo a saltare da una persona all’altra e quindi a scambiare la profondità con l’ampiezza. Ecco perché nelle conversazioni faccia a faccia tendono a essere più espansive e ricche di quelle condotte tramite testo. Le ricerche hanno dimostrato che le conversazioni approfondite portano più benessere rispetto alle comunicazioni brevi. Nel frattempo, da un recente studio longitudinale è emerso che gli adolescenti che inviavano più messaggi rispetto ai loro coetanei tendevano a sperimentare più depressione, più ansia, più aggressività e rapporti peggiori con i loro padri.

Potrebbe sembrare strano che, anche al di fuori delle circostanze imposte dalla pandemia, adottiamo volontariamente tecnologie che danneggiano la nostra felicità. Le spiegazioni principali sono due: la comodità e la cortesia. Vegetare davanti a uno schermo (cosa che nove adolescenti statunitensi su dieci dicono di fare per “passare il tempo”) è semplicemente più facile che parlare con una persona, e le comunicazioni virtuali come quelle con le app di testo sono più veloci e più facili di una visita di persona o di una telefonata. Pensate a queste tecnologie come al cibo pronto all’uso di un minimarket: non è il massimo, ma è sicuramente comodo, e dopo aver mangiato abbastanza burrito riscaldato al microonde, ci si dimentica del sapore di quello vero.

Con la proliferazione dei messaggi di testo e dei social network, molte persone temono che comunicare con gli altri attraverso le comunicazioni vecchio stile possa risultare complicato. Una volta ho chiesto a uno dei miei figli adulti, mentre scriveva un messaggio a un amico, perché non avesse digitato dieci numeri e non ne avesse parlato con lui. “Sarebbe maleducato”, mi ha risposto. Nel 2019 i ricercatori hanno scoperto che le famiglie che vivono a distanza spesso favoriscono le comunicazioni asincrone come gli sms per ridurre al minimo le intrusioni nel tempo degli altri. Questo non vuol dire che la tendenza sia universale; personalmente chiamo tutti i miei figli quasi ogni giorno su FaceTime (e faccio finta di non notare il loro fastidio).

Abbandonare internet ed eliminare le comunicazioni virtuali dalla vita non è chiaramente la soluzione. Si corre il rischio di isolarsi e comprometterebbe la capacità di guadagnarsi la vita. Le ricerche ci mostrano, tuttavia, che si può imparare a usare le tecnologie per integrare, anziché sostituire, le relazioni. Ecco due modi per farlo.

Interagire è meglio che vegetare
Non c’è nulla di rivoluzionario in questa regola: 45 anni fa i miei genitori mi dicevano di uscire con i miei amici invece di guardare la televisione. La differenza oggi, oltre al fatto che la televisione non stava in tasca, sta nell’evidenza empirica: oggi sappiamo che, se praticata in eccesso, la distrazione solitaria e su uno schermo riduce la felicità e può portare a disturbi dell’umore quali depressione e ansia.

Per abbandonare le abitudini non ottimali, si possono usare le opzioni dei dispositivi che conteggiano il tempo trascorso sui social network e su internet, e limitarsi a un’ora al giorno o meno. Un altro approccio popolare, che non è ancora stato testato dalla ricerca accademica, consiste nel cambiare le regolazioni dei dispositivi, passando da una visualizzazione a colori a una in scala di grigi. Mio figlio l’ha fatto e giura di aver notevolmente ridotto il tempo che passa a vegetare.

Creare una gerarchia di comunicazione
È irragionevole aspettarsi che qualcuno smetta di mandare messaggi, ma si può ricorrere meno a questo strumento se si ha un “ordine delle operazioni” per parlare con amici, colleghi e persone care. Quando è possibile, va privilegiato l’incontro di persona, soprattutto con gli amici intimi. Uno studio del 2021, pubblicato sulla rivista Computers in Human Behavior Reports, ha rivelato che più le persone comunicano faccia a faccia con i loro partner, più si sentono comprese e più sono soddisfatte della loro relazione. Quando è impossibile incontrarsi, meglio scegliere una tecnologia che preveda un contatto faccia a faccia o il telefono. Mandate messaggi o usate tecnologie simili solo per questioni impersonali o urgenti.

L’esperimento formativo a cui Rena si era sottoposta durante l’adolescenza l’ha portata a riflettere profondamente sugli effetti di internet e ha avuto un impatto sull’uso che ha fatto della tecnologia per tutta la sua vita. Aveva un profilo Facebook all’università, ma l’ha cancellato dopo essersi laureata e non ci è più tornata. Evita altri social network e i suoi figli non sono su internet.

Per gli standard odierni, la sua vita potrebbe apparire antiquata. Sua figlia bussa alla porte dei vicini per fargli visita. I suoi familiari si siedono sul portico dopo cena, chiacchierando tra loro e con i passanti. Scrive e spedisce lettere di carta. E quando usa la tecnologia, la usa come complemento delle sue relazioni, non per sostituirle: per esempio, mantiene attivo un gruppo di messaggi per genitori, ma solo per organizzare attività di persona.

Per la maggior parte di noi – soprattutto per le persone che ci sono cresciute insieme – internet è una parte indiscutibile dell’ecosistema della vita, che si insinua in ogni fessura e crepa indipendentemente dalle nostre decisioni consapevoli. Non torneremo alla vita che vivevamo prima di questo tipo di tecnologia, ovviamente. Tuttavia, possiamo e dobbiamo usarla con attenzione al servizio dell’amore.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul mensile statunitense The Atlantic.

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