16 dicembre 2015 09:52

Sarà l’argomento principale dell’incontro di domani sera. Nella giornata inaugurale del Consiglio europeo di fine anno i 28 capi di stato e di governo dell’Unione si concentreranno sulle condizioni poste da David Cameron per chiedere ai britannici di votare in favore della permanenza del Regno Unito nell’Ue in occasione del referendum dell’anno prossimo. Tutto lascia pensare che i leader europei si orienteranno verso il compromesso.

Il negoziato non sarà facile e di sicuro non sarà breve, ma alla fine si arriverà a un accordo perché nessuno, né Cameron né tantomeno gli altri 27 leader dell’Unione, può permettersi il lusso dell’intransigenza.

L’uscita del Regno Unito dall’Ue resta una possibilità concreta, perché è molto più facile criticare l’Europa che difenderla

Il premier britannico sa benissimo che il suo paese avrebbe molto da perdere da una Brexit e vorrebbe poter dire ai suoi elettori che ha ottenuto abbastanza concessioni e che il Regno Unito non ha alcun interesse ad andarsene sbattendo la porta. Quanto agli altri leader europei, evidentemente non vogliono creare un precedente di un’uscita dall’Unione e faranno di tutto per dare a Cameron gli argomenti di cui ha bisogno per non perdere il referendum.

Alla fine si arriverà al compromesso necessario, ma il problema è che anche in questo caso non ci sarà alcuna garanzia che gli elettori britannici non sceglieranno comunque la Brexit. Quella dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea resta una possibilità concreta, per il semplice motivo che è molto più facile criticare l’Europa che difenderla.

È facile appoggiarsi sulla sfiducia nei confronti delle istituzioni europee e sostenere che l’Unione sia controllata da un manipolo di tecnici caduti dal cielo, quando in realtà tutti i membri della Commissione sono nominati dai governi eletti dei 28 stati e sostanzialmente non fanno altro che applicare le decisioni e i trattati a cui gli stessi governi si sono volontariamente vincolati.

Una pericolosa cecità

È facile giocare sul fatto che l’Unione non è ancora una democrazia basata sul suffragio universale paneuropeo, non dicendo però che le decisioni sono prese dalla maggioranza degli stati membri e che sono proprio gli stati nazionali e i loro cittadini a rifiutarsi di cedere la sovranità nei campi più importanti.

È facile ridurre l’Unione a una burocrazia invadente, mentre è molto più difficile spiegare che il progetto europeo è in divenire e sono proprio i 28 stati membri a frenarne lo sviluppo, che la moneta unica e il mercato comune ci hanno regalato grandi benefici e che senza la nostra unità non avremmo molto peso nel mondo e saremmo surclassati dai giganti che domineranno questo secolo.

Se a questo aggiungiamo che molti europei hanno paura dei grandi cambiamenti in corso nel mondo, una campagna referendaria sull’Unione è una porta aperta per gli argomenti più facili e disonesti e per il trionfo di una pericolosa cecità.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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