22 febbraio 2018 11:41

Giuste o sbagliate, ognuno ha le sue motivazioni nel conflitto siriano. Già, ma quali sono? Partiamo dai siriani, perché è più semplice.

Al 60 per cento sunnita, la popolazione siriana vive da quarant’anni sotto il dominio di un clan familiare, gli Assad, appartenente alla minoranza alauita, un ramo dello sciismo. Questa dinastia conosce una sola legge: governare senza condividere il potere con nessuno. Davanti a questo clan predatore e assassino, sette anni fa i siriani, sull’onda delle rivolte arabe, avevano sperato di trovare la libertà attraverso manifestazioni pacifiche ispirate da quelle di Tunisi e del Cairo.

Bashar al Assad ha mandato i suoi uomini a sparare sui manifestanti con le mitragliatrici. Poi ha fatto liberare i più spietati islamisti per poter sostenere davanti al mondo di essere l’unica alternativa al gruppo Stato islamico. Oggi il macellaio di Damasco vuole solo ripristinare in pieno la dittatura della sua famiglia.

Tra l’Iran e l’Arabia Saudita è in corso l’ennesimo round di una lunga battaglia. Nessuno dei due paesi può permettersi di perdere la Siria

Il suo principale alleato, l’Iran sciita, ha mobilitato immense risorse finanziarie e umane per salvare il regime di Assad, perché ritiene essenziale per l’antica Persia che la Siria sia governata dagli sciiti e resti uno strumento primario dell’avanzata iraniana in tutto il Medio Oriente arabo. Qui l’Iran vuole ritrovare il dominio regionale perduto 13 secoli fa a beneficio dell’Arabia, che Maometto aveva appena riunito sotto la bandiera dell’islam.

Tra l’Iran e l’Arabia, oggi saudita, è in corso l’ennesimo round di una lunga battaglia. Nessuno dei due paesi può permettersi di perdere la Siria, perché la posta in gioco è regionale. In questo scontro tra le due grandi correnti dell’islam e le loro potenze tutelari, la Turchia sunnita si era schierata con gli altri sunniti, fino a quando ha capito che avrebbe potuto nascere un nuovo Kurdistan autonomo alla sua frontiera da un frazionamento della Siria. Per questo Ankara si è schierata al fianco di russi e iraniani per tentare di mantenere l’integrità dello stato siriano.

Passiamo alla Russia. Vladimir Putin si è impegnato in Siria perché ha visto che gli Stati Uniti non volevano immischiarsi nel conflitto, e ha pensato che Mosca potesse appoggiarsi sugli iraniani e su Assad per rimettere piede nella regione da cui la Russia era del tutto esclusa dai tempi del suo intervento in Afghanistan.

Così facendo, però, Putin è diventato ostaggio degli iraniani e del clan Assad, che ormai non può più abbandonare imponendogli un compromesso prima della loro vittoria definitiva. Ad Aleppo prima e adesso nella Ghuta la Russia è solo un ausiliare degli iraniani. Non ha più niente di una grande potenza, e forse proprio per recuperare un po’ di margine potrebbe – forse – non opporre oggi il suo veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiede un mese di cessate il fuoco.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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