29 gennaio 2021 13:48

Sostenibilità, istruzione, sviluppo delle città, nuovi talenti, giovani, rinascimento. Sono questi i temi discussi dal leader di Italia Viva Matteo Renzi, al centro della crisi politica italiana di questi giorni, insieme al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Renzi era a Riyadh il 28 gennaio, come ha rivelato il quotidiano Domani, per partecipare alla seconda giornata del Future investment initiative (Fii), un evento alla sua quarta edizione, soprannominato “la Davos nel deserto” che prevede una serie di incontri e conferenze con funzionari governativi, amministratori delegati e alte personalità di tutto il mondo.

Il Fii è stato lanciato nel 2017 dal Public investment fund, il principale fondo sovrano della monarchia saudita e, come scrive il quotidiano Domani, Renzi ricopre un incarico nel comitato consultivo dell’istituto per cui percepisce uno stipendio annuale che può arrivare a circa 80mila dollari a seconda della sua partecipazione a riunioni ed eventi. Alla conferenza invece ha partecipato gratuitamente, al fianco di nomi come quello dell’ex velocista giamaicano Usain Bolt e dell’ex primo ministro australiano Kevin Rudd.

L’incontro tra Matteo Renzi e il principe saudita Mohammed bin Salman

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I temi di cui hanno parlato Renzi e Mohammed bin Salman (detto Mbs) non sono nuovi e fanno parte del tentativo di Riyadh di “ripulire la propria immagine” agli occhi della comunità internazionale, come denunciano da anni osservatori, ong e una vasta rete di dissidenti in esilio, che continuano a far sentire la loro voce nonostante le intimidazioni e le minacce. Nell’ottobre del 2020 Human rights watch ha lanciato una campagna globale per contrastare gli sforzi del governo saudita di insabbiare la disastrosa situazione dei diritti umani nel paese, che si è deteriorata da quando Mbs ha cominciato la sua ascesa al potere nel 2015. “Il governo saudita ha speso miliardi di dollari per ospitare grandi eventi d’intrattenimento, culturali e sportivi, nell’ambito di una strategia deliberata per allontanare da sé l’immagine di un paese che viola in modo pervasivo i diritti umani”. All’inizio di gennaio diversi attivisti e ong hanno denunciato come “sportswashing” l’organizzazione in Arabia Saudita dell’edizione 2021 del Rally Dakar e hanno invitato al boicottaggio.

Una visione per il 2030
Durante l’incontro, che si è svolto in un ambiente asettico dove i due interlocutori sedevano uno di fronte all’altro su poltroncine bianche che spiccavano contro un pavimento lucido e uno sfondo futuristico, Renzi ha insistito molto sul concetto di “visione”.

Il riferimento è a Vision 2030, il programma di sviluppo lanciato dalla monarchia saudita nel 2016, con l’obiettivo di realizzare riforme economiche e sociali per diversificare la propria economia rendendola meno dipendente dal petrolio e rafforzando il settore privato.

Ma già da anni diversi osservatori hanno denunciato le tante falle e i malfunzionamenti del piano. “A Riyadh le riforme sono di cartapesta”, era il titolo di un articolo della studiosa saudita Madawi al Rasheed pubblicato sul sito di Internazionale nel settembre del 2018. Nel dicembre del 2019 la scrittrice e analista Hana al Khamri, nata nello Yemen e cresciuta in Arabia Saudita, scriveva su Al Jazeera: “Non solo è improbabile che Vision 2030 contribuirà a risollevare i poveri, ma le misure di austerità che comporta potrebbero spingere settori della classe media nella povertà”.

Renzi ha tenuto a sottolineare l’importanza delle città come guida di un nuovo rinascimento. E Mbs gli è stato molto grato

Uno dei motivi per cui il piano è destinato al fallimento, sottolineava un articolo pubblicato su Middle East Eye nell’ottobre del 2018, è la mancanza di competenze fornite dal sistema scolastico saudita, indicato da Renzi come uno dei motori dello sviluppo del regno. “Il sistema educativo saudita fornisce a malapena le competenze più basilari per imparare a leggere, scrivere e far di conto, nonostante il suo bilancio astronomico, che nel 2017 era superiore a 53 miliardi di dollari”. L’istruzione in Arabia Saudita, continua l’autore dell’articolo che non rende pubblica la sua identità per motivi di sicurezza, “è pensata per generare risultati specifici e funziona come un’operazione per il controllo delle menti, con la sua enfasi esagerata sull’insegnamento dell’obbedienza incondizionata alle autorità”.

Da ex sindaco di Firenze, Renzi ci ha tenuto a sottolineare l’importanza delle città come guida di un nuovo rinascimento. E Mbs gli è stato molto grato e ha potuto così celebrare il parco che sorge al centro di Riyadh “grande tre volte Central park” e la futuristica megalopoli di Neom, un progetto da 500 miliardi di dollari avviato nel 2017 sul mar Rosso, come parte di Vision 2030. Il 10 gennaio il principe ereditario ha annunciato un nuovo ambizioso piano: The Line, la costruzione di una città a zero emissioni all’interno di Neom, che non avrà strade né macchine e sarà abitata da un milione di persone da tutto il mondo.

Il mito della nuova città
L’annuncio ha suscitato molte perplessità, espresse soprattutto sui social network. “Tutto quello che ha a che fare con Neom sembra uscito dall’immaginazione di un funzionario saudita dopo aver visto un film di fantascienza”, ha scritto su Twitter Gregg Carlstrom, corrispondente dell’Economist per il Medio Oriente. La consulente per i diritti umani Bethany Alhaidari ha sottolineato che “nessuna economia sotto un regime arcaico e autoritario è stabile, etica o degna di investimenti”. L’attivista saudita Alya al Huwaiti ha definito Mbs “il più grande responsabile dell’inquinamento al mondo”. Un articolo pubblicato dal Guardian nel maggio del 2020 denunciava che Neom sorge nelle terre ancestrali della tribù huwaitat e che almeno 20mila persone sono destinate al trasferimento, senza sapere quale sarà la loro destinazione. “Neom è costruita sul nostro sangue e sulle nostre ossa”, confermava al quotidiano britannico l’attivista Alia Hayel Aboutiyah al Huwaiti, che fa parte della comunità e vive a Londra.

Questi progetti faraonici sono spesso realizzati facendo ricorso alla manodopera straniera, il cui costo rende Renzi “da italiano, invidioso”. La stessa manodopera però che secondo il rapporto mondiale 2021 di Human rights watch continua a subire “abusi e sfruttamento, a volte equiparabili al lavoro forzato”. La stessa manodopera che spesso finisce nel mirino delle autorità: secondo Amnesty international nel 2019 due milioni di lavoratori stranieri sono stati arrestati con l’accusa di violare le leggi sul lavoro e sulla residenza e 500mila sono stati espulsi.

Per quanto riguarda i “talenti” e i “giovani” evocati durante l’incontro, il leader di Italia Viva, che Mbs ha continuato a chiamare “primo ministro” per tutto il tempo, probabilmente non si riferiva agli accademici, agli oppositori politici, agli attivisti e ai religiosi indipendenti che languiscono nelle carceri del paese. Né alla comunità di esiliati che vivono nella paura, soprattutto dopo l’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, avvenuto nel consolato saudita di Istanbul nell’ottobre del 2018, di cui lo stesso Mbs è ritenuto responsabile dalla Cia e dalle Nazioni Unite. E neanche alle attiviste per i diritti delle donne, incarcerate alla vigilia della concessione del diritto di guida alle donne, annunciata dalla monarchia nel giugno del 2018. Tra loro c’è Loujain al Hathloul, 31 anni, a dicembre condannata a cinque anni e otto mesi di carcere da un tribunale di Riyadh specializzato in reati di terrorismo.

Nella sabbia del deserto
“Sua altezza, amico mio”, ha concluso Renzi, “con la tua leadership e con la guida di re Salman l’Arabia Saudita può svolgere un ruolo cruciale”. In realtà, come ha sottolineato Madawi al Rasheed in una serie di articoli pubblicati su Internazionale, Riyadh è sempre più isolata sulla scena internazionale. Il sogno del regno di diventare una potenza regionale egemonica nel mondo arabo si è infranto “quando una diplomazia distensiva ha gradualmente lasciato il posto ad avventure militari azzardate, intrighi e ostentazioni di forza nei confronti degli stati vicini”. L’offensiva militare contro i ribelli sciiti huthi nel vicino Yemen, che Mbs aveva presentato come un’operazione lampo di sicuro successo, si è impantanata in un conflitto che si fa sempre più intricato. E nonostante la potenza delle armi fornite dall’occidente, l’Arabia Saudita si è ritrovata bersaglio di ripetuti attacchi da parte degli huthi. La frammentazione del Consiglio di cooperazione del Golfo, avviata da re Salman nel 2017 con il boicottaggio nei confronti del Qatar, si è ricomposta all’inizio dell’anno con la riapertura delle frontiere, ma restano molti dubbi su quelli che il direttore di Middle East Eye, David Hearst, chiama “oscuri motivi” dietro la decisione della monarchia.

Secondo Renzi Riyadh dovrebbe guidare un nuovo rinascimento, come la sua Firenze nel passato. Ed è proprio il legame tra passato e futuro che il leader di Italia Viva richiama in diversi passaggi, sottolineando l’importanza della tradizione e della memoria, dell’innovazione e dell’identità. Ma un rinascimento basato sulla repressione e sull’ipercontrollo, sulla violazione dei diritti umani, sullo sfruttamento dei lavoratori migranti, sulla discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze, sul soffocamento della libertà di espressione, di associazione e di credo religioso non potrà che sprofondare nella sabbia del deserto saudita.

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