08 marzo 2019 10:58

Anche quest’anno l’8 marzo è una giornata di sciopero per le donne di tutto il mondo. È l’ultima tappa di una mobilitazione cominciata in Argentina nel 2015 con la nascita del movimento Ni una menos contro i femminicidi e la violenza sulle donne. Quella mobilitazione si è poi estesa: dalla Polonia, dove nel 2016 la protesta ha bloccato un disegno di legge sull’aborto, agli Stati Uniti, dove dopo la marcia delle donne a Washington nel 2017 è nato il movimento #MeToo.

In Italia Non una di meno ha preso piede dopo la grande manifestazione del 26 novembre 2016. Fin dall’inizio questo movimento ha scelto lo strumento dello sciopero, usandolo però in modo nuovo e più esteso. Infatti oltre ad astenersi dal lavoro retribuito, e quasi sempre sottopagato, le donne si astengono dai lavori domestici e di cura, mai riconosciuti. Scioperano dai ruoli di madri e di custodi della famiglia, si sottraggono al controllo sui loro corpi e sulla loro vita privata.

Protestano contro tutte le forme di violenza, non solo quella contro le donne bianche: la violenza contro le persone transessuali e transgender, quella contro gli omosessuali, la violenza razzista, la discriminazione delle persone con disabilità, la negazione dei diritti sociali, la chiusura delle frontiere, la devastazione dell’ambiente, l’espropriazione della terra.

Proprio mentre in Europa cresce un’onda conservatrice, nazionalista e razzista, il trans­femminismo – come viene chiamato – tocca tutte le questioni più urgenti di oggi ed esprime una critica radicale del modo di concepire la politica, il lavoro, i rapporti tra i sessi e la vita privata. Nessuno, però, ne parla.

Intanto la violenza continua. In Italia quasi una donna su tre subisce qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Nel 2013 il governo ha ratificato la convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Secondo il Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione della convenzione, del 2018, lo stato italiano è intervenuto soprattutto per criminalizzare delle condotte, mentre la protezione e la prevenzione sono ostacolate da una cultura caratterizzata da “profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi”. La battaglia è ancora lunga, ma oggi in piazza scendono tante donne decise a combatterla.

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Questo articolo è uscito nel numero 1297 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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