08 giugno 2020 13:44

Gentile bibliopatologo,
ho un serio problema con i libri che non mi sono piaciuti o che non sono riuscito a finire. Li metto da parte ma non riesco a liberarmene, vendendoli o regalandoli. Sento di essere ormai legato a molti di loro, magari perché li ho da parecchio tempo e li considero dei vecchi amici (che non ho mai apprezzato).
Ha qualche consiglio?

– Michele

Caro Michele,
niente di nuovo né di troppo insolito. Trent’anni fa precisi precisi – era la seconda settimana di giugno del 1990 – il tuo problema fu portato all’attenzione di milioni di telespettatori americani. O meglio, non proprio il tuo problema, ma qualcosa di molto simile. Quella sera la Nbc mandò in onda un episodio della sitcom Seinfeld intitolato “Male unbonding”, dove Jerry Seinfeld non riesce a sottrarsi alla telefonata di un amico d’infanzia, un certo Joel, ed è costretto a prendere un appuntamento con lui.

Beh, dirai tu, che sarà mai di terribile? E soprattutto: che cosa c’entra? Il fatto è che Jerry aveva stretto amicizia con questo tizio quando aveva dieci anni, e per la sola ragione che Joel aveva un tavolo da ping pong in casa. Da allora, non è riuscito a liberarsene. Peggio: Joel lo considera il suo migliore amico, e continua a chiamarlo, imperterrito, non traendo nessuna conclusione dalla totale assenza di reciprocità. Jerry è disperato: “Devo soffrire per il resto dei miei giorni solo perché mi piace giocare a ping pong? Avevo dieci anni! Sarei stato amico di Stalin se avesse avuto un tavolo da ping pong”.

Il suo migliore amico, George, gli consiglia di rompere con Joel esattamente come romperebbe una relazione con una donna, ma per Jerry la cosa non è così semplice. Proprio non ci si vede a invitarlo al ristorante e dirgli: “Joel, sento il bisogno di frequentare altri uomini”. Non sa bene come si fa a lasciare un amico. Quando ci prova, Joel scoppia a piangere, e Jerry deve frettolosamente tornare sui suoi passi. Ogni nuovo tentativo peggiora le cose, e il nodo del senso di colpa lo lega in modo sempre più inestricabile a questo noiosissimo tipo conosciuto alle elementari con cui non ha nulla in comune, eccetto il lontanissimo ricordo delle partite a ping pong. “Non posso farci niente. Devo aspettare che muoia. Penso che sia l’unico modo di uscire da questa relazione”.

Immagino che a questo punto l’analogia con il tuo caso ti sia chiara. Aspettare che il libro si decomponga non è tra le opzioni realistiche, per ovvie ragioni derivanti dalle proprietà chimico-fisiche della carta. In compenso, l’impresa che ti si prospetta è più indolore, e puoi mettere a tacere tranquillamente il senso di colpa. Un libro con cui non hai niente da spartire non scoppierà in lacrime in mezzo a un ristorante se decidi di venderlo o regalarlo. Sai come sono fatti, i libri: non la prendono sul personale. E poi, credimi, è la cosa giusta per entrambi. Magari tu hai bisogno di frequentare altri libri, ma non ti sei chiesto se lui possa aver voglia di incontrare altri lettori?

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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