24 dicembre 2020 15:08

Gentile bibliopatologo,
sono affetto da una malattia rara (almeno così penso): vorrei leggere tanti libri, così non ne leggo nessuno. Se mi dedicassi solo a uno mi sembrerebbe di fare un torto a tutti gli altri che ho nella lista. A cosa dare la precedenza? Cosa tenere e cosa scartare dalla lista? Come fare a capire ciò che è più urgente leggere?
-Vito

Caro Vito,
hai visto come sono belle le vetrine sotto Natale, perfino in quest’anno così disgraziato? Ti fermi davanti a un negozio di abbigliamento, vedi una magnifica torre di maglioni di lana ordinati secondo le sfumature di colore, e quell’immagine di abbondanza, rigoglio e perfezione, a cui vorresti congiungerti per qualche via, ti adesca irresistibilmente nell’antro delle divinità dispensatrici. Chiedi di provarne uno della tua taglia e del tuo colore preferito, il commesso lo estrae dalla pila, lo prendi tra le mani, lo soppesi, lo dispieghi, e presto ti sorprendi a constatare che non è nulla più che un maglione. Bello, magari, ma ben poca cosa rispetto a quella promessa di felicità che ti aveva lasciato intravedere la vetrina.

Oppure sei il giovane narratore della Recherche in villeggiatura a Balbec, e avvisti sulla spiaggia una piccola brigata di fanciulle in fiore. Tutte insieme formano un insieme meraviglioso, “perché vi erano accostati gli aspetti più diversi, tutte le gamme di colore vi comparivano una accanto all’altra”, un corteo “confuso come una musica in cui non avessi potuto isolare e riconoscere al passaggio le frasi”. Giorno dopo giorno le guardi, ti struggi per essere ammesso nel loro gineceo, per partecipare alla loro felicità così divinamente noncurante, ma quando alla fine ne estrai una dal mazzo, Albertine, il miraggio sfiorisce e le cose si fanno abbastanza complicate da richiedere altri cinque volumi.

Alicia Llop, Getty Images

Non che a noi amanti della lettura dispiacciano i pullover colorati e le fanciulle in fiore, ma cadiamo più facilmente in balìa della Circe delle librerie. Una fila o una parete intera di volumi di una collana che amiamo, ordinati secondo le sfumature di colore delle copertine, ci alletta più di una montagna di maglioni di cachemire; e non c’è brigata balneare che possa distoglierci da un banco imbandito di libri usati con l’insegna: tutto a metà prezzo.

Le librerie sono la cornucopia da cui aspettiamo di veder sgorgare il nostro nutrimento interiore, e non uso a caso questa metafora alimentare. In coda a un breve saggio del 1931, The theory of intellectual inhibition, la psicoanalista Melanie Klein si sofferma sull’opposto speculare dell’inibizione, ossia sulla bulimia intellettuale, “la smania di introiettare tutto quello che è a disposizione, congiunta all’incapacità di distinguere ciò che è valido da ciò che non lo è”. Klein suggerisce che questa fame di libri derivi da una sensazione infantile di vuoto e di impoverimento sempre incombente, una minaccia che il lettore vorace tenta di scongiurare accumulando provviste nel proprio magazzino interiore.

Il guaio, caro fratello poppante, è che non c’è modo di congiungersi al seno della Grande Dea dei libri se non prendendo un libro, uno solo, e cominciando a leggerlo. Come il pullover colorato, o come Albertine, una volta che l’avremo scelto sarà soltanto un libro. Con il quale passeremo momenti incantevoli o noiosi, scoperte e piccole incomprensioni, entusiasmi e frustrazioni; ma bella o brutta, sarà un’esperienza di natura del tutto diversa da quella che allucinavamo nella pienezza fantasmatica della libreria.

In breve: la fame che ti spinge indiscriminatamente verso i libri e il nutrimento che può darti un singolo libro appartengono a due mondi non comunicanti. Guai a illudersi che il secondo possa estinguere la prima. È un miraggio.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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