01 ottobre 2017 11:21

È strano che la ruota sia stata inventata più di 4.500 anni fa, e che invece la bicicletta stia compiendo appena due secoli. Si festeggiano molte ricorrenze sciocche, e invece quasi nessuno ha festeggiato i duecento anni di questa macchina magica, la più economica in termini di consumo energetico e distanza percorsa, il mezzo di trasporto ideale per un pianeta febbricitante. Ma è anche normale che a nessuno per un sacco di tempo fosse venuto in mente di inventare la bicicletta, dato che ci sono poche cose più controintuitive del miracolo dell’equilibrio sulle due ruote.

Paradossalmente, la bicicletta fu inventata per contrastare gli effetti di un cambiamento climatico improvviso, ma opposto a quello che stiamo vivendo noi oggi. Nel 1815 ci fu l’eruzione più imponente di cui si abbia mai avuta notizia. Il vulcano Tambora, in Indonesia, scagliò nell’atmosfera milioni di tonnellate di polvere e cenere per diversi mesi.

La polvere sospesa in aria velò i raggi solari per anni e gli effetti peggiori si fecero sentire l’estate successiva. Nel 1816 in Europa non ci fu un’estate; in giugno nevicò e in luglio i campi gelarono. I raccolti andarono persi, sui pascoli non cresceva l’erba e alla fine dell’anno cominciò una carestia; le persone dovevano scegliere se mangiare o dare da mangiare ai cavalli. I prezzi del foraggio erano arrivati alle stelle, e migliaia di cavalli morirono di fame.

Dai cavalli alle draisine
Questa strana crisi climatica ebbe delle ripercussioni sull’arte: gli straordinari colori del tramonto in Inghilterra (dovuti anche alla polvere sospesa) produssero gli incredibili paesaggi di Turner. Come racconta William Ospina in un romanzo appassionante, El año del verano que nunca llegó (L’anno dell’estate che non arrivò mai), ci furono effetti anche sulla letteratura: dato che non potevano uscire di casa per il freddo estremo, un gruppo di villeggianti sul lago di Ginevra, su suggerimento di Byron, decise di inventare dei racconti dell’orrore: lì Mary Shelley concepì Frankenstein e John Polidori Dracula.

Un effetto meno noto di quell’anno senza estate fu che la morìa dei cavalli in Germania portò a una crisi inevitabile dei trasporti a cavallo e delle diligenze. La necessità aguzza l’ingegno. Un giovane tedesco, il barone Karl Drais, immaginò e fabbricò un veicolo per rimpiazzare i cavalli: “Invece di quattro zoccoli, due ruote!”, stando a quanto ha scritto Hans-Erhard Lessing, professore di storia della tecnica ed esperto delle origini della bicicletta.

Nasceva così duecento anni fa, nel 1817, la draisina o velocipede, fabbricato in legno, che si muoveva grazie alla spinta simultanea o alternata delle due gambe. Drais brevettò la sua invenzione e cominciò a esportare i velocipedi in Francia, con così tanta fortuna (o sfortuna) che il suo marchingegno cominciò a essere imitato (e migliorato) dai carrettieri, senza nessun riguardo per i diritti d’autore. La pirateria generalizzata è il primo sintomo del fatto che certe invenzioni hanno un successo che i tribunali non riescono a frenare.

Il potenziale della Colombia su due ruote
Poi avvenne qualcosa di inaspettato: chi aveva un velocipede notò che quando prendeva velocità in discesa poteva mantenere l’equilibrio senza poggiare i piedi a terra. Allora alle draisine furono applicate delle staffe che erano un preludio dei pedali. Passarono quarant’anni e fu inventato il biciclo, ovvero il velocipede a pedali, con una sola ruota motrice. Dunlop sviluppò lo pneumatico per migliorare il triciclo di suo figlio e non si sa chi inventò il meccanismo della catena applicata a due pignoni in ferro. Così, solo 130 anni fa, si arrivò alle prime biciclette moderne.

Oggi nelle città più ambientaliste e innovatrici del mondo ci si muove in bicicletta, personale o messa a disposizione dal comune con un servizio di bike-sharing. Il suo uso è promosso e protetto. Un esercizio sano per il corpo, eccellente per la mobilità e conveniente per il pianeta. La Colombia, una potenza mondiale del ciclismo, dovrebbe essere anche un esempio per il mondo della mobilità con questa macchina perfetta: la bicicletta.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano colombiano El Espectador.

Héctor Abad Faciolince sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 1 ottobre.

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