08 dicembre 2017 14:42

“Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione che è solo all’inizio. Non sappiamo quale sarà il suo impatto finale. Quanto sarà esteso, quanto sarà profondo, se ci sarà un contraccolpo. La vera prova di questo movimento sarà la sua capacità di cambiare la realtà delle persone per le quali dire la verità è troppo minaccioso”. Più ancora della scelta del Time di incoronare “persona dell’anno” le donne che hanno acceso la miccia del me too colpisce la sua motivazione. Indizio di un discorso pubblico che non teme il cambiamento ma lo incoraggia, non diffida delle donne ma vi si affida, e sa che le due cose – donne e cambiamento – oggi come oggi vanno insieme o non vanno: no women no change, se non è spinto dalla libertà femminile il cambiamento sociale si blocca. Cieche e sorde sono quelle società che si ostinano a non capirlo.

È il contrario, esatto e speculare, di come il me too è stato commentato nel mainstream mediatico italiano. Là porte spalancate alla presa di parola delle donne, qua un muro di diffidenza. Là approvazione, qua disapprovazione sociale. Là ascolto, qua discredito: parlano vent’anni dopo ma intanto ci hanno fatto carriera, si inventano tutto senza sporgere regolare denuncia in tribunale, non sanno distinguere fra un’avance e una molestia, finiranno con l’eliminare l’erotismo dall’esperienza umana. Misoginia – maschile e femminile – a pioggia, contro qualunque evidenza: ancora l’altra mattina, di fronte alla copertina del Time, qualcuno sentenziava in prima pagina che si tratta certamente di un ripiego, e qualcuna gli faceva eco in tv che il Time era chiaramente a corto di idee e se l’è cavata così.

Vale la pena allora di leggerla con attenzione e di usarla come uno specchio, la motivazione del settimanale americano. Che valorizza il movimento collettivo e ormai planetario del me too senza dimenticare che il coraggio della presa di parola è sempre individuale, e che dunque le donne che hanno parlato vanno nominate, e ringraziate, una per una. Ricorda che tutto è cominciato da Hollywood e dal sistema dei media – “due industrie che vivono fianco a fianco, in una bolla co-dipendente” –, ma non separa le attrici dello star system dalle donne comuni, perché ciò che accadeva nella stanza di Weinstein accade anche nel retrobottega di un ristorante o in un qualunque ufficio. E paragona l’entità del cambiamento culturale in corso a quello innescato dai grandi movimenti che scossero l’America e il mondo alla fine degli anni sessanta: non si sa dove arriverà, ma intanto il treno è partito.

Non solo. L’editoriale del Time accosta acutamente il risveglio della parola femminile a quello del giornalismo americano. L’una e l’altro, osserva, avevano rischiato di essere messi a tacere dall’elezione di un presidente che un giorno si vantava delle sue prodezze sessuali con le donne e l’altro si scagliava contro giornali e giornalisti. E invece l’una e l’altro si sono ritrovati alleati nel portare sussurri e bisbiglii alla luce del dibattito pubblico. Accadde esattamente la stessa cosa qualche anno fa in Italia, quando alcune donne squarciarono il velo del sistema berlusconiano di scambio fra sesso e potere e furono sostenute da voci femminili e maschili del giornalismo indipendente, solo che allora nessuno ringraziò nessuna “per aver dato voce ai segreti, per aver trasformato i whisper network in social network, per aver spinto tutti a smettere di accettare l’inaccettabile” come fa adesso il Time, e i risultati si vedono oggi che Berlusconi torna restaurato al centro della scena politica e tutti sono convinti che a farlo fuori nel 2011 sia stato lo spread e non le donne.

Infine, il Time non si risparmia un cenno autocritico. La consuetudine di segnalare la “persona dell’anno”, spiega, è legata a una concezione della storia imperniata sul ruolo dei grandi uomini, una concezione che oggi appare eclatantemente anacronistica. Dietro quel ruolo e quella grandezza – esplicitiamo il concetto – c’è il dominio dell’uomo bianco, patriarcale, occidentale, oggi traballante e indifendibile. Il che non impedisce, da questa parte dell’Atlantico, di battezzare una nuova forza politica di sinistra “Liberi e uguali”, sottintendendo la continuità di quella storia, di quel ruolo, di quell’universale maschile esclusivo ed escludente. Sono gaffe che capitano quando una società e un sistema politico non sanno vedere dove sta il cambiamento, e perciò stesso se lo precludono.

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