18 febbraio 2018 10:29

Dicono che se sai fare una torta puoi fare una bomba. L’autrice di libri di cucina Ruby Tandoh, ex finalista della trasmissione Great british bake off, non si è mai preoccupata troppo di realizzare una glassatura perfetta – e buon per lei. Personalmente non le affiderei un’arma, ma il suo libro è una vera bomba.

Ciò che più mi fa amare Eat up: food, appetite and eating what you want è tutto ciò che non è. Non è un libro di ricette pieno di rimandi in stile food porn, con la foto dell’autrice ritratta sola nella sua cucina immacolata mentre avvicina alle labbra perfette uno scintillante boccone di qualcosa.

Non è un manuale su come salvare la propria anima mortificando la carne mediante la malnutrizione. Non è il racconto delle vicissitudini emotive di una giovane donna servite al sangue con lieto e sdolcinato fine per contorno. Proprio come Tandoh, questo libro non è altro che se stesso: un libro strano, speciale, a volte ripetitivo che in ogni caso è più di quanto ci si aspetterebbe.

È giovane, capace, bella, di successo ed è andata in tv. Chi le dà il diritto di tenere il broncio? Che altro vuole? Cos’ha da lamentarsi tanto?

I libri e le trasmissioni di cucina, da sempre, sono dominio delle donne quanto degli uomini; forse è per questo che il significato politico del cucinare e del mangiare è stato tanto svilito. Eppure il corpo è inevitabilmente politico e il cibo, quindi, è politica.

Eat up non parla solo di cibo. È un libro sul desiderio, sulla libidine e la fame e su quanto siano terrificanti e vitali, specialmente per le donne e per le persone lgbt. Viviamo in una società diffidente verso il desiderio e disgustata dal corpo umano, e che punta a esercitare il controllo su entrambi. E ciò può spiegare bene il proliferare di attività economiche nei settori del benessere e dell’alimentazione, mentre il mondo si disgrega in un orrendo caos: molti di noi tentano di controllare il proprio corpo quando non riescono a gestire la loro vita.

Panatura di sessimo
La performance di Tandoh a Bake off è stata un trionfo di muta rabbia millennial guarnita di zucchero. Gli spettatori in sala sono rimasti colpiti dalle torte di Ruby, ma per una giovane donna essere semplicemente brava in ciò che fa non è sufficiente. Deve essere anche buona e grata per ogni attenzione ricevuta. Tandoh ha invece presentato i suoi dolci, dal buon sapore ma dall’aspetto poco rifinito, senza mai fare un sorriso. Così ha perso all’ultima portata, la torta nuziale, contro una simpatica signora che, al contrario di lei, ha abilmente evitato di dichiarare di fronte a milioni di persone della media borghesia di ritenere superata l’istituzione del matrimonio.

Le molestie che Tandoh è costretta a subire sono fatte di ingratitudine avvolta in una croccante panatura di sessismo. È giovane, capace, bella, di successo ed è andata in tv. Chi le dà il diritto di tenere il broncio? Che altro vuole? Cos’ha da lamentarsi tanto?

Di parecchie cose, in effetti. Tandoh è anche una donna di 25 anni, omosessuale e di origini miste che si è trovata sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica e da allora è costantemente aggredita come qualsiasi donna che si azzardi a essere in gamba e ambiziosa. Tandoh rifiuta di essere gradevole o di fingersi allegra, il che per una giovane donna è ancora un segno di coraggio.

La grandezza di Tandoh sta nel rifiutare di essere ciò che il mondo si aspetta: una bella ragazza che cucina torte. Lei invece punta con grazia il mirino sul culto della bellezza, calcola i costi della povertà alimentare e fornisce la ricetta di ghiaccioli frizzanti.

Eat up tratta, tra le altre cose, della violenta storia del commercio dello zucchero, delle Black panther e del Rocky horror picture show: “Abbandonatevi al piacere assoluto, nuotate nelle calde acque dei peccati della carne”. E analizza nel dettaglio i processi corporali: non conosco altri libri di cucina con così tanti rimandi all’andare di corpo. Un pizzico di Delia Smith, e un po’ di Irvine Welsh.

Eat up rappresenta un più vasto momento culturale in cui tutti, in particolare noi donne, stiamo riesaminando le politiche del desiderio, della fame, della rabbia e della libidine. Dall’industria del benessere al culto nostalgico del passato, usiamo il cibo non solo per controllare il nostro corpo, ma anche per smettere di desiderare cose che potremmo non ottenere. Non sarebbe più facile, non potremmo forse sentirci o addirittura stare meglio se smettessimo definitivamente di desiderarle? Ruby Tandoh non la pensa così, e nemmeno io.

(Traduzione di Maria Chiara Benini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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