14 febbraio 2020 10:16

Gli urlanti anni venti sono appena cominciati e stiamo già sguazzando nei processi spettacolo ai figli intoccabili della supremazia maschile capitalista bianca: Donald Trump e Harvey Weinstein. Le somiglianze tra i due non sono casuali. Sono entrambi ricchi e potenti, indignati perché gli si sta chiedendo conto di una minima percentuale dei crimini dei quali sono stati accusati. Sembra che entrambi abbiano già un lungo curriculum di atti di corruzione morale, che vanno dagli stupri e le molestie sessuali al ricatto, l’intimidazione, l’uso di potenze straniere per danneggiare i loro avversari e il tentativo di ungere le ruote per ottenere l’impunità. Ed entrambi hanno passato molti anni a costruire le loro alleanze.

Weinstein e Trump puntano molto sulla complicità, al punto che le istituzioni delle quali sono a capo non possono chiedergli di rendere conto di quei reati senza accusare anche loro stesse. Entrambi puntano sul fatto che sono troppo potenti per crollare.

Trump ha già vinto la scommessa. Il tentativo di mettere in stato d’accusa il presidente è arrivato alla sua inevitabile conclusione la settimana scorsa, quando Washington e il mondo sono stati costretti ad ammettere che, come ha detto il deputato democratico della California Adam Schiff, Trump “ha manipolato le nostre elezioni e lo farà di nuovo. Non lo cambierete. È quello che è”. Rivolgendosi direttamente a tutti i repubblicani al senato che hanno un minimo di spina dorsale, Schiff ha ribadito: “Voi siete persone perbene, lui non è come voi”.

L’appello è arrivato troppo tardi. In realtà, la più grande minaccia del liberalismo alla sopravvivenza della specie è dare per scontato che “le persone perbene” se sono a conoscenza dei fatti faranno la cosa giusta. Nessuno è più ansioso di vincere la guerra di chi sa già di aver perso il confronto morale.

I presidenti non vanno sotto processo da soli. La politica è sempre sul banco degli imputati con loro. Questa volta, i difensori di Trump non hanno neanche cercato di far finta che lui non abbia complottato con potenze straniere. “La questione non è se il presidente lo abbia fatto o no”, ha dichiarato il repubblicano del Tennessee Lamar Alexander, per giustificare compostamente perché votava a favore dell’imperatore dei maiali, “ma se il senato degli Stati Uniti o il popolo americano debbano decidere come comportarsi se lo ha fatto”. E il senato ha deciso di non fare niente, perché i repubblicani impauriti hanno accolto la richiesta del signore del crimine di chiudere la faccenda senza sentire nessun testimone. Solo Mitt Romney, candidato repubblicano alle presidenziali del 2012, ha osato rompere i ranghi e votare “colpevole”. Provoca un senso di vertigine morale ripensare a quando il nemico era lui, l’oggetto principale della derisione dei progressisti, anziché l’unico senatore pronto ad agire in base alle sue convinzioni e a rischiare l’ostracismo dei repubblicani.

La domanda è se i meccanismi della democrazia sono in qualche modo in grado di controllare uomini così. E la risposta è no

Alla radice della parola “privilegio” c’è il “diritto privato”, il che significa che puoi riscrivere le regole in base ai tuoi interessi o ignorarle. Dove il sistema dei privilegi è robusto, la corruzione, gli abusi e la violenza sessuale non sono aberrazioni. Trump e Weinstein si consideravano intoccabili, sono stati trattati come intoccabili, e la possibilità di aggredire impunemente le donne non era solo un beneficio accessorio. Gli abusi, compresi quelli sessuali, sono e rimangono alla base del modo in cui funziona il potere nelle industrie e nelle istituzioni costruite sulla complicità. La prova del potere è sempre quante cose puoi fare senza doverne rendere conto. Per uomini come Trump, farla franca è un marchio di fabbrica. Trump fa appello a un gruppo di codardi il cui massimo desiderio è farla franca come lui.

Harvey Weinstein c’è riuscito per anni. A quanto pare. In questo momento, mentre il processo è ancora in corso, sono legalmente obbligata a dire che non è stato giudicato colpevole di nessuno degli ottanta capi d’accusa di stupro e molestie sessuali che sono stati resi pubblici, meno che mai dei due che si stanno discutendo in un tribunale dello stato di New York. Ma sono anche moralmente obbligata a far notare che il modo in cui Weinstein non è stato giudicato colpevole di ottanta capi d’accusa di stupro e molestie sessuali non è lo stesso modo in cui non lo siamo stati io e voi. Dire che “un accusato è innocente finché non se ne dimostra la colpevolezza” è un principio legale, non uno standard morale. Soprattutto non quando la presunzione di innocenza ci impone di pensare che le colpevoli siano le donne. Io non sono un giudice. Non sono un giurato. Non ho il potere di mettere in gabbia un essere umano per il resto della sua vita, perciò mi è consentito dire quello che penso veramente. Mi è consentito dire che è improbabile che centinaia di testimoni e squadre di giornalisti d’inchiesta si sbaglino. Io penso che sia colpevole. La stessa cosa pensano quasi tutti quelli che lavorano nella sua industria. E lo pensate anche voi.

La maggior parte di noi pensa che sia colpevole, e questo è importante. L’abitudine di Weinstein di saltare addosso alle giovani attrici nelle stanze d’albergo e di rovinare la loro carriera se osavano lamentarsi era un finto segreto nell’industria cinematografica. “Lo sapevano tutti, cazzo”, per usare le parole del suo ex protetto Scott Rosenberg. Tutti sapevano quello che faceva Weinstein, e quasi tutti hanno scelto di fingere di non sapere. Perché se avessero ammesso che tutti sapevano, avrebbero dovuto fare qualcosa. Chi sapeva avrebbe dovuto agire o decidere di non agire, consentire che tutte quelle cose continuassero a succedere: gli stupri, la violenza, la costrizione al silenzio, la noncurante distruzione di giovani vite da parte di potenti sociopatici che si possono permettere di ferire gli altri e farla franca.

A volte dire quello che tutti sanno è un atto di disobbedienza civile. Quando una donna accusa il suo stupratore sapendo quanto le costerà, sapendo che probabilmente sarà punita per i crimini commessi contro di lei, è un atto di sfida. Quando cento o mille o diecimila donne rompono i ranghi e denunciano la violenza strutturale, è una rivoluzione. Il movimento #MeToo è nato perché le donne si sono rese conto, collettivamente, che il prezzo del silenzio era più alto di quello che avrebbero pagato parlando. Non è un caso che il movimento sia nato sulla scia dell’ingresso clownesco di Trump alla Casa Bianca con la sua maledetta macchina di risentimento del maschio bianco. Trump, che è stato accusato di molestie sessuali, compreso lo stupro, da almeno venti donne, ha a che vedere con il movimento #MeToo quanto Weinstein.

Mentre le vittime di Weinstein raccontano in lacrime le loro esperienze davanti alla giuria di New York, anche il movimento è sotto processo, il movimento che è cominciato con Weinstein e ha dato vita a un’ondata globale di disobbedienza civile in risposta al fallimento della giustizia e dell’idea del giusto processo. Il sistema giudiziario non è stato capace di proteggere le donne dalla violenza maschile proprio come il sistema democratico non è riuscito a proteggere i cittadini dagli oligarchi avidi e senza scrupoli ai quali viene permesso di prendere il potere per la passera e farla franca. Il sistema non è riuscito a fare quello che i progressisti bianchi onesti si aspettavano che facesse, non è riuscito a essere ragionevole e “onesto”. La verità che adesso diventa evidente è che il sistema è sempre stato destinato ad aprire la strada del potere agli uomini che hanno la ricchezza e la scaltrezza per afferrarlo. Purtroppo, è stato anche ideato pensando che nessuno avrebbe fatto qualcosa di veramente, veramente stupido, come eleggere un pazzo criminale con le capacità critiche di un rottweiler e la stessa capacità di autocontrollo. Nessuno farebbe qualcosa di così stupido. Cosa è andato storto?

La domanda è se i meccanismi della democrazia sono in qualche modo in grado di controllare uomini così, tiranni arroganti senza un minimo di coscienza. E la risposta è no. Questi processi spettacolo sono un test per vedere se questo tipo di cose possono essere risolte in modo civile, un test sulla forza della democrazia e sulla decenza sociale. Finora gli Stati Uniti non hanno superato questo test, come non lo ha superato Hollywood, per gli stessi motivi: l’eccessiva fiducia in se stessi, la pigrizia, il rifiuto di studiare la propria storia e di anticipare domande difficili e imbarazzanti. Domande come: “Il patriarcato è troppo potente per crollare?”.

Questa è la domanda che ha continuato a tornarmi in mente in tutti questi anni di consenso politico che si contorce per nascondere verità che non può più nascondere. Guardando quello che sta succedendo, è difficile non cogliere la stessa dissonanza cognitiva che tanti di noi hanno avvertito nel 2008 vedendo crollare l’economia mondiale. Provate a pensare alla disperata crisi di quell’autunno, alle notizie che uscivano con le affermazioni dei presunti futuri re della finanza internazionale. Certo, avevano combinato un casino e molti milioni di persone avrebbero sofferto terribilmente, ma non c’era alternativa, bisognava salvarli. Era un fatto che veniva presentato come semplice buonsenso economico. La sensazione allora, e ancora oggi, è stata di aver subìto una rapina, e a oltre dieci anni di distanza, nessuno finge più.

Innocenza perduta
Ormai la società civile è ostaggio dell’orgoglio dei maschi bianchi, tiranni bellicosi che ci sfidano ad accusarli e vedere cosa succede. Per tutti quelli che ancora credono che delle persone perbene possano sistemare le cose tra loro, per tutti quelli che sono ancora aggrappati con entrambe le mani alla confortevole complicità, la brutta notizia è che non si può tornare indietro. Anche se Trump ottenesse un secondo mandato, anche se cento Harvey Weinstein sfuggissero alla giustizia, non torneremo mai a com’era prima, a fingere di non vedere, a concedere il beneficio del dubbio, a giustificare gli stupratori perché attaccarci alla fragile convinzione che quegli uomini non sapevano quello che stavano facendo ci spaventa meno che ammettere, per esempio, che la più grande superpotenza del mondo preferisce eleggere uno stupratore piuttosto che una donna.

Non possiamo ritrovare la speciale innocenza caratteristica di quelli di noi che sono cresciuti credendo che le istituzioni agissero in modo razionale e nel pubblico interesse, convinte che una volta appurato che era stata commessa un’ingiustizia, si sarebbe rimediato. Gli Stati Uniti non potranno mai tornare a prima del momento in cui hanno assolto un presidente dai reati che chiaramente aveva commesso per ottenere un potere che non gli si sarebbe dovuto permettere di avere. La cultura occidentale non potrà mai tornare a prima del momento in cui Harvey Weinstein è stato processato, il momento in cui stupratori influenti di tutti i settori sono stati denunciati e messi alla gogna. E uomini così, oligarchi senza scrupoli che parlano dei bei tempi andati mentre danno fuoco al futuro, contano sulla diffusa nostalgia per un passato in cui le donne e i neri sapevano stare al loro posto, conoscevano i loro doveri e sapevano di dover seppellire le prove della vergogna dell’uomo bianco. Contano sul rimpianto diffuso per un’epoca in cui sapevamo di dover nascondere i nostri lividi, coprire la corruzione, seppellire dentro di noi i danni subiti perché i potenti e quelli che sono al loro seguito continuassero a pensare di essere persone perbene. Di essere innocenti.

Le leggi esistono da tempo ed è facile trovare le prove per mandare in prigione uomini come Trump e Weinstein. Quella che manca è la volontà politica di applicare quelle leggi. Uomini come loro hanno capito che se travolgono le regole come carri armati di autostima bianca maschile, nove volte su dieci la gente si girerà dall’altra parte, perché vuole che le cose vadano lisce e non ci siano problemi.

La maggior parte delle persone vuole credere all’idea di un mondo giusto. Vuole credere che il consenso dei governati conti ancora qualcosa, perciò lo concede a posteriori. Perché per la maggior parte delle persone questi sono crimini così enormi da scuotere il loro senso di sicurezza, crimini così grandi che non si può ammettere che lo siano. E questo è un tipo di innocenza che non ci possiamo più permettere. Sta succedendo in tutto il mondo, in tutti i paesi in cui uomini forti conquistano il potere in modo fraudolento. Sta succedendo in India, nel Regno Unito, in Brasile. E in tutti i posti dove sta succedendo, le persone che credono nell’onestà del sistema si stanno aggrappando all’evanescente idea delle garanzie costituzionali, stanno trattenendo il fiato mentre la terra sotto i loro piedi scompare e l’aria si fa più rarefatta, e si stanno chiedendo se è troppo tardi per mollare la presa.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito nel numero 1345 di Internazionale. L’originale era stato pubblicato su The Baffler con il titolo Is patriarchy too big to fail?

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