27 giugno 2017 13:15

La vittoria di Pedro Sánchez al congresso del Partito socialista spagnolo (Psoe) potrebbe portare dei risultati che vanno oltre l’impatto sul panorama politico del paese. È la dimostrazione che in un mondo di social network e di autonomie locali, gli apparati dei partiti e i loro megafoni nei mezzi d’informazione non sono onnipotenti. Che un altro modello di partito è possibile. Che i militanti contano, e non sono un gregge che si porta a pascolare quando lo dicono gli statuti. Che le primarie sono destinate a restare, anche se gli intellettuali non organici e inadeguati rispetto ai nuovi tempi si ostinano a tacciare di populismo tutti i fenomeni che non rientrano nei vecchi modelli in cui tutto dipendeva dai partiti e soprattutto dalle élite finanziarie, dai mezzi d’informazione e dallo stato.

La possibilità di un Psoe ancorato a sinistra, come ha suggerito Sánchez davanti a migliaia di militanti entusiasti, smentisce i cinici e i commentatori che hanno accolto con favore la cospirazione antidemocratica più incredibile della politica spagnola degli ultimi anni. Sono le stesse persone che dentro e fuori del Partito socialista hanno spinto per l’astensione, permettendo a Mariano Rajoy di governare a capo del partito più corrotto d’Europa, come l’ha descritto la deputata Irene Montero nella sua brillante difesa della mozione di sfiducia.

Mantenere i valori socialisti
L’ondata di rabbia e speranza nata nel 2011 con gli Indignados ha raggiunto anche lo storico Psoe, come ha testimoniato Sánchez appena rieletto. Il punto è che la sconfitta della socialdemocrazia non è inevitabile, ma dipende dalla capacità di mantenere i valori socialisti, che vanno adattati alla nuova società, piuttosto che scegliere una subordinazione pragmatica all’egemonia neoliberista.

In Europa, per esempio, Jeremy Corbyn, deriso da tutti i benpensanti che lo consideravano il rappresentante di una sinistra antiquata, ha rilanciato un movimento di sinistra di giovani e di lavoratori facendo perdere la maggioranza assoluta ai conservatori e aprendo per il laburismo la possibilità reale di vincere con un programma di sinistra. Perché Corbyn non si fa intimorire. Dopo l’incendio della Grenfell Tower a Londra, ha lanciato un appello per requisire gli appartamenti vuoti e destinati alla speculazione dell’elegante quartiere di Kensington, dove si trovava la torre, arrivando a proporre la loro occupazione se il governo non aiuterà chi è rimasto senza casa. Parole accolte con entusiasmo da migliaia di giovani che adesso si interessano alla politica.

Invece il leggendario Pasok greco è scomparso, dopo la sua alleanza con i conservatori durante la crisi; il socialismo olandese, a sua volta tendente a destra, ha appena subìto un’ecatombe, e le politiche neoliberiste di François Hollande, guidate dall’allora ministro Emmanuel Macron, hanno ridotto ai minimi termini il Partito socialista francese, che nel giro di un’elezione è passato dal tutto al niente.

Il Portogallo cresce, socialmente ed economicamente, con un’alleanza di sinistra guidata dai socialisti, e in Spagna il Psoe, con un ampio sostegno dei militanti e degli elettori socialisti, ripone le sue speranze in politiche chiaramente progressiste, in contrasto con le politiche economiche regressive avviate da José Luis Rodríguez Zapatero e ancora sostenute dai leader storici del Psoe.

La strategia proposta da Sánchez al congresso del Psoe dipende troppo dall’aritmetica parlamentare

Ma a differenza del Regno Unito, buona parte dello spazio a sinistra in Spagna è già occupato dagli eredi indiretti del movimento degli Indignados: Podemos e affini. La questione catalana, trasversale a tutte le forze politiche, complica straordinariamente il gioco delle alleanze possibili. In questo senso Pedro Sánchez, la cui priorità è cacciare il Partito popolare (Pp) dal governo, dovrà procedere con cautela. Impossibile tornare al bipartitismo, semplicemente perché il Pp e il Psoe sono votati da una minoranza degli elettori che hanno meno di cinquant’anni.

Sánchez sta riuscendo a recuperare una parte del voto giovane (più tra gli astenuti che tra gli elettori di Podemos) e a mobilitare i più anziani, delusi dall’atteggiamento rinunciatario del Psoe nei confronti di Rajoy. Ma la strategia proposta da Sánchez al congresso del Psoe è problematica, perché dipende troppo dall’aritmetica parlamentare. Sembra che continui a cercare un’impossibile alleanza a tre con Podemos a sinistra e Ciudadanos a destra, che non possono permettersi di coalizzarsi con il Psoe perché i loro elettori non lo accetterebbero.

Coerenza con programmi e promesse
Probabilmente Podemos ha sbagliato, nel marzo del 2016, a non astenersi tatticamente per sconfiggere Rajoy. In ogni caso non avrebbe potuto stare al governo con il Psoe o appoggiarlo dall’esterno. Non è una questione di veti, ma di coerenza con i programmi e le promesse. La nuova politica richiede che gli accordi di potere tengano conto delle scelte politiche. L’importante è il cambiamento della società da cui dipende il parlamento. Sánchez fa bene a cercare accordi puntuali con gli uni e con gli altri per mettere fine all’egemonia del Pp su temi come la riforma del lavoro, la legge bavaglio o la corruzione. Ma un’alleanza strategica a lungo termine per una politica di sinistra passa da una formula alla portoghese.

Il Psoe da solo non può portare avanti questa politica, e non possono farlo neanche Podemos e i suoi alleati. Devono convergere. Ma c’è anche la questione centrale della Catalogna. Non c’è via d’uscita. L’80 per cento dei catalani vuole decidere. Il 53 per cento è disposto a votare al referendum, anche se sarà dichiarato illegittimo. Se il nuovo Psoe/Psc vorrà intraprendere una strada indipendente dall’irredentismo nazionalista spagnolo, dovrà prendere le distanze dal Pp e da Ciudadanos e portare avanti negoziati separati. Sarà un’occasione per valutare la capacità di leadership di Sánchez, oggi depositario di molte speranze.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è uscito sul quotidiano spagnolo La Vanguardia.

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