27 gennaio 2016 13:13

Roma ha srotolato il tappeto rosso per il presidente iraniano Hasan Rohani, arrivato lunedì pomeriggio; da questa sera lo stesso farà Parigi. Italia e Francia sono le tappe della prima visita del presidente iraniano in Europa da oltre un decennio, e la prima da quando Teheran ha firmato un accordo con sei potenze mondiali e l’Unione europea per risolvere la controversia sul suo programma nucleare. Proprio pochi giorni fa, il muro di sanzioni che negli ultimi anni aveva isolato l’economia iraniana ha cominciato a disfarsi.

Rohani oggi rappresenta un paese rientrato in pieno sulla scena internazionale, politica ed economica. E ha ricevuto un’accoglienza a dir poco calorosa, almeno a Roma, tra un incontro con il premier Matteo Renzi e una cena con i dirigenti della grande industria italiana, fino all’incontro in Vaticano con papa Francesco, dove l’ospite iraniano ha ripreso il tema della tolleranza e del dialogo tra le civiltà: “chiesa, sinagoga e moschea devono convivere”, ha affermato.

L’Iran si ripresenta come un interlocutore politico: lo riconosce il Vaticano, che in un comunicato sottolinea “il ruolo importante dell’Iran, insieme ad altri paesi della regione, per promuovere soluzioni politiche alle crisi che affliggono il Medio Oriente”. Anche Renzi dichiara che “con l’Iran al tavolo internazionale sarà più facile vincere la sfida al terrorismo e allo Stato islamico”.

L’Iran è un mercato appetibile: due terzi dei suoi abitanti sono giovani istruiti e connessi con il mondo

Il tour europeo di Rohani ruota in gran parte attorno alle relazioni economiche. Non per nulla la delegazione iraniana comprende il ministro del petrolio e un centinaio di imprenditori e alti funzionari di banche, e tra i momenti salienti della visita a Roma c’è stata la firma di accordi per investimenti di circa 17 miliardi di euro. Ne beneficiano le imprese italiane Saipem (un gasdotto), Danieli (siderurgia), Finmeccanica (aerei Atr), il gruppo Gavio (strade e ferrovie).

L’interesse è reciproco. L’Iran oggi è “il mercato più interessante al mondo”, come ha detto il presidente dell’Agenzia del commercio estero Riccardo Monti, durante un business forum italo-iraniano organizzato da Confindustria martedì. Chiaro: si tratta di un paese di 75 milioni di persone di cui due terzi hanno meno di 35 anni, giovani istruiti, dinamici e connessi con il mondo. Ha una buona base industriale e di competenze tecniche, e consuma. È uno dei grandi produttori di petrolio e gas naturale, ma rispetto ai paesi del Golfo ha un’economia molto più diversificata e meno dipendente dagli idrocarburi (nella finanziaria per il 2016 il petrolio fa il 20% del bilancio; ancora pochi anni fa era il 70 per cento).

L’Iran attuale cerca investimenti: “Un tempo pensavamo a comprare prodotti e macchinari. Oggi pensiamo a comprare la fabbrica”, ha dichiarato a Roma il presidente della camera di commercio di Teheran. Una miniera d’oro per le aziende italiane. E non solo italiane: “Dobbiamo correre, in Iran c’è la fila per investire”, ha detto ieri Monti. Per questo era tanto importante per l’Italia essere la prima tappa della prima visita del presidente Rohani. In questi due giorni sono stati più volte evocati gli antichi rapporti, il ricordo di Enrico Mattei e dell’Eni degli anni ‘60, le piccole e medie imprese che non hanno mai smesso di lavorare in Iran.

Il presidente iraniano Hassan Rohani in visita al Colosseo insieme al ministro della cultura italiano Dario Franceschini, il 27 gennaio 2016. (Alessandro Bianchi, Reuters/Contrasto)

Per Rohani è fondamentale mostrare agli iraniani che l’accordo nucleare e la fine delle sanzioni si tradurranno presto in miglioramenti concreti. Perché il paese viene da anni di recessione, lo ha ricordato lo stesso presidente: quando si è insediato nell’estate 2013 l’inflazione era al 45 per cento e la crescita dell’economia segnava meno 6,8 per cento. In due anni, ancora con le sanzioni in vigore, la sua amministrazione ha fermato l’inflazione intorno al 12 per cento, stabilizzato il mercato dei cambi, riportato un po’ di crescita. Secondo il presidente quest’anno fiscale, che si conclude a marzo, si chiuderà a +3 per cento. Un dato che il Fondo monetario internazionale rivede allo zero per cento, ma comunque lontano dal crollo degli anni passati.

Eppure la disoccupazione resta alta, soprattutto tra i giovani, e nei prossimi anni circa dieci milioni di persone entreranno nel mercato del lavoro: il presidente Rohani non l’ha detto nei suoi interventi a Roma, ma è un dato che i dirigenti iraniani hanno ben presente.

La fine delle sanzioni è una svolta, senza dubbio. Tra i benefici, il più immediato sarà sbloccare circa 30 miliardi di dollari di fondi iraniani congelati in banche estere: il governo di Teheran conta di spenderne parte per investire in ferrovie, porti e aeroporti, e nuovi aerei (è in discussione l’acquisto di 114 nuovi velivoli Airbus).

Nel lungo termine però l’Iran spera di attrarre nuovi investimenti. E poiché gli Stati Uniti mantengono molte sanzioni bilaterali, a concorrere per il nuovo mercato sono gli europei. O meglio: l’Europa e la Cina, che negli anni delle sanzioni ha riempito molti degli spazi lasciati proprio dalle imprese occidentali, e non ha certo intenzione di mollare: prima di partire per Roma, Rohani ha ricevuto il presidente cinese Xi Jinping, che ha preso impegni per circa 600 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi dieci anni.

La parte più conservatrice del paese non vuole cedere il suo potere

Tra appelli al dialogo, alla cooperazione economica e alla “cultura della tolleranza”, il presidente Rohani si è preoccupato di rassicurare gli interlocutori europei: l’Iran è pronto ad accogliere investimenti stranieri e su questo “concordano tutte le fazioni interne, il governo, il potere giudiziario, tutte le istituzioni”. Così ha anche ricordato che a Teheran è in corso uno scontro politico interno.

Proprio mentre Rohani sbarcava in Europa, il consiglio dei guardiani ha confermato che Ahmad Khomeini, nipote del primo carismatico leader della repubblica islamica iraniana, non potrà candidarsi alle elezioni del 26 febbraio. Il braccio di ferro sulle candidature è una costante nella politica iraniana: il giovane Khomeini è un esponente della corrente riformista ed è solo uno di migliaia di nomi respinti dall’organismo di controllo (molti hanno fatto ricorso, la partita è aperta). Ma squalificare un religioso dalle solide referenze che per di più si chiama Khomeini, dice quanto sia duro lo scontro.

Tra meno di un mese infatti gli iraniani voteranno per il parlamento nazionale e il consiglio degli esperti, l’organismo di giuristi islamici che ha il fondamentale compito di eleggere il leader supremo, prima carica dello stato. Sarà un voto importante per ridefinire gli equilibri di potere nel paese.

Mentre l’Iran rientra nell’economia globale e il governo tenta di imporre riforme dell’economia e della vita pubblica, il consiglio dei guardiani usa il potere di veto sui candidati per impedire che moderati e riformisti entrino in massa nel prossimo parlamento, come sarebbe prevedibile. La parte più conservatrice del sistema manda a dire che non cederà il suo potere sulle istituzioni chiave della repubblica islamica.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it