12 ottobre 2019 09:58

Ci hanno chiamati “homo videns”. L’homo sapiens, l’uomo che sa, ormai non sa più. Siamo uomini e donne che guardano. Guardiamo, tra le altre cose, per cercare di non sapere. E guardare, in generale, è la cosa che facciamo più di ogni altra.

In media i 7,5 miliardi di abitanti del mondo guardano quattro ore di televisione al giorno. Significa che molti ne guardano sette, otto, o addirittura dieci, perché altri non la guardano quasi mai in quanto troppo poveri, o troppo orgogliosi, o troppo distratti. Significa che in media una persona, arrivata a settant’anni, ne avrà trascorsi dieci (120 mesi, 3.650 giorni) guardando la televisione. Le due uniche attività a cui dedichiamo più tempo nell’arco della nostra vita sono dormire e lavorare. Il fatto che oggi non ci sia più molta televisione in chiaro e che a farla da padrone siano i servizi on demand di serie televisive o i canali a pagamento di calcio o ancora i canali degli youtuber non cambia molto.

La tv è una delle tre attività (l’unica volontaria?) a cui dedichiamo la maggioranza del nostro tempo. Eppure non sappiamo da dove viene, chi l’ha inventata, come, quando e perché. L’homo sapiens, in un angolo, si sta sbellicando dalle risate.

Racconti di fantasia
Quando ero bambino ho imparato che Benjamin Franklin ha inventato il parafulmine, Thomas Edison la lampadina, Alexander Graham Bell il telefono, i fratelli Lumière il cinema, i fratelli Wright l’aereo, Guglielmo Marconi la radio, Alexander Fleming la penicillina. E così via. A prescindere dagli eventuali dubbi sulla paternità di un’invenzione, c’era comunque una storia. Oggi, invece, siamo circondati da oggetti che sembrano non avere una persona né un luogo d’origine. Il primo di questi oggetti è stato la televisione. È come se la mancanza di una storicità contemporanea fosse cominciata con l’oggetto che ci è indispensabile per creare un presente perpetuo. O forse è perché, dato l’aumento vertiginoso di informazioni, è impossibile nascondere che quelle vecchie storie erano racconti di fantasia.

Il candidato principale, in questa vicenda ovviamente statunitense, è un maledetto russo

Nella maggior parte dei casi i grandi inventori di cui ci parlavano da bambini non hanno inventato nulla da soli. Semplicemente ricordiamo quelli che sono riusciti, in qualche modo, ad approfittare e a sintetizzare il lavoro di molti altri, facendo l’ultimo passo nel loro cammino. A noi, però, piacciono gli eroi, quindi ci resta un solo nome. Ma nel caso della televisione non è stato possibile. Non esiste una storia registrata.

Il candidato principale, in questa vicenda ovviamente statunitense, è un maledetto russo. Si chiamava Vladimir Kosmič Zworykin ed era nato nel 1888 nei pressi di San Pietroburgo, dove era andato a studiare a 17 anni proprio mentre il bebè della Corazzata Potëmkin rotolava giù per la scalinata. A San Pietroburgo Zworykin incontrò Boris Lvovič Rosing, professore che era sul punto di far funzionare il suo “telescopio elettrico”, uno strumento per trasmettere le immagini da una macchina all’altra. Poi però arrivò la rivoluzione russa, e Zworykin pensò bene di schierarsi con gli anticomunisti. Fuggì negli Stati Uniti passando per la Siberia, trovò lavoro in una società elettrica chiamata Westinghouse, continuò le sue ricerche, migliorò la sua invenzione e nel 1923 riuscì a presentare il suo brevetto per un marchingegno che ancora non funzionava del tutto.

Nel frattempo, in luoghi diversi del mondo, molti altri tentavano la stessa impresa. Variavano i sistemi e i nomi: iconoscopio, televista, telefoto, emitrón. C’erano esperimenti, brevissime trasmissioni, fallimenti ripetuti. I dati sono confusi, le storie si mescolano. Alcuni libri insistono sul fatto che il primo programma televisivo sia stato trasmesso nel 1939, ottant’anni fa, in occasione dell’esposizione universale di New York alla presenza ingombrante di Franklin Delano Roosevelt, che nascondeva la sua poliomielite. Ma a quel punto la Germania usava già da quattro anni il sistema di Zworykin per regolari trasmissioni di stato. Il problema è che lo stato tedesco, a quei tempi, lo governava un tizio con i baffetti che nessuno vuole ricordare come precursore.

Abbiamo preferito dimenticare. E così l’invenzione più rivoluzionaria di questi decenni, quella che ha reinventato le nostre vite, non ha un inventore. Forse è un segno dei tempi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su El País.

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