Improvvisamente, dovunque mi giro, mi accorgo che tutti fanno la doccia fredda. Non proprio tutti, sarebbe molto strano, ma so riconoscere una moda quando la vedo. A consigliarla è un nuovo libro di Scott Carney intitolato What doesn’t kill us (Quello che non ci uccide), che racconta le imprese di un olandese patito del freddo estremo di nome Wim Hof, il quale una volta ha passato quasi due ore in una vasca piena di ghiaccio.
Su Reddit c’è uno spazio dedicato a questa pratica (“Finalmente ci sono riuscito!”. “Quanto può essere pericoloso bagnare la zona del cervello con l’acqua gelata?”) e online si trovano numerosi post su come affrontare la “Sfida della doccia fredda per 30 giorni”. Sul New York Times, il romanziere Ben Dolnick racconta che le docce fredde hanno completamente cambiato “il suo atteggiamento nei confronti del mondo esterno”.
I loro presunti benefici comprendono di tutto, dal potenziamento del sistema immunitario al rallentamento dell’invecchiamento e alla lotta alla depressione. È una cosa positiva anche per l’ambiente, quindi accende in noi la fiamma della scelta etica. E questa è già una fortuna, dato che ci stiamo preparando a morire di freddo.
Più energia e sonno migliore
Essendo una persona che ha sempre preferito il freddo, e non capisce perché quando fa caldo si dice che è “bel tempo”, sono un candidato naturale a seguire questa moda. Anzi, ho cominciato prima ancora di sapere che fosse una moda.
Dato che spesso mi viene sonno alle cinque di pomeriggio – perché il bambino mi sveglia alle cinque di mattina – ho provato a fare un sonnellino, rinunciato all’idea, e cominciato a buttarmi sotto l’acqua gelata (nessuna gradualità: la doccia deve essere più fredda possibile, e bisogna restarci sotto per almeno un minuto). Ha funzionato alla grande, aiutandomi a guadagnare qualche ora in più di energia. Quando poi faccio un’altra doccia fredda prima di andare a letto, dormo meglio.
Ma ammetto che c’è qualcosa di leggermente masochistico in questo, come in molte strategie per “uscire dalla propria zona di sicurezza”. Che cosa stiamo cercando di dimostrare esattamente? È difficile non arrivare alla conclusione che dietro il desiderio di trionfare sul freddo estremo – o di fare esercizio fisico fino a quando non vomitiamo, o qualsiasi altra cosa del genere – si nasconde il desiderio di trionfare su noi stessi. Ma non può funzionare, perché entrambi i partecipanti a questo incontro di lotta, come avrete notato, siamo sempre noi. Il risultato più probabile è un inasprimento del conflitto interiore.
È per questo che preferisco l’approccio di Dolnick alla doccia fredda, che lo inserisce in pieno nella tradizione dei monaci scintoisti, per i quali immergersi nell’acqua gelata era un rituale religioso. Se la guardiamo da questa prospettiva, non si tratta più di una questione egocentrica di come vincere su noi stessi.
Diventa piuttosto un modo per allentare l’assurda presa che le nostre preferenze hanno sul nostro comportamento. “Quasi in ogni momento del giorno, sono accompagnato da due bambini petulanti e melodrammatici appollaiati sul sedile posteriore della mia mente”, scrive Dolnick. “Quei bambini, Mi Piace e Non Mi Piace, esercitano un angoscioso controllo su quasi tutto quello che faccio”. Quando mi avvicino alla doccia fredda, “Non Mi Piace comincia invariabilmente a strillare. Ma poi quando entro, non succede niente di grave, e Non Mi Piace si tranquillizza completamente. Una volta capito che Mi Piace e Non Mi Piace sono due impostori, nel mondo si aprono migliaia di possibilità”.
Se state ancora pensando che non vi piace l’idea di una doccia fredda tutti i giorni, il punto è proprio questo. Se riuscite a prendere nota di questa preferenza negativa, ma procedete comunque, non c’è quasi nulla che non possiate fare.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
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