21 maggio 2019 13:03

Da adolescente, Thomas Maloney voleva disperatamente fare lo scrittore. Invece è diventato quello che definisce un “praticante della biforcazione”: ha studiato fisica, è finito a lavorare per un fondo speculativo e oggi scrive romanzi nel suo tempo libero. Come ha scritto in un saggio per il sito Aeon, questa scelta lo ossessiona da allora. Si è venduto? Gli è stata data la possibilità di lasciare la sua impronta sul mondo, salvo poi vacillare al momento cruciale, scegliendo una vita confortevole ma meno straordinaria?

“Dividendo tra due attività il tempo e l’energia, che sono valori finiti”, scrive Maloney, “chi pratica la biforcazione sente inevitabilmente di non fare tutto quello che potrebbe”.

La vita “sembra un’opportunità piuttosto speciale, dopo tutto”, e pare un peccato non afferrarla con entrambe le mani. Il suo saggio si conclude con una moderata difesa della sua decisione di scendere a compromessi, ma non nasconde la verità: di compromesso si è certamente trattato.

Tanto per cominciare, il fatto di poter anche solo affrontare un simile dilemma – arte o denaro – è chiaramente un piccolo lusso. Ma il dubbio se scendere o meno a compromessi non riguarda solo casi simili. Infetta anche le relazioni amorose, quando le persone si chiedono se “accontentarsi” o meno di un partner imperfetto. La domanda è al cuore dell’“equilibrio vita-lavoro”: tradirete i vostri talenti se sceglierete un lavoro che vi permetterà di passare più tempo coi vostri figli, oppure tradirete i vostri figli se darete priorità ai vostri talenti? Lo stesso vale per molte altre scelte di vita, come avere o meno dei figli, o dove vivere.

Il numero di cose che potremmo voler fare è infinito. E quindi in ogni scelta è radicato un compromesso

L’unica mia aggiunta alle riflessioni di Maloney sarebbe un punto ovvio eppure spesso trascurato, e che ho sempre trovato profondamente liberatorio: siamo tutti praticanti della biforcazione. A pensarci bene, il compromesso non è una strada che alcune persone scelgono. È un destino che nessuno di noi può evitare.

Mi riferisco al concetto di “costo opportunità”, l’espressione usata dagli economisti per indicare che qualsiasi decisione di fare alcunché comporta un costo – finanziario, spirituale o altro – perché si rinuncia a tutte le altre cose che avreste potuto fare con le vostre risorse, ma non avete fatto. In quanto esseri umani finiti, possediamo tempo, attenzione, energia, denaro e fortuna limitati. Ma il numero di cose che potremmo voler fare, o che ci sentiamo in dovere di fare, è sostanzialmente infinito. E quindi in ogni scelta è radicato un compromesso.

Cambiare prospettiva
Facendo di tutto per soddisfare la vostra ambizione di lavorare come poeta, sacrificherete probabilmente alcune comodità materiali. Ponendo fine a una relazione perché rifiutate di sistemarvi, dovrete accettare d’investire il vostro tempo cercando qualcuno di migliore, senza considerare il rischio che potreste non trovarlo.

Questo non toglie, naturalmente, che per alcune persone i compromessi della vita siano più dolorosi che per altre, a causa delle pressioni economiche e della società. Né significa che, data l’inevitabilità dei compromessi, le nostre scelte non facciano differenza. Ma domandarsi come scendere a compromessi, invece di decidere se farlo o no, è un importante cambiamento di prospettiva.

Dunque, potete smetterla di tormentarvi su come fare per evitare i compromessi, o di rimpiangere di non essere riusciti a evitarli. Potete invece concentrarvi, come scrive Gregg Krech nel suo libro The art of taking action (L’arte di agire) sul “diventare un procrastinatore migliore”. In altri termini, tra tutte le cose che vorreste fare nella vostra vita, dovrete metterne da parte alcune. La maggior parte, in realtà. Quindi l’unica domanda che rimane è: quali?

Da leggere
Il manuale classico di Barbara Sher, Refuse to choose! (Rifiutatevi di scegliere!) suggerisce delle strategie di carriera a chiunque inorridisca di fronte all’idea di scegliere un solo tipo di lavoro.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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