31 ottobre 2019 12:31

Lo scorso settembre, papa Francesco ha dato al personale del Vaticano qualche consiglio su come scrivere: “Non usate aggettivi”, o avverbi, come nell’espressione “veramente cristiani”, ai quali si è dichiarato allergico. Immagino che, se c’è qualcuno che non possiamo biasimare se pontifica, è proprio il pontefice.

Ma i suoi consigli mi hanno un po’ infastidito, come quelli rivolti di recente agli scienziati dal romanziere Cormac McCarthy, che sembra abbia dato per anni suggerimenti editoriali dietro le quinte ad alcuni importanti ricercatori. “Eliminate le parole e le virgole in più ogni volta che potete”, dice McCarthy (come l’hanno parafrasato due dei suoi collaboratori accademici). E: “Non siate troppo elaborati”.

Anche se, per quanto riguarda gli aggettivi, è meno intransigente di Francesco. “Usate un aggettivo solo quando è strettamente necessario”. In breve, siamo tornati al vecchio consiglio di William Strunk e poi di E.B. White in Elementi di stile nella scrittura: “Omettete le parole inutili”.

Qual è lo scopo finale
Non sono d’accordo, non perché – chi l’avrebbe mai detto? – ci sono molti aggettivi e avverbi negli scritti dello stesso papa. E neanche perché l’ammonizione di McCarthy a non essere ridondanti è ridondante (è ovvio che non bisogna essere ridondanti, altrimenti non diremmo “ridondante”).

Come fa notare il linguista Geoff Pullum, anche “omettete le parole inutili” è un po’ sospetto, dato che chiaramente non dobbiamo omettere le parole indispensabili, cosicché l’aggettivo “inutile” è “inutile”. “Omettete le parole” potrebbe essere più sensato, ma è stupido. La mia obiezione a tutti questi consigli di eliminare tutto il superfluo è: superfluo rispetto a che cosa? La necessità o la superfluità dipendono dallo scopo finale, ma è raro che sia dichiarato esplicitamente.

Secondo me la verbosità peggiore si verifica quando non abbiamo ancora capito bene cosa vorremmo dire

Dopotutto, immagino che il complesso linguaggio scientifico disdegnato da McCarthy non sia tale perché gli autori non sanno fare di meglio, bensì perché il loro obiettivo non è solo quello di comunicare, ma anche di sottolineare le loro conoscenze e competenze (questo non è un buon obiettivo a cui mirare, secondo me, ma dato che gli accademici sono fortemente incentivati a farlo, i consigli di stile non risolvono il problema).

Nessuno è infallibile
Un romanziere di talento, invece, può sfruttare la verbosità a scopi comunicativi migliori. Quante delle parole del nuovo romanzo di mille pagine di Lucy Ellman Ducks, Newburyport sono indispensabili? O se è per questo, quanti romanzi sono indispensabili? Quante delle parole mai scritte dovevano necessariamente essere scritte, a parte quelle che appaiono su cartelli come “Scogliera a strapiombo, non avvicinarsi” o “Attenzione contiene candeggina”?

In ogni caso, secondo me la verbosità peggiore raramente è dovuta al fatto che nessuno, papa o romanziere, ha detto allo scrittore di essere più sintetico. Si verifica piuttosto quando non abbiamo ancora capito bene cosa stiamo cercando di dire. Ogni volta che sono bloccato su come esprimere un concetto – o rileggo quello che ho scritto e ho la sensazione che non sia quello che volevo dire – non è mai un problema di stile. È che io stesso non ho chiaro quello che intendevo dire e inconsciamente ho cercato di evitare di pormi il problema.

Perciò, invece di “omettere le parole inutili”, provate a “fare uno sforzo utile”. Costringetevi a formulare esattamente nella vostra testa il messaggio che volete trasmettere, e scriverlo vi verrà facile. Cioè, probabilmente sarà così. Diversamente da qualcun altro, non pretendo di essere infallibile.

Consigli di lettura
Il libro di Steven Pinker The sense of style attinge alla teoria evolutiva per mostrarci come adattare il nostro linguaggio al nostro cervello millenario.

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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