12 aprile 2018 13:07

La comunità scientifica ha annunciato, qualche giorno fa, la scoperta di un nuovo organo del corpo umano. Quello che è stato ribattezzato “interstizio” sarebbe un “agglomerato di tessuti pieni di liquido, della stessa dimensione della pelle, che agisce da ammortizzatore proteggendo i muscoli e gli organi”.

L’annuncio ha scatenato una viva polemica negli ambienti scientifici. Alcuni studiosi affermano che è auspicabile scoprire organi ancora non scoperti dai tradizionali sistemi d’esame o di visualizzazione. Altri che l’anatomia umana sia già stata esplorata in maniera esaustiva e che non ci sia alcuna possibilità di fare nuove scoperte.

James Williams, per esempio, direttore del laboratorio d’anatomia umana dell’Università Rush, ha sbeffeggiato questa pubblicazione dichiarando che “i soli organi del corpo umano che si possono scoprire oggi sono quelli che servono a fare musica”.

Una buona notizia
Contrariamente a quanto afferma Williams, il discorso medico-scientifico non ha smesso di scoprire (o dovremmo dire inventare?) nuovi organi del corpo nel corso degli ultimi secoli.

È successo con la scoperta del clitoride nel sedicesimo secolo, con le tube di Falloppio nel diciottesimo, con gli ovuli e lo sperma nel diciannovesimo, ma la lista sarebbe interminabile. Al contrario di quel che si potrebbe immaginare, il fatto che nuovi organi possano essere scoperti (o inventati) non è una cattiva notizia. Anzi.

La polemica sulla scoperta dell’interstizio evidenzia la lotta tra due epistemologie del corpo. Come Karl Popper ha elaborato la distinzione tra “società aperte” e “società chiuse”, si potrebbe dire che esistono due epistemologie del corpo umano, secondo le quali i corpi possono essere considerati come “corpi aperti” o “corpi chiusi”.

La battaglia per la scoperta di nuovi organi è un problema politico

Nell’epistemologia del “corpo chiuso”, il corpo è inteso come un’entità sacra, determinata dalle leggi naturali, un’anatomia finita, un territorio totalmente mappato, uno spazio recintato (e, sia detto en passant, commercializzato) sul quale la scienza può intervenire per affinare la rappresentazione, ma la cui definizione formale e funzionale è già stata completata.

Secondo l’epistemologia del “corpo aperto” il corpo è ridefinito e costantemente modificato dai suoi usi sociali e dalla sua relazione col linguaggio e la tecnologia.

La battaglia per la scoperta o l’invenzione di nuovi organi non è una semplice questione di nomi o di rappresentazioni. È un problema eminentemente politico. Laddove esiste un organo è possibile indicare una funzione, un uso, una relazione sociale e, di conseguenza, un processo politico di concatenamento e di riappropriazione.

Il conflitto
La University school of medicine di New York, che ha annunciato la scoperta dell’interstizio, ha parlato immediatamente di nuove tecniche di diagnosi e di trattamento. La scoperta dell’interstizio apre quindi un nuovo ambito d’intervento sociale, di nuove malattie, di nuove cure, di nuove medicine, di nuovi ambiti di ricerca e conoscenza e così via.

Ogni organo è una sfera d’azione politica. La dimensione politica del conflitto che avvolge i nuovi organi è ancora più palpabile nella resistenza, da parte del discorso medico-scientifico, ad accettare gli organi sessuali trasformati dalle terapie ormonali e le protesi sessuali come nuovi organi a pieno diritto del corpo trans.

Il dogma alla base dell’anatomia del “corpo chiuso” impedisce alla medicina di riconoscere e di certificare l’esistenza di nuovi organi genitali trans. Finora il discorso scientifico-legale ha insistito sulla possibilità di trasformare l’anatomia femminile in maschile o viceversa. Sono state evocate operazioni di “vaginoplastica” e di “falloplastica” per indicare la costruzione chirurgica di una vagina e di un pene, ma non c’è stata alcuna possibilità di nominare o di riconoscere altri organi al di fuori del binarismo genitale.

Il rifiuto di molte persone transgender nei confronti degli interventi basati su questo binarismo, a favore di operazioni come la “metoidioplastica” – che taglia i legamenti del clitoride per trasformarli in organi esterni – rivela la necessità di riconoscere l’esistenza di nuovi organi trans.

Intrappolati nell’epistemologia del corpo chiuso, i nostri corpi trans esistono in un vuoto anatomo-politico. Vivo questo vuoto anatomo-politico quando mi siedo, ad esempio, nella sala d’attesa del ginecologo, con il mio nome e il mio corpo trans, circondato da donne incinte. Immagino che alcune si domandino se io sia il compagno di alcune di loro.

Il loro stupore aumenta quando il dottore mi chiama col mio nome maschile. Non sono il compagno di nessuna donna. Sono un uomo trans che si rivolge a un ginecologo. Ma niente di tutto questo può essere nominato o certificato. Quand’è che la comunità medico scientifica accetterà di nominare e autorizzare i nostri organi trans?

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Libération.

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