18 aprile 2020 09:45

Mi sono ammalato a Parigi l’11 marzo, prima che il governo francese decretasse le misure d’isolamento della popolazione, e poco più di una settimana dopo, quando sono guarito, il mondo era cambiato. Mi ero messo a letto mentre il mondo era ancora vicino, collettivo, vischioso e sporco. Mi sono rialzato ed era diventato distante, individuale, asettico e igienico. Durante la malattia non potevo valutare quel che succedeva da un punto di vista politico o economico, perché la febbre e il malessere avevano la meglio sulle mie energie vitali. Nessuno è filosofo quando la testa ti sembra esplodere.

Di tanto in tanto seguivo le notizie, cosa che aumentava il mio disagio. La realtà era indissociabile da un brutto sogno, e le prime pagine dei giornali erano ancora più sconcertanti di qualunque incubo provocato dai miei deliri febbrili. Come ricetta antistress per due giorni ho deciso di non aprire internet. A questo e all’olio essenziale di origano attribuisco la mia guarigione. Non avevo difficoltà a respirare, ma faticavo a pensare di continuare a respirare. Non avevo paura di morire, ma avevo paura di farlo da solo.

La nuova forma delle cose
Tra la febbre e l’ansia mi sono detto che i parametri di organizzazione del comportamento sociale erano cambiati per sempre e che non si sarebbero potuti modificare mai più. E mentre la mia respirazione diventava più facile, ho sentito la forza di un’evidenza che mi ha lasciato senza fiato: tutto sarebbe rimasto per sempre nella nuova forma che le cose avevano preso.

Avremmo avuto accesso a forme di consumo digitale sempre più spinte, ma in questo modo i nostri corpi, i nostri organismi fisici, sarebbero stati privati di qualunque contatto e di qualunque vitalità. La mutazione avrebbe preso la forma di una cristallizzazione della vita organica, di una digitalizzazione del lavoro e dei consumi, e di una smaterializzazione del desiderio.

Che importanza ha dire alla persona amata che l’amate, se comunque non la potrete più rivedere?

Le coppie sposate sarebbero state confinate in casa 24 ore su 24, poco importa se amando o detestando il coniuge, o entrambe le cose, il che, tra l’altro, è una cosa normalissima: la coppia è retta da una legge della fisica quantistica secondo cui non c’è opposizione di termini contrari, ma una simultaneità di fatti dialettici.

In questa nuova realtà chi di noi aveva perso l’amore o non l’aveva trovato in tempo, cioè prima della grande mutazione del covid-19, sarebbe stato condannato a passare il resto della vita completamente solo. Saremmo sopravvissuti ma senza tatto, senza pelle. Chi non aveva osato dire alla persona amata che l’amava non avrebbe più potuto raggiungerla anche se poteva continuare a esprimere il suo amore e doveva adesso vivere per sempre nell’attesa impossibile di un incontro fisico che non ci sarebbe mai stato. Chi aveva scelto di viaggiare sarebbe rimasto per sempre dall’altra parte della frontiera, e i borghesi partiti in crociera o in campagna per passare i giorni di isolamento nelle loro piacevoli seconde case (poverini!) non sarebbero più potuti tornare in città. Le loro abitazioni principali sarebbero state requisite per accogliere i senza dimora che, a differenza dei ricchi, vivono in permanenza in città.

Tutto sarebbe stato definito sulla base di questa forma nuova e imprevedibile che le cose avevano preso dopo il virus. Quello che sembrava un isolamento temporaneo si sarebbe prolungato per il resto della nostra vita. Forse le cose sarebbero cambiate di nuovo, ma non per chi di noi ha più di quarant’anni. Questa sarebbe stata la nuova realtà. La vita dopo la grande mutazione. Mi sono quindi chiesto se valeva la pena continuare a vivere così.

La mia teoria del complotto preferita
La prima cosa che ho fatto uscendo dal letto, dopo essere stato malato per una settimana tanto enorme e strana quanto un nuovo continente, è stata quella di chiedermi: in quali condizioni e in che modo varrebbe la pena continuare a vivere? La seconda cosa, prima di trovare una risposta a questa domanda, è stata scrivere una lettera d’amore. Tra tutte le teorie del complotto che ho letto, quella che mi ha più sedotto afferma che il virus è stato creato da un laboratorio per fare in modo che tutti gli amanti abbandonati del mondo possano ritrovare i loro ex, senza però essere veramente obbligati a tornare insieme.

Piena di lirismo e di tutte le angosce accumulate in una settimana di malattia, di timori e di dubbi, la lettera alla mia ex non era solo una dichiarazione d’amore tanto poetica quanto disperata, ma era soprattutto un documento umiliante per chi l’aveva scritta. Ma se le cose non potevano più cambiare, se la lontananza impediva per sempre di toccarsi di nuovo, che importanza poteva avere il fatto di rendersi ridicoli in questo modo? Che importanza poteva avere il fatto di dire il vostro amore alla persona amata, sapendo che probabilmente vi aveva già dimenticato o sostituito, se comunque non l’avreste mai più potuta rivedere? La nuova situazione, nella sua granitica immobilità, permetteva un nuovo grado di sorpresa, ma anche della propria capacità di mettersi in ridicolo.

Ho scritto questa lettera bella e terribilmente patetica a mano, l’ho messa in una busta bianchissima e sopra ho scritto, con la mia migliore calligrafia, il nome e l’indirizzo della mia ex. Mi sono vestito, ho messo una maschera, i guanti e le scarpe che avevo lasciato vicino alla porta, e sono sceso al piano terra. Qui, seguendo le regole dell’isolamento, non mi sono diretto al portone ma sono andato in cortile dove si butta la spazzatura. Ho aperto il contenitore per la differenziata e ci ho messo la lettera, rigorosamente in carta riciclabile.

Sono risalito tranquillamente nel mio appartamento. Ho lasciato le scarpe davanti alla porta, sono entrato, mi sono tolto i pantaloni e li ho messi in un sacco di plastica, ho tolto la maschera e l’ho messa sul balcone per farle prendere aria, ho tolto i guanti, li ho gettati nella spazzatura e mi sono lavato le mani per due interminabili minuti. Tutto, assolutamente tutto era definito dalla procedura che si era imposta dopo la grande mutazione. Sono tornato al computer e ho controllato la posta: ed eccola lì, un’email della mia ex intitolata “Penso a te durante la crisi del virus”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération.

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