07 gennaio 2019 13:27

Le manifestazioni non si limitano alla Francia, con l’ulteriore giornata delle proteste dei “gilet gialli” andata in scena il 5 gennaio, quando altri due paesi hanno vissuto importanti manifestazioni contro il governo.

Nell’Ungheria guidata dalla destra di Viktor Orbán e nella Serbia dell’ex nazionalista Aleksandar Vučić, migliaia di persone hanno sfidato il freddo per esprimere la loro rabbia. Le proteste si ripetono dal mese di dicembre a Budapest e per il quinto sabato di fila a Belgrado.

Solo in Francia, però, le manifestazioni sono sfociate in atti di violenza. Le cause dell’insoddisfazione sono diverse e i governi in questione appartengono a correnti opposte, soprattutto se pensiamo alla distanza che separa Orbán da Macron, e anche i paesi coinvolti hanno status diversi: la Francia e l’Ungheria fanno parte dell’Unione europea, mentre la Serbia spera ancora di entrare nel club. Eppure i tre movimenti messi a confronto presentano alcune similitudini.

Sfiducia politica
Il principale punto in comune è una grande sfiducia nei confronti dei partiti politici, che avendo scelto forme di organizzazione civica sono andati inevitabilmente a sbattere contro i propri limiti.

A Budapest, tutta l’opposizione politica partecipa al movimento contro una nuova legge definita “schiavista” che riguarda le ore di straordinario, ma è chiaro che i manifestanti non si fidano di quei partiti che li hanno delusi quando erano al potere, e si accontentano di seguirli solo su una piattaforma di rivendicazione sociale precisa.

A Belgrado la situazione è identica, come sottolinea il sociologo Jovo Bakić alla testata online Courrier des Balkans: “Si tratta di un movimento di cittadini che usano i partiti di opposizione solo in funzione di sostegno”. Le manifestazioni serbe in questo caso nascono dopo che un oppositore è stato malmenato da alcuni scagnozzi del regime e per la censura imposta ai mezzi d’informazione.

La violenza in Francia è preoccupante perché si esprime nella più antica delle tre democrazie

Mentre in Francia alcuni gilet gialli credono di vivere in una dittatura e denunciano i mezzi d’informazione, i loro colleghi in Ungheria e Serbia vivono in contesti ben più autoritari in cui il pluralismo dell’informazione è realmente minacciato. Su questo punto le manifestazioni procedono in direzione opposta.

Resta il problema della violenza, preoccupante perché si esprime nella più antica delle tre democrazie, quella francese, e non è quella abituale delle manifestazioni di protesta ma quella deliberata messa in atto da gruppi molto determinati. In Francia la violenza si richiama alla storia – alcuni si rifanno agli anni trenta, altri all’attesa della rivoluzione – mentre a Budapest e a Belgrado ci si preoccupa di evitare gli eccessi che possano mandare le cose fuori controllo.

Gergely Kovács, fondatore dell’equivalente ungherese del Partito pirata, ha dichiarato pochi giorni fa a un giornale ungherese che “l’intensificazione delle manifestazioni si verifica solo quando il governo reagisce con violenza. Per il momento stanno evitando di farlo”, ha spiegato, riconoscendo con un certo stupore che “la polizia sta agendo in modo responsabile”.

Le manifestazioni sono comunque il segno di un’Europa dove i vecchi modelli sono contestati, come quelli che vorrebbero sostituirli. Questa è l’Europa che dubita.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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