31 gennaio 2019 11:22

Il 26 gennaio scorso, mentre Parigi era in allerta per il decimo atto della protesta dei gilet gialli, diverse decine di oppositori del regime camerunese hanno assalito e distrutto l’ambasciata del loro paese, nel sedicesimo arrondissement, prima di essere allontanati dalla polizia. L’operazione è stata trasmessa in diretta su Facebook, com’è consuetudine di questi tempi. Incidenti simili si sono verificati anche all’ambasciata del Camerun a Berlino.

Il 28 gennaio il leader dell’opposizione camerunese, Maurice Kamto, è stato arrestato e detenuto in segreto a Yaoundé, insieme a diversi dirigenti del suo partito, il Movimento per la rinascita del Camerun (Mrc).

Lo scorso fine settimana si sono svolte diverse manifestazioni nelle città del paese, disperse dalla polizia che ha interrogato più di cento persone. Nuovi appelli a scendere in piazza sono stati lanciati per il 2 febbraio, in una sorta di secondo atto della protesta camerunese.

Vincitore prevedibile
Bisogna tornare alle presidenziali del 7 ottobre 2018 per capire la situazione. Paul Biya, al potere da trentasei anni, si era candidato a un settimo mandato. Per questo uomo di 85 anni si è trattato di un rituale elettorale familiare, e com’era prevedibile è stato proclamato vincitore.

Tuttavia il candidato dell’opposizione, Maurice Kamto, che ufficialmente avrebbe ottenuto appena il 14 per cento dei voti, si è proclamato vincitore. I suoi ricorsi, però, sono stati respinti. Kamto, 65 anni, non è una persona inaffidabile. Ex magistrato con esperienza internazionale, è stato un ministro di Biya prima di rompere con il vecchio presidente e creare il suo partito.

Queste elezioni contestate sono l’antefatto degli scontri recenti a Yaoundé e a Parigi, in un clima da fine regno alimentato dalle diverse crisi che affliggono il regime camerunese.

Il Camerun è un paese in stallo. La giovane generazione urbana ha voglia di cambiamento

A Yaoundé si percepisce un grande nervosismo attorno a un presidente anziano, spesso assente per lunghe vacanze all’estero e senza un successore dichiarato.
La devastazione dell’ambasciata a Parigi ha alimentato la paranoia del regime. L’agenzia di stampa ufficiale camerunese si domanda se la Francia non sia “complice” di questo attacco, e se per caso non ci sia anche lo zampino di “agitatori come George Soros”, il finanziere americano trasformato dall’estrema destra nel bersaglio perfetto.

La realtà è più semplice: il Camerun è un paese in stallo governativo che fa acqua da tutte le parti, in particolare nella regione anglofona minoritaria, teatro di una rivolta armata. La giovane generazione urbana ha voglia di cambiamento.

La Francia, che ha aiutato Biya a conquistare il potere quando il sistema di connivenza chiamato “Franciafrica” è stato reinventato sotto François Mitterrand, si è inevitabilmente trovata immischiata alla crisi. Parigi riceve critiche quando si interessa troppo delle questioni interne di un paese, ma anche quando non fa nulla.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto chiaramente all’inizio della settimana cosa pensa del rispetto dei diritti umani in Egitto, pur ribadendo il suo impegno per garantire la stabilità del paese. La stessa cosa dovrebbe applicarsi anche al Camerun, perché un silenzio troppo lungo sarebbe inevitabilmente complice.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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