21 marzo 2019 11:11

Quella dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è una brutta faccenda. Sono passati mille giorni da quando i britannici hanno votato per la Brexit, ma a otto giorni dalla scadenza del 29 marzo siamo arrivati a una situazione grottesca.

Il 20 marzo il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha fatto presente che se il parlamento britannico non approverà l’accordo con i 27, negoziato per due anni con Michel Barnier, l’unica alternativa possibile sarà il no deal, l’uscita del Regno Unito senza alcun accordo.

Theresa May ha già incassato due sconfitte cocenti quando ha provato a far approvare il suo piano, e al momento niente lascia pensare che le cose andrebbero in modo diverso una terza volta, a meno che la collera teatrale degli europei non produca qualche risultato.

Comunque vada a finire, è un fiasco clamoroso per una delle più antiche democrazie del mondo, intrappolata in un malfunzionamento democratico.

In fondo Theresa May e i leader europei vogliono la stessa cosa: un divorzio senza scossoni. Tuttavia, se i parlamentari conservatori rifiuteranno di nuovo di approvare l’accordo con i 27, si assumeranno la responsabilità di concretizzare una delle due opzioni residue: il no deal, con le sue conseguenze potenzialmente gravissime per l’economia britannica a breve termine, oppure, caso estremo, l’abbandono puro e semplice del progetto della Brexit.

Nessuno pensa di chiedere il parere degli elettori britannici

Alcuni dei ribelli del primo voto hanno cambiato schieramento in occasione del secondo, ritenendo che un accordo insoddisfacente sarebbe comunque meglio che tradire la promessa della Brexit. Al momento, però, non esiste ancora una maggioranza favorevole all’accordo (o se è per questo a qualsiasi altra soluzione). Tra l’altro resta da capire se il temibile presidente della camera dei comuni autorizzerà Theresa a porre per la terza volta la stessa domanda…

Ma cosa ne pensano gli elettori britannici? La verità è che nessuno pensa di chiedere il loro parere. Theresa May e il suo partito, infatti, sono d’accordo su un doppio rifiuto: niente elezioni anticipate che rischierebbero di premiare il Partito laburista (anche se non appare in gran forma) e soprattutto niente secondo referendum sulla Brexit, perché rappresenterebbe l’ammissione di un fallimento.

Elettori più giovani ed europeisti
Eppure secondo i sondaggi, per quello che possono valere in un contesto così instabile, oggi la maggioranza dei britannici vorrebbe confermare l’adesione all’Unione europea, non tanto perché gli elettori del 2016 hanno cambiato opinione quanto perché i giovani che hanno raggiunto l’età per votare sono in gran parte favorevoli alla permanenza nell’Europa unita.

La storia non sarà tenera con l’attuale classe politica britannica, incapace di prendere una decisione in un momento storico. Ma non sarà tenera nemmeno con questa Europa che non ha saputo conservare la coerenza del suo progetto, perdendo nel frattempo uno dei suoi componenti, sicuramente non uno tra i più europeisti, ma comunque uno dei più importanti. Lo spettacolo di questo divorzio rissoso è triste sia per i britannici sia per l’Europa intera.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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