09 maggio 2019 11:52

È un grande classico: in questa campagna per le elezioni europee non si parla molto di Europa. Ma questo non impedisce ai leader degli stati dell’Ue di pensare già a cosa accadrà dopo le elezioni in programma tra meno di tre settimane.

I 27 si riuniscono il 9 maggio a Sibiu, in Romania, e ricordiamo che sono 27 perché il Regno Unito, anche se ufficialmente fa ancora parte del club, non è stato invitato, prima di tutto perché si parlerà di un futuro che non riguarda più Londra e in secondo luogo perché gli europei sono stanchi di farsi rovinare le riunioni dalla Brexit.

Il vertice di Sibiu è “informale”, ovvero non sarà presa nessuna decisione. Di sicuro è una scelta saggia, considerando la vicinanza con il voto. I capi di stato e di governo parleranno invece del modo migliore per nominare rapidamente i dirigenti delle principali istituzioni: la Commissione, la presidenza del consiglio e l’incarico, sempre più importante, di alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza.

Rinnovare la presidenza della Commissione
Le scelte dipenderanno dai risultati delle elezioni, dai rapporti di forza tra i grandi gruppi, dalle possibili coalizioni e anche dalle ricomposizioni politiche. È prevista una scissione di Fidesz, il partito del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che dovrebbe lasciare il Partito popolare europeo (la destra tradizionale) per unirsi all’estrema destra guidata da Matteo Salvini e Marine Le Pen.

In gioco c’è la possibilità che l’Europa superi il lungo periodo di dubbi e letargia

Queste grandi manovre si ritrovano nella scelta del presidente della Commissione. Il capofila della destra europea, il bavarese Manfred Weber, non può contare sull’unanimità dei consensi nemmeno nel suo schieramento. Il francese Michel Barnier, capace di conservare l’unità tra i 27 durante il negoziato sulla Brexit, guadagna stabilmente terreno. Qualcuno fa di nuovo il nome di Angela Merkel. I liberali, il cui peso sarà incrementato dai deputati macronisti, spingono per la commissaria europea Margrethe Vestager per dare un chiaro segno di rinnovamento ai vertici dell’Unione.

Al di la dei nomi, in gioco c’è la possibilità che l’Europa superi il lungo periodo di dubbi e letargia in cui ancora si trova.

Riscaldamento climatico e Iran
Due argomenti, intanto, si impongono sugli altri: il primo è il clima. Sull’argomento la Francia ha stretto un’alleanza con altri sette paesi (Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Svezia e Danimarca) per proporre in settimana un impegno da parte dell’Unione a raggiungere la quota zero delle emissioni nette di Co2 entro il 2050. Grande assente è la Germania, senza la quale la proposta non andrà lontano. È un segno delle attuali difficoltà tra Parigi e Berlino.

Il secondo argomento è l’autonomia strategica europea in un contesto in cui, come dimostrano gli ultimi sviluppi della quesitone iraniana, l’Europa non riesce ad avere un peso quando è in disaccordo con gli Stati Uniti.

Questa situazione potrebbe spingere gli europei a prendere coscienza di come sarebbe il mondo se l’Europa continuasse solo a subire le decisioni altrui. Sono temi cruciali, perfino esistenziali. Di sicuro meriterebbero che gli elettori se ne interessassero prima di scegliere come votare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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