13 giugno 2019 10:16

Se c’è un luogo al mondo dove i fatti di Hong Kong sono osservati con estrema attenzione, è sicuramente Taiwan, l’isola rivendicata da Pechino. Le scene di violenza che si sono svolte il 12 giugno davanti al parlamento di Hong Kong, insieme alle manifestazioni di massa degli ultimi giorni, rendono più difficile la riunificazione con la Cina continentale.

Il 9 giugno, quando un milione di persone ha sfilato per le strade di Hong Kong, la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ha espresso attraverso Twitter il suo sostegno ai manifestanti, aggiungendo la seguente frase: “Fino a quando sarò presidente, la via di ‘un paese, due sistemi’ non sarà mai un’opzione percorribile”.

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“Un paese, due sistemi” è la formula che dovrebbe garantire l’autonomia di Hong Kong all’interno della Repubblica popolare cinese per cinquant’anni, fino al 2047. Tuttavia i manifestanti di Hong Kong ritengono che questo status sia costantemente intaccato da Pechino e soprattutto dalla proposta di legge sulle estradizioni verso la Cina che ha scatenato la crisi attuale.

Pechino ha proposto a Taiwan, separata dalla Cina continentale ormai del 1949, di riaggregarsi alla “madrepatria” con lo stesso status autonomo.

I 23 milioni di taiwanesi sono legati allo statu quo, ovvero a una zona grigia in cui la loro isola è, nei fatti, indipendente anche se quasi non riconosciuta al livello internazionale. La proclamazione di una reale indipendenza rappresenterebbe un casus belli per Pechino, e Taiwan non intende superare questa linea rossa fino a quando non sarà minacciata direttamente dalla Cina.

Messaggio velato
Reagendo alle immagini che arrivavano da Hong Kong, la presidente taiwanese ha sicuramente fatto un calcolo politico. Un’elezione presidenziale particolarmente difficile è prevista a febbraio, e Tsai mostra ai suoi elettori il caso di Hong Kong inviando un messaggio velato: ecco cosa rischiereste scegliendo i miei rivali.

Un’elezione dopo l’altra i taiwanesi, che godono di una reale democrazia, alternano al potere due grandi famiglie politiche. La prima, attualmente al governo, è più favorevole all’indipendenza. La seconda, storicamente più vicina alla Cina, non osa chiedere la riunificazione. La stessa scelta si ripresenterà nel febbraio 2020.

Gli eventi di Hong Kong favoriscono la presidente di Taiwan, consapevole che dopo aver subìto pesanti sconfitte in occasione delle elezioni locali, la minaccia all’autonomia di Hong Kong è il miglior strumento elettorale possibile.

La Cina, insomma, sta compromettendo la sua politica taiwanese con il suo atteggiamento nei confronti di Hong Kong.

I leader cinesi, in ogni caso, sanno bene che non riusciranno mai a convincere i taiwanesi offrendo lo status “un paese, due sistemi”, e preferiscono puntare su una costante pressione economica, politica, diplomatica e potenzialmente militare, nella speranza che un giorno Taiwan cada tra le loro braccia come un frutto maturo.

Gli eventi di Hong Kong, in definitiva, segnano un momento importante anche per l’altro oggetto del desiderio cinese, Taiwan.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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