06 settembre 2019 12:53

È stato il momento più spettacolare del G7 di Biarritz, di dieci giorni fa: l’arrivo a sorpresa del capo della diplomazia iraniana con la dichiarazione prudente di Donald Trump, che non aveva chiuso la porta a un incontro con il presidente iraniano Hassan Rohani.

Da quel momento le diplomazie si sono messe al lavoro per tentare di fare qualche passo avanti sulla base di questo raro momento di distensione. Ma ad attivarsi sono stati anche gli avversari del progetto, che hanno avviato con successo una controffensiva per far naufragare l’iniziativa francese.

Negli Stati Uniti e in Israele i nemici di qualsiasi riduzione della pressione esercitata contro l’Iran sono intervenuti per richiudere una porta che si era leggermente aperta a Biarritz. Queste forze stanno cercando di bloccare un progetto concepito dalla diplomazia francese che permetterebbe all’Iran di beneficiare di una linea di credito da 15 miliardi di dollari, garantita dal petrolio, in cambio della rinuncia alla ripresa del programma nucleare nazionale.

Le sanzioni colpiscono la popolazione
A Washington Brian Hook, responsabile per le questioni iraniane dell’amministrazione Trump, ha escluso qualsiasi partecipazione statunitense al progetto, ribadendo al contrario che sono in arrivo nuove sanzioni nei confronti del regime di Teheran.

A Biarritz il presidente Trump aveva dichiarato di non volere un cambiamento di regime a Teheran, ma nella sua cerchia ristretta ci sono evidentemente persone che sperano nella caduta dei mullah, a cominciare dal consulente per la sicurezza nazionale John Bolton.

Dopo Biarritz l’Iran ha inasprito i toni e Rohani ha deciso di infrangere l’accordo internazionale

I nemici del regime iraniano sono convinti che l’embargo petrolifero e le sanzioni stiano soffocando l’economia di Teheran. In effetti tutte le testimonianze concordano sul fatto che le sanzioni stanno avendo un forte impatto sulla vita degli iraniani. I “falchi” dell’amministrazione pensano che portare al massimo la pressione sia una scelta migliore rispetto a quella di entrare in una logica di compromesso, come invece aveva fatto Barack Obama e come propongono oggi i francesi.

È la stessa posizione di Benjamin Netanyahu, che in una telefonata ha fatto presente al presidente francese Emmanuel Macron che non è il momento di allentare la pressione. Il 5 settembre il primo ministro israeliano si trovava a Londra per convincere Boris Johnson a prendere le distanze dalla posizione di Francia e Germania. Naturalmente non è detto che il premier britannico, in pieno psicodramma Brexit, abbia voglia di pensare alla questione iraniana.

Come prevedibile l’Iran ha inasprito sempre di più i toni con l’allontanarsi delle prospettive avanzate a Biarritz. Il presidente Rohani ha annunciato che a partire dal 6 settembre l’Iran ignorerà tutte le restrizioni sull’arricchimento dell’uranio previste dall’accordo del 2015. Davanti al rifiuto statunitense, dunque, Rohani ha deciso di infrangere palesemente l’accordo internazionale.

I diplomatici francesi non hanno perso la speranza di salvare la mediazione, ma la vicenda evidenzia tutta la difficoltà di negoziare con Donald Trump. A Biarritz, durante la colazione a due con Emmanuel Macron, il presidente degli Stati Uniti non si era mostrato insensibile agli argomenti avanzati dal suo collega e non si era nemmeno opposto alla presenza del ministro iraniano.

Una volta rientrato a Washington, però, Trump ha subìto nuovamente l’influenza degli esponenti più radicali della sua amministrazione. La schiarita di Biarritz, a quanto pare, potrebbe essere stata solo un episodio senza seguito.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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