11 settembre 2019 11:52

Benjamin Netanyahu, nel tentativo di vincere le elezioni generali del 17 settembre in Israele, alza la posta ogni giorno con un nuovo annuncio: se il 9 aveva insistito sulla minaccia nucleare iraniana, il giorno dopo ha parlato di un progetto di annessione della valle del Giordano e di una parte della Cisgiordania vicina al mar Morto, territori occupati nel 1967.

Nella sua dichiarazione, il primo ministro israeliano, impegnato secondo i sondaggi in un testa a testa con l’opposizione, ha chiesto agli elettori di concedergli un “mandato chiaro” per realizzare l’espansione promessa. Netanyahu aveva già ventilato questa possibilità prima dell’ultimo voto, ma in modo meno preciso rispetto all’annuncio del 10 settembre.

Le annessioni di cui parla Netanyahu sono illegali in base al diritto internazionale e modificherebbero profondamente l’equazione israelo-palestinese, allontanando ulteriormente la prospettiva di uno stato palestinese. Ma questo aspetto perde d’importanza davanti alla necessità politica del candidato. Netanyahu sa di poter contare sull’appoggio di Donald Trump, che lo sostiene incondizionatamente. Il presidente degli Stati Uniti ha già legittimato l’annessione di un altro territorio conquistato nel 1967, l’altopiano del Golan siriano.

Il bersaglio di Netanyahu è palese: gli elettori delle colonie ebraiche nei territori occupati, tentati di votare per partiti diversi dal Likud e ancora più orientati a destra.

Per Netanyahu ogni voce conta, perché negli ultimi sondaggi il Likud, partito storico della destra israeliana, è tallonato dalla coalizione centrista Kahol Lavan, il cui principale obiettivo è detronizzarlo.

Il partito che vincerà le elezioni, fosse anche per un voto, avrà il compito di provare a formare una maggioranza di governo. È accaduto dopo le elezioni dello scorso aprile, che avevano concesso un leggero vantaggio a Netanyahu, ma in quell’occasione la magia del primo ministro non aveva funzionato. Piuttosto che concedere una possibilità al suo rivale Benny Gantz, Netanyahu ha preferito sciogliere le camere e indire nuove elezioni.

Netanyahu è lo stesso di sempre, ovvero un uomo che prima di ogni scrutinio sceglie la via della polarizzazione e della radicalizzazione, sfoggiando una postura da leader navigato e capace di affrontare Hamas, Hezbollah e l’Iran. Ogni volta che può, il primo ministro si vanta del suo rapporto con Trump, estremamente popolare in Israele, e anche di quello con Putin, nella speranza di conquistare gli elettori russofoni. La promessa dell’annessione è l’ultima trovata.

I suoi avversari non sono i pacifisti, di cui non avrebbe alcuna difficoltà a fare un sol boccone. I fondatori di Kahol Lavan sono ex capi di stato maggiore che moltiplicano le critiche nei confronti di un primo ministro accerchiato dalla giustizia per reati etici.

Come già accaduto in passato, le elezioni in Israele si stanno trasformando in un referendum su Netanyahu. Gli elettori dovranno semplicemente decidere tra “stop” e “ancora”, rispetto a lui ma anche, ormai, al suo progetto di annessione ad alto rischio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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