11 settembre 2020 11:31

Il 10 settembre Michael Howard, ex presidente del Partito conservatore britannico, ha preso la parola alla camera dei lord di Londra rivolgendosi al governo: “Come possiamo rimproverare alla Russia, alla Cina o all’Iran di non rispettare le regole internazionali quando noi per primi manifestiamo un disprezzo per i nostri obblighi legati a un trattato?”.

L’affondo da parte di un esponente dello stesso partito del primo ministro Boris Johnson mostra lo stato di estrema confusione in cui, per l’ennesima volta, i meandri della Brexit hanno fatto precipitare il Regno Unito, ma anche i suoi partner.

Nella giornata del 10 settembre si è arrivati a un punto ritenuto irraggiungibile. La Commissione europea, infatti, ha minacciato il Regno Unito di avviare una procedura giudiziaria e imporre sanzioni nel caso in cui il governo di sua maestà continuasse a rinnegare accordi già firmati. È una situazione mai vista, in un contesto dove i colpi di scena non sono certo mancati.

I rapporti futuri
Il Regno Unito è uscito dall’Unione europea il 31 gennaio 2020. Qualcuno penserà che a quel punto la Brexit sia diventata realtà, ma non è così. Il Trattato stipulato tra Londra e i 27 stati rimanenti nell’Ue ha permesso una prima tappa, ma dovrà essere completato entro la fine dell’anno da un accordo molto più vasto che definirà il quadro dei rapporti futuri.

Il negoziato per la creazione di questo testo appare bloccato e apre la prospettiva di un’uscita senza accordo alla fine dell’anno, il famoso “no deal” dalle conseguenze enormi per gli scambi economici. Come se non bastasse, e questa è una novità, Londra vuole ridiscutere alcune clausole dell’accordo firmato nel 2019. A far scattare lo scontro è un progetto di legge che modificherebbe unilateralmente il Trattato.

Al centro del conflitto, ancora una volta, ci sono l’Irlanda del Nord e la libera circolazione tra il nord e il sud dell’isola

Il 10 settembre il vicepresidente della Commissione europea si trovava a Londra per una riunione d’urgenza, da lui stesso convocata, con il governo britannico. Il fallimento dell’incontro ha innescato la minaccia di sanzioni. Al governo britannico sono bastate due ore per rifiutare le proposte del vicepresidente.

Al centro del conflitto, ancora una volta, ci sono l’Irlanda del Nord e la libera circolazione tra il nord e il sud dell’isola, una condizione fondamentale dell’accordo.

È possibile che si tratti di un grande bluff da parte di Boris Johnson? Già qualche giorno fa il primo ministro aveva fatto trapelare la notizia che il negoziatore europeo Michel Barnier fosse stato esautorato, cosa che l’interessato ha smentito ai microfoni di France Inter. Ora Johnson ha deciso di lanciare una bomba politica sul trattato.

L’unica risposta possibile è quella dei 27, ovvero un’unità capace di resistere a tutte le prove laddove Londra cerca di seminare zizzania, con la certezza che un fallimento del negoziato danneggerebbe tutti, ma Londra più degli altri. Se ai vertici del governo britannico resta un po’ di buon senso, il bluff sarà immediatamente accantonato e riprenderà una trattativa seria. Al momento, però, non è affatto scontato che le cose vadano in questa direzione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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