08 dicembre 2020 10:31

Qualcuno potrebbe pensare che la politica interna di un paese dell’Unione europea non abbia alcun impatto sugli altri. Ma la realtà è ben diversa, come dimostra la crisi attuale con l’Ungheria e la Polonia, che bloccano l’adozione del piano di rilancio dei 27. È per questo che è importante comprendere le evoluzioni dei nostri partner, anche se di fatto non esiste uno spazio politico unico in Europa.

La Romania vive da anni una profonda trasformazione, e le elezioni legislative del 7 dicembre indicano che il processo non si è ancora concluso. Nelle intenzioni del primo ministro uscente Ludovic Orban (nessuna parentela con il suo omologo ungherese Viktor) il voto avrebbe dovuto sancire un vincitore tra una sinistra conservatrice e indebolita dagli scandali di corruzione, una formazione modernizzatrice troppo ansiosa di affermarsi e la destra liberale incarnata da Orban e indicata come favorita dai sondaggi.

Il primo ministro, alla fine, ha perso la scommessa. Lunedì sera Orban ha rassegnato le dimissioni, anche se il suo partito dovrebbe restare al potere all’interno di una coalizione che si annuncia poco solida. Dalle elezioni sono emerse due sorprese: prima di tutto il fatto che il Partito socialdemocratico, che si pensava usurato da un lungo monopolio sul potere e da un affarismo ormai assodato, si sia piazzato al primo posto con il 30 per cento dei voti. I socialdemocratici, a quanto pare, continuano a controllare le campagne e i piccoli centri conservatori.

Partiti vecchi e nuovi
L’altra sorpresa, una novità assoluta nella Romania post-comunista, è l’avanzata di un partito di estrema destra, l’Alleanza per l’unità dei romeni (Aur), creato di recente e vicino alla chiesa ortodossa. Con circa il 9 per cento dei voti, l’Aur farà il suo ingresso in parlamento. È la fine di un’eccezione romena, ma non è detto che il fenomeno sia destinato a durare.
Restano i due partiti liberali, condannati ad allearsi per governare: il Pnl di centrodestra e l’Usr-Plus, giovane formazione che al parlamento europeo è legata al gruppo Renew di cui fa parte anche il partito di Emmanuel Macron, La République en Marche. Le rispettive percentuali permettono alle due formazioni di ottenere una maggioranza, anche se inferiore alle attese.

Il prossimo governo dovrà dare al paese una forma politicamente moderna e compatibile con il progetto europeo.

Il prossimo governo dovrà dare al paese una forma politicamente moderna e compatibile con il progetto europeo. Il lungo trascorso al potere dei socialdemocratici, che in realtà non sono altro che eredi di Ceausescu, ha lasciato un paese senza infrastrutture degne di questo nome, nonostante gli abbondanti aiuti finanziari dell’Europa. Oggi la Romania, come molti altri paesi, appare spaccata tra le grandi città, che aspirano a una “normalità” europea e i cui giovani viaggiano e studiano ai quattro angoli dell’Europa, e una popolazione rurale che vive in piccoli villaggi spopolati a causa dell’emigrazione dei giovani verso un’Europa occidentale dove i salari sono più attraenti. Da un lato la speranza, dall’altra l’amarezza. La spaccatura si è riproposta nelle urne.

La verità è che sul lungo periodo l’Europa potrà avanzare soltanto quando un paese come la Romania riuscirà a superare le proprie contraddizioni. Il piano di rilancio (recovery fund) dell’Unione europea dovrebbe portare nelle casse di Bucarest trenta miliardi di euro. Se questo denaro non porterà benefici al paese e ai suoi abitanti, come già accaduto in passato, gli elettori ne terranno conto alle prossime elezioni. È così che le questioni comunitarie possono influire sulla politica interna di un paese della periferia europea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it