14 luglio 2021 10:25

Il comunicato pubblicato il 13 luglio dall’ambasciata di Francia a Kabul non contiene ambiguità su come andranno le cose. Il 17 luglio partirà un aereo, solo uno, per trasferire la comunità francese dall’Afghanistan. Il motivo, precisa il messaggio, è “l’evoluzione della situazione di sicurezza nel paese, tenuto conto delle prospettive a breve termine”. Sarebbe bello credere che il comunicato sia rivolto anche agli ultimi interpreti afgani dell’esercito francese, su cui incombe una minaccia.

La partenza – la Francia non è l’unica a trasferire i suoi cittadini – dimostra che sono in pochi a credere che l’esercito afgano reggerà l’urto dei taliban quando gli ultimi soldati statunitensi saranno partiti. I combattenti islamisti sono passati all’offensiva e rivendicano il controllo dell’85 per cento del territorio.

L’esercito afgano si è arreso più volte senza combattere, e anche quando ha resistito ha incassato sconfitte durissime. Il 13 luglio la Cnn ha diffuso immagini terribili girate il mese scorso da un abitante: soldati d’élite afgani si arrendono una volta terminate le munizioni, e vengono spietatamente abbattuti dai taliban. Si tratta chiaramente di un crimine di guerra, ma i taliban non seguono le leggi internazionali.

La settimana scorsa Joe Biden, che con freddezza ha preso la decisione di ritirare le truppe statunitensi, ha dichiarato che non crede alla possibilità di una caduta del regime afgano, promettendo che gli Stati Uniti continueranno a sostenere l’esercito di Kabul. Ma questa sicurezza non è condivisa dai servizi segreti americani, che prevedono una vittoria dei taliban a breve termine.

In questa “prevedibile sconfitta”, per riprendere il titolo di un libro del ricercatore francese Gilles Dorronsoro, ci sono molti simboli rivelatori della nostra epoca.

Innanzitutto si tratta dell’ennesimo fallimento di un intervento militare occidentale, dopo quello degli statunitensi in Iraq e dopo l’azione di Francia e Regno Unito in Libia nel 2011, che ha aperto le porte dell’inferno. La riorganizzazione annunciata della presenza francese in Sahel evidenzia la stessa difficoltà nel cambiare la situazione soltanto attraverso mezzi militari, a prescindere dalla loro efficacia. L’era degli interventi lunghi e molto politici è destinata a concludersi.

Il paradosso della debacle afgana è che tutti si preoccupano dell’avanzata dei taliban: russi, cinesi, iraniani, turchi e naturalmente gli occidentali.

Eppure tutti questi paesi, in conflitto su altri temi, si sono rivelati incapaci di trovare un’intesa su una transizione ordinata che avrebbe potuto difendere gli interessi della popolazione afgana, a cominciare dalle donne a cui era stato promesso molto. Il fallimento di quella che non possiamo più chiamare “comunità internazionale” la dice lunga sul peso delle rivalità anche quando potrebbe esistere un interesse comune.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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