18 novembre 2021 10:05

New Delhi, capitale dell’India, è soffocata dallo smog, con un tasso di polveri sottili nell’aria che ha sfondato la soglia di pericolosità fissata dall’Oms. Il governo ha preso misure drastiche, chiudendo i cantieri e le scuole, riducendo la circolazione e ristabilendo lo smart working. Ma il provvedimento che attira l’attenzione più di ogni altro è la chiusura di sei delle undici centrali a carbone della regione.

Alla chiusura della conferenza sulla crisi climatica a Glasgow, tra il 14 e il 15 novembre, l’India ha sfruttato il suo peso per smorzare la dichiarazione finale, facendo sostituire “l’abbandono” annunciato del carbone con la semplice prospettiva di una “riduzione” del suo uso. Come vi ricorderete, questo aveva provocato le lacrime del presidente della seduta, lasciando esterrefatti molti osservatori.

Quattro giorni dopo, come una rivincita della natura, la popolazione di Delhi è stata colpita dalle conseguenze dell’uso del carbone, e il governo è stato costretto ad agire. Sono crisi come questa che ci ricordano fino a che punto il problema climatico abbia già un impatto sulle nostre vite, e ci aiutano a fare passi avanti.

Oggi l’India vive ciò che la Cina ha affrontato alcuni anni fa, quando la capitale Pechino era stata coperta da una cappa di smog e gli abitanti controllavano ogni giorno il tasso di particelle sottili nell’aria prima di uscire di casa.

La crisi era stata battezzata con il nome di airpocalypse, che riassumeva bene la situazione. Una giovane giornalista cinese, Chai Jing, aveva realizzato autonomamente un documentario di tre ore sull’inquinamento in Cina, visualizzato 300 milioni di volte online prima di essere censurato. Nelle grandi città il tema era diventato politico.

Oggi nove delle dieci città più inquinate del mondo si trovano in India. Dieci anni fa erano cinesi

Anche all’interno delle dittature capita che il governo ascolti la piazza, e così nel 2018 Pechino ha preso decisioni radicali, preferendo privare provvisoriamente della corrente il nordest del paese, la regione più fredda, pur di farle vivere un inverno senza smog. In una sola stagione l’inquinamento a Pechino si è quasi dimezzato, e la città ha ritrovato il suo cielo azzurro. D’altronde bisognava neutralizzare l’airpocalypse.

La Cina resta il principale paese inquinante del mondo e continua a utilizzare il carbone. Tuttavia, come scrive l’autrice francese Nathalie Bastianelli nel suo libro Quand la Chine s’éveille verte (Quando la Cina si risveglia verde), “la Cina è intrisa di contraddizioni. È il paese che emette la maggiore quantità di gas serra ma anche quello che investe di più nelle energie a basse emissioni”.

Industrializzata più rapidamente rispetto all’India, soprattutto grazie alla delocalizzazione delle industrie inquinanti dei nostri paesi occidentali, la Cina ha fissato come obiettivo quello di diventare il leader mondiale delle tecnologie verdi. Pechino è capace di cambiare in fretta e soprattutto di trovare nuove forme di profitto.

L’India oggi è alle prese con la stessa scelta, con meno volontarismo e meno efficacia decisionale rispetto all’autoritario vicino cinese. Ma dopo il passo falso di Glasgow non può avere più dubbi sul fatto che la popolazione sia arrivata allo stremo. Oggi nove delle dieci città più inquinate del mondo si trovano in India. Dieci anni fa erano cinesi. È arrivato il momento che anche l’India dica rapidamente addio al carbone.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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