01 giugno 2022 09:57

Dall’inizio della guerra in Ucraina, quasi cento giorni fa, gli Stati Uniti hanno dato l’impressione di essere passati da un’assoluta prudenza a un’escalation nel sostegno militare garantito all’esercito ucraino, al punto tale che è emerso un dibattito tra alleati della Nato sugli obiettivi di guerra di Washington.

Come ricorderete, prima dell’invasione russa Joe Biden sembrava ossessionato dalla paura di scatenare la terza guerra mondiale. Questo ritegno sembrava essere svanito con l’invio di armi sempre più sofisticate e il voto recente a favore di un finanziamento da 40 miliardi di dollari per l’Ucraina, in parte in armamenti. È stato un balzo enorme nel coinvolgimento statunitense, evidentemente.

A quel punto era lecito chiedersi quale fosse il limite: il presidente degli Stati Uniti ha appena fornito la risposta. Biden, infatti, ha fatto sapere che non consegnerà all’Ucraina sistemi di lanciarazzi multipli a lunga gittata, cioè 250 chilometri, in grado di colpire il territorio della Russia. L’ha detto chiaramente in un testo pubblicato il 31 maggio dal New York Times. Consegneranno invece armi con una gittata di 80 chilometri. È un segnale inviato a Putin nella gestione puntigliosa della tensione crescente tra due potenze dotate di armi nucleari.

Grammatica della conflittualità
Statunitensi e sovietici ieri, russi oggi, sanno amministrare la loro tensione, nonostante le apparenze. Questo segnale sulle armi contribuisce alla gestione della tensione in un momento in cui la Russia moltiplica le dichiarazioni in merito a una “guerra totale” degli occidentali.

Nel momento più difficile della guerra fredda, durante la crisi dei missili a Cuba del 1962, i due imperi erano stati sull’orlo dello scontro nucleare, ma negli anni successivi hanno imparato a non spingere troppo in là i propri antagonismi. Esiste una “grammatica” della conflittualità tra Washington e Mosca che non è ancora scomparsa. È questa la grande differenza con i rapporti sino-americani, dove queste regole non esistono

Zelenzkyj sa bene di dipendere dalle decisioni degli alleati

Rifiutandosi di consegnare le armi che permetterebbero di colpire il territorio russo, Washington si riposiziona in un’ottica difensiva: aiutiamo l’Ucraina a respingere l’invasione, ma niente di più. Si tratta di un passo indietro rispetto alla dichiarazione del capo del Pentagono, il generale Lloyd Austin, che aveva parlato della volontà di “indebolire la Russia”.

Il presidente ucraino Zelenskyj interpreta il suo ruolo quando chiede agli occidentali, quasi ogni giorno, di consegnare altre armi al suo esercito. Ma Zelenzkyj sa bene di dipendere dalle decisioni degli alleati. Quando gli occidentali si sono rifiutati di creare una zona di esclusione aerea sui cieli dell’Ucraina, all’inizio del conflitto, Zelenskyj non ha avuto altra scelta se non quella di accettarne la decisione.

Oggi la sopravvivenza del presidente ucraino dipende dal flusso di armi e munizioni che raggiungono il fronte. Nel Donbass l’esercito russo è vicino alle proprie retrovie e ha rinforzato le sue linee logistiche. Questo permette a Mosca di sottoporre le città ucraine a un bombardamento infernale che produce i suoi frutti.

Il 31 maggio la rivista tedesca Der Spiegel ha riportato che secondo i servizi di informazione occidentali l’Ucraina non potrà respingere i russi fino a riportarli sulle posizioni precedenti al 24 febbraio. Il trionfalismo, dunque, non è più giustificato. E se la guerra dovrà proseguire, come prevedono tutte le analisi, allora è naturale che gli Stati Uniti debbano gestire con attenzione il degrado dei loro rapporti con la Russia. Evidentemente c’è un limite chiaro all’aumento della tensione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it