10 novembre 2022 09:57

Per giorni gli ucraini hanno temuto che si trattasse di una trappola, insospettiti da alcuni segnali: la bandiera russa che non sventolava più sulla sede del governo locale, i video che mostravano il ripiegamento delle truppe, i saccheggi di televisori e lavatrici, i civili fatti andare via con la forza… Davvero i russi stavano lasciando la città di Cherson? O cercavano solo di attirare le truppe ucraine per poi circondarle?

Il 9 novembre l’ordine è arrivato dall’alto: il ministro della difesa russo Sergej Šojgu ha ufficialmente ordinato l’evacuazione di Cherson, con il ripiegamento delle truppe sulla riva orientale del fiume Dnepr. Per impedire agli ucraini di inseguirli, i russi distruggono i ponti sugli affluenti del Dnepr.

Gli ucraini, in ogni caso, continuano a non fidarsi. Dopo tutto conoscono i trucchi della guerra. Per mesi a Kiev hanno ripetuto che avrebbero attaccato Cherson, e invece è nel nord che hanno preso i russi di sorpresa a fine agosto, segnando una svolta nel conflitto. Se sarà confermata, la caduta di Cherson costituirà un altro momento decisivo, con una sconfitta pesantissima per Vladimir Putin.

fonti: financial times, liveuamap

La posta in gioco è sia simbolica sia strategica. Simbolica perché Cherson fa parte di uno dei quattro territori ucraini che a settembre hanno votato per l’adesione alla federazione russa. Perdere Cherson meno di due mesi dopo aver giurato che sarebbe stata “eternamente russa” significa una catastrofe sul piano militare.

Cherson, una grande città che prima della guerra era popolata da 280mila persone, è stata il primo capoluogo regionale conquistato durante l’invasione. Tra l’altro la città è una tappa nel cammino verso il porto di Odessa, sul mar Nero, e verso la Transnistria, provincia secessionista della Moldova dove sono dislocate truppe russe.

Le perdite tra i nuovi arruolati dopo la mobilitazione dei riservisti sono state considerevoli

È il sogno della Novorossia, un nome che risale alla fine del diciottesimo secolo. Per sottolineare il collegamento storico Putin avrebbe inviato un commando con la missione di esumare i resti dell’amante dell’imperatrice Caterina, il principe Potëmkin, la cui tomba si trova a Cherson. Fu proprio Potëmkin a convincere l’imperatrice ad annettere la Crimea, nel 1783. In questa vicenda ritroviamo l’ossessione di Putin per la sua narrativa storica, con cui ha giustificato la guerra in corso.

Cherson è la conclusione di otto mesi di disastri di un esercito russo che non ha mai smesso di sorprendere in negativo, fino alla mobilitazione di più di 300mila riservisti e l’invio di decine di migliaia di soldati per tappare i buchi al fronte, senza preparazione e senza equipaggiamento adeguato. Le perdite tra i nuovi arruolati sono state considerevoli.

Questo tracollo spiega la brutalità dell’azione russa sulle città, che oggi priva quattro milioni di ucraini della corrente elettrica e dell’acqua corrente. Per Putin è l’unico modo per dimostrare di avere ancora in mano l’iniziativa, quando in realtà l’ha persa sul campo dopo la fine dell’estate.

Ma la guerra non è finita. Putin può sperare di ricostruire il suo esercito entro la prossima primavera e non ha ancora detto l’ultima parola. Tuttavia la decisione di evacuare Cherson non può nascondere l’umiliazione di un fallimento cocente per il padrone unico del Cremlino. Il problema è che questa dinamica lo rende ancora più pericoloso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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