13 gennaio 2023 10:17

C’è stato un tempo in cui le grandi potenze rivaleggiavano per conquistare ampie aree del continente africano. Oggi, invece, le potenze si sfidano per sedurre, convincere e a volte acquistare il sostegno di paesi che non sono mai stati così corteggiati.

I 55 stati africani hanno una grande attrattiva globale, a prescindere dal criterio di valutazione: economico, politico, demografico, di sicurezza. Nessuno è indifferente a questo gioco. Negli ultimi due decenni la Cina è diventata il primo partner del continente, soppiantando le vecchie potenze coloniali. La Russia, dal canto suo, ritrova vecchie influenze sfruttando l’appetibilità dei mercenari del gruppo Wagner. Gli americani sono tornati in ballo, mentre Turchia, India, Giappone e Brasile coltivano grandi ambizioni.

La guerra in Ucraina esaspera questa corsa all’Africa a causa della reticenza di molti paesi del continente a condannare l’invasione russa. Ormai è chiaro che gli africani non intendono essere considerati come alleati acquisiti dall’occidente e soprattutto che vivono male il sostegno massiccio accordato all’Ucraina laddove i loro problemi sono spesso ignorati.

Un discorso astuto
In settimana il nuovo ministro degli esteri cinese Qin Gang ha effettuato la sua prima visita all’estero, scegliendo l’Africa. Ad Addis Abeba, sede dell’Unione africana, Qin ha portato un messaggio che lusinga i leader del continente: “Il nostro mondo sta cambiando in modo mai visto. La crescita collettiva dei paesi in via di sviluppo è irreversibile”, ha dichiarato il ministro. “L’avvento di un secolo asiatico e di un secolo africano non è più un sogno lontano. Dobbiamo incrementare la presenza e la voce dei paesi in via di sviluppo all’interno dell’Onu, soprattutto di quelli dell’Africa”.

Nelle dichiarazioni del ministro cinese riecheggia un discorso simile da poco ascoltato a Washington

Il discorso di Qin è astuto, perché presenta la Cina, seconda economia mondiale e spesso criticata per il carattere predatorio delle sue iniziative e per l’indebitamento che generano, come un paese in via di sviluppo, al pari di quelli del continente africano. Un “noi” rivolto ai paesi del sud che appare un po’ forzato.

In ogni caso nelle dichiarazioni del ministro riecheggia un discorso simile ascoltato il mese scorso a Washington. “Abbiamo bisogno di un maggior numero di voci africane nei dialoghi internazionali”, avevano annunciato i rappresentanti degli Stati Uniti in occasione di un vertice con i paesi africani organizzato da Joe Biden. In quell’occasione la Cina era stata citata raramente, ma di sicuro era ben presente nella mente dei partecipanti.

In questo “grande gioco” l’Europa sconta l’ostacolo del suo passato coloniale e della sua passività, ma anche quello di essersi allontanata dall’Africa negli ultimi decenni, per poi risvegliarsi in ritardo. La Francia, in particolare, deve affrontare un clima ostile alimentato dai giovani dei paesi francofoni, come ha potuto verificare il segretario di stato francese allo sviluppo Chrysoula Zacharopoulou questa settimana a Ouagadougou.

L’anno scorso, durante la presidenza francese, a Bruxelles era stato organizzato un vertice tra l’Unione europea e l’Africa, pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina. I 27 hanno presentato un fondo, il Global gateway, per fare concorrenza alla nuova via della seta cinese, ma l’Unione oggi non ha né la flessibilità né i mezzi di Pechino.

Il ballo dei pretendenti in Africa dovrebbe spingere l’Europa a reinventare i suoi rapporti con il continente a cui è più vicina e a cui è indissolubilmente legata. Ma c’è ancora molta strada da fare prima che l’Africa consideri davvero la Francia e l’Europa come alleati naturali. Il problema è che il tempo stringe.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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