30 maggio 2023 10:12

Per il momento si tratta solo di qualche scaramuccia, seppur con diverse vittime. Ma il conflitto che incombe all’orizzonte tra l’Afghanistan e l’Iran, due paesi vicini le cui relazioni sono piuttosto difficili, è ben più grave. Ognuno dei due governi punta il dito contro l’altro e ognuno ha inviato i rinforzi militari verso la frontiera di 900 chilometri che separa i due paesi. Il rischio di escalation è enorme.

Come accade in tutti i conflitti, anche in questo caso esistono una causa immediata e ragioni più profonde. La causa immediata è l’acqua. Teheran accusa Kabul di aver violato un accordo del 1973 che regola il flusso del fiume Helmand, una fonte cruciale di acqua che scorre per oltre mille chilometri.

Secondo l’Iran il regime che governa l’Afghanistan, il cui territorio si trova a monte, starebbe costruendo nuove dighe idroelettriche lungo il corso dell’Helmand. Questi cambiamenti influirebbero sulla portata a valle, in Iran, in una regione che già subisce gli effetti della siccità.

Scisma religioso
L’Afghanistan nega e parla di motivazioni legate al clima. Si tratta di un problema sempre più ricorrente nel mondo: l’acqua si trasforma in una risorsa strategica per cui combattere.

Ma questa non è l’unica spiegazione, perché la regione presenta un’incredibile complessità religiosa e umana. L’Afghanistan e l’Iran sono due regimi islamici, ma la rivoluzione iraniana poggia sulla maggioranza sciita del paese, mentre i taliban, che hanno riconquistato il controllo di Kabul, sono sunniti e in maggioranza di etnia pashtun.

L’equilibrio cercato da Teheran dopo la vittoria dei taliban sembra saltato

Lo scisma religioso non spiega tutto, ma non può essere ignorato. I video di propaganda dei taliban, che da giorni moltiplicano gli attacchi contro il regime iraniano, definiscono i leader sciiti “infedeli” e minacciano di prendere d’assalto Teheran. In passato i taliban sono stati regolarmente accusati di aggredire le minoranze in Afghanistan, in particolare la popolazione hazara che è in maggioranza sciita.

Dopo la vittoria dei taliban del 2021, l’Iran ha reagito con prudenza, cercando di trovare un equilibrio tra la difesa degli sciiti afgani e la necessità di stabilizzare i rapporti con i nuovi padroni di Kabul. Questo equilibrio, ora, sembra essere saltato.

La retorica guerrafondaia non si tradurrà necessariamente in uno scontro armato, anche perché i due paesi hanno i loro problemi interni da risolvere: i taliban non sono ancora riconosciuti dalla comunità internazionale e devono trovare il modo di governare un paese allo stremo, mentre l’Iran è sottoposto a dure sanzioni e deve contenere il movimento creato dalle donne che il regime non riesce a soffocare nonostante una feroce repressione.

Resta il fatto che l’Iran e l’Afghanistan condividono una frontiera storicamente teatro di violenze. In Francia è da poco uscito La frontière des oubliés (La frontiera dei dimenticati) traduzione del romanzo di Aliyeh Ataei, scrittrice di origine afgana ma di nazionalità iraniana nata al confine tra i due paesi. I racconti che lo compongono si basano sulla sua storia familiare divisa tra due stati e sugli uomini e le donne che scappano da una guerra per ritrovarsi in un’altra, in un ciclo infinito. In occasione di un dibattito organizzato al festival Étonnants voyageurs, Ataei ha pronunciato parole terribili: “A forza di vivere in guerra, il gene della guerra penetra dentro di noi”.

Chi può credere che non saranno le armi a risolvere il problema dell’acqua? O che i popoli coinvolti riusciranno davvero a trovare la pace? Il problema è che niente e nessuno sembra avere presa su questi due regimi ammantati di certezze religiose.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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