È una dichiarazione sorprendente che può lasciare perplessi. Il 24 novembre Tsai Ing-wen, ex presidente di Taiwan, ha chiesto agli americani di dare la precedenza alle consegne di armi all’Ucraina piuttosto che a quelle verso il suo paese, nonostante quest’ultimo sia minacciato dalla Cina. Secondo la tesi di Tsai la resistenza dell’Ucraina serve anche a dissuadere la Cina dalle sue mire verso Taiwan, mentre una disfatta di Kiev potrebbe incoraggiare Pechino a passare all’azione.
Il ragionamento non è nuovo. Spesso si è detto che la ritirata degli americani da Kabul, il 15 agosto 2021, potrebbe aver giocato un ruolo nella decisone di Putin di invadere l’Ucraina, sei mesi più tardi.
I taiwanesi osservano attentamente la guerra in Ucraina fin dall’inizio, sul piano sia militare sia politico. Ma è la prima volta che una personalità così in vista – Tsai, che in quanto ex presidente può esprimersi liberalmente, al contrario del suo successore – parla chiaramente delle conseguenze per l’Asia di un eventuale abbandono dell’Ucraina da parte degli Stati Uniti, alludendo chiaramente alla prossima amministrazione Trump.
Tsai ha risposto a una dichiarazione del comandante americano per la zona indo-pacifica, l’ammiraglio Samuel Paparo, secondo cui le consegne di armi all’Ucraina rischiano di mettere in pericolo la posizione degli Stati Uniti rispetto a un possibile conflitto in Asia. Per Tsai la migliore difesa davanti alla Cina (perché è di questo che si tratta) è aiutare l’Ucraina.
L’ex presidente si è rivolta ai repubblicani che si apprestano a controllare la politica di Washington, consapevole del fatto che la causa di Taiwan gode di un sostegno bipartisan al congresso, ma anche che Trump ha una posizione ostile nei confronti dell’Ucraina e ambigua rispetto all’isola rivendicata da Pechino.
Tsai ha voluto far presente ai futuri padroni di Washington che in questi due punti caldi è in gioco la credibilità della deterrenza americana, e che gli Stati Uniti hanno molto da perdere se abbandoneranno Kiev alle ambizioni della Russia, partner di quella Cina che resta l’oggetto di tutte le ossessioni americane.
Non è l’unico esempio di collegamento tra i conflitti. Di recente un contingente nordcoreano è arrivato in Russia per rispondere all’incursione ucraina. A quanto pare, inoltre, nell’esercito russo sarebbero presenti anche effettivi yemeniti e nepalesi.
Il 24 novembre il Financial Times ha scritto che alcuni houthi yemeniti, alleati dell’Iran che conosciamo per i loro attacchi contro le navi commerciali nel Mar Rosso, sono stati reclutati da Mosca, attratti dalla prospettiva di un impiego. La loro presenza aiuterebbe Vladimir Putin a evitare una mobilitazione generale che in Russia sarebbe molto impopolare.
La Russia ha inoltre costruito sul proprio territorio due fabbriche di droni iraniani Shahed, che vengono usati a ripetizione per colpire l’Ucraina. Lo scorso fine settimana cinquecento lanci, in gran parte di Shahed, sono stati effettuati contro le città ucraine.
Questi collegamenti tra le principali zone di conflitto possono essere materiali, come nel caso dell’Iran e della Russia, o politici, come nel caso di Taiwan. In ogni caso mostrano che un calcolo sbagliato in un conflitto può avere ripercussioni in un altro continente. La futura amministrazione Trump è avvisata.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it