Israele ha autorizzato una ripresa limitata della consegna degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, bloccati da settimane. Ma per evitare qualsiasi malinteso, il 19 maggio il primo ministro Benjamin Netanyahu ha pubblicato un video rivolto ai suoi concittadini, chiarendo che gli aiuti sono stati autorizzati solo per ragioni diplomatiche e per mantenere il sostegno internazionale.

Se pensate che stia esagerando, eccovi la citazione delle parole di Netanyahu: “I nostri migliori amici nel mondo, persone del cui sostegno a Israele sono certo, ci hanno detto che non potrebbero più sostenerci se le immagini di una carestia circolassero liberamente. Dobbiamo evitarla per motivi pratici e diplomatici. Senza il sostegno internazionale non potremmo proseguire la nostra missione fino alla vittoria”.

Poi ha aggiunto: “Siamo impegnati in combattimenti intensi e su vasta scala a Gaza, e stiamo avanzando. Abbiamo intenzione di assumere il controllo di tutto il territorio”. Il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha rincarato la dose: “Israele distruggerà tutto ciò che resta della Striscia di Gaza”. Difficile essere più chiari.

L’unico obiettivo di queste dichiarazioni è quello di mantenere l’unità della coalizione di estrema destra in Israele. Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza nazionale, era contrario alla ripresa degli aiuti e minaccia costantemente di far saltare la coalizione. Per questo motivo Netanyahu ha dichiarato che la concessione avviene solo per scopi diplomatici e per proseguire la guerra a Gaza.

Questa determinazione del governo israeliano poggia anche sulla compiacenza imbarazzata degli alleati. Il 19 maggio un comunicato diffuso da 23 paesi, tra cui alcuni europei, il Giappone, l’Australia e il Canada, ha criticato duramente le modalità di questa ripresa degli aiuti. Israele ignora le regole umanitarie internazionali e boicotta l’Onu e le ong a beneficio di un nuovo sistema di distribuzione controllato interamente da Tel Aviv.

Tuttavia il comunicato, tra i cui firmatari ci sono paesi di primo piano, non avrà effetti concreti. Se Netanyahu si chiamasse Vladimir Putin si starebbero già preparando delle sanzioni internazionali, ma invece nulla si muove. Ci sono solo comunicati senza futuro, anche se in privato gli occidentali sono inorriditi da ciò che succede a Gaza.

La chiave di tutto è in mano a Donald Trump? In parte è così, ed è probabile che l’amministrazione statunitense abbia avuto un ruolo nella decisione di riprendere la distribuzione degli aiuti. Ma questo non solleva dalle loro responsabilità gli europei, eternamente prigionieri delle loro contraddizioni.

La natura del movimento islamista Hamas e il fatto che alcuni ostaggi siano ancora intrappolati a Gaza (di cui venti ancora in vita) pesano molto sulle decisioni degli europei, così come la storia degli ebrei nel continente.

Netanyahu approfitta di questo senso di colpa e di questi dubbi per portare avanti il suo piano a Gaza, impedendo qualsiasi soluzione politica basata sui due popoli due stati. Oggi il primo ministro israeliano fa pressione su Parigi per bloccare il possibile riconoscimento dello stato palestinese pianificato da Emmanuel Macron per il mese prossimo.

Tutto questo impallidisce davanti a una tragedia che le parole non possono più descrivere. Questa impotenza diplomatica rischia di avere un effetto duraturo sulla scena internazionale, mentre a Gaza si continua a morire.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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