I tempi in cui si parlava di un cessate il fuoco o di un processo di pace sembrano ormai lontani. Donald Trump ha subìto uno smacco, Vladimir Putin ha fatto finta di voler partecipare e Volodymyr Zelenskyj non ci ha mai davvero creduto. Poi la guerra si è ripresa la scena.

Ora ognuno dei due schieramenti cerca di dimostrare di poter far pagare un prezzo alto all’altro. Nelle prime ore del 9 giugno la Russia ha inviato circa cinquecento droni e missili contro l’Ucraina, nel più massiccio bombardamento dall’inizio della guerra, ormai oltre tre anni fa. L’attività è stata talmente intensa, anche nell’est dell’Ucraina solitamente poco colpito, che l’aviazione polacca è stata messa in stato d’allerta.

L’Ucraina, dal canto suo, ha condotto una nuova operazione spettacolare in territorio russo, con un’azione a più di cinquecento chilometri dalle sue frontiere che ha distrutto almeno due aerei militari russi in una base dell’aeronautica. L’attacco arriva dopo la distruzione dei bombardieri strategici russi attraverso una serie di attacchi con i droni, avvenuto la settimana scorsa.

Queste operazioni non cambiano molto sul piano dei rapporti di forza, oltre a dimostrare che nessuno dei due contendenti sembra pronto a tirarsi indietro. Putin moltiplica i bombardamenti sulle città ucraine per intaccare il morale della popolazione civile e distruggere le infrastrutture vitali del paese nemico. Allo stesso tempo le sue truppe continuano a guadagnare terreno nel nordest dell’Ucraina, a prezzo però di perdite pesanti. In ogni caso l’esercito russo si rivela incapace di ottenere una vittoria decisiva, grazie alla determinazione degli ucraini.

La risposta di Kiev è su un altro campo, quello che padroneggia meglio, ovvero le operazioni destinate a provocare l’opinione pubblica russa. È questa la “forza dei deboli”, per riprendere la formula della studiosa francese Anna Colin Lebedev.

Colpendo due volte nell’arco di una settimana le basi aeree in territorio russo e distruggendo aerei che costano diversi milioni di dollari, gli ucraini hanno voluto umiliare Putin e far vedere ai suoi sostenitori che il re è nudo. Soprattutto considerando che la prima operazione, la settimana scorsa, ha distrutto bombardieri strategici capaci di trasportare armi nucleari.

Ma resta il fatto che né le avanzate russe né le operazioni di disturbo ucraine modificano la situazione in modo tale da alterare il corso della guerra. L’opzione diplomatica, all’atto pratico, non è mai realmente esistita al di fuori dell’accordo sullo scambio di prigionieri concluso all’inizio di giugno a Istanbul, in Turchia, e avvenuto infine ieri.

L’idea di una risoluzione pacifica è stata ventilata solo perché Trump ne aveva fatto una promessa durante la campagna elettorale, impegnandosi a risolvere il conflitto in 24 ore.

L’arroganza del presidente statunitense, però, non è stata seguita da un’adeguata pressione nei confronti di Putin, come dimostrano ampiamente le loro recenti conversazioni telefoniche.

Putin non ha rinunciato a nessuna delle sue pretese rispetto all’Ucraina, rendendo impossibile qualsiasi compromesso. Sostenuto dalla Cina, dalla Corea del Nord e dall’Iran, il presidente russo ritiene che il tempo sia dalla sua parte, mentre gli Stati Uniti tergiversano e gli europei fanno quello che possono, con evidenti limiti.

Agli ucraini, ormai, resta un’unica opzione: dimostrare ai russi che non possono vincere e che il prezzo da pagare per la continuazione della guerra sarà sempre più alto. Per riuscirci serviranno tempo, sangue e lacrime.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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