06 settembre 2018 17:23

Gentile bibliopatologo,
a ventisette anni ho alle spalle molte letture, più o meno impegnative, eppure, da buon nevrotico ossessivo, faccio fatica a godere di ciò che leggo. Se da ragazzo passavo ore a leggere, con la sensazione di immergermi in un mondo che, una volta terminato il libro, mi lasciava una sensazione di vuoto, adesso ho spesso l’impressione di “galleggiare” sui libri; come se, nell’immergermi fino in fondo nella lettura, avessi paura di perdermi. Questa castrazione, presente anche in altri aspetti, la sto affrontando in sedi opportune. Ma la sensazione di leggere tanto senza che mi rimanga attaccato nulla mi pesa. Come fare? Dovrei prendermi una pausa dalla lettura?

–Leopoldo L.

Caro Leopoldo,
il bibliopatologo è una bizzarra creatura mitologica con la testa di un letterato e il corpo di uno psichiatra, o viceversa. Come tutte le creature mitologiche, ha il piccolo inconveniente di non esistere; in compenso, esistono in natura i due nobili animali di cui si compone, ed è a loro che mi affido, e che ti affido. Hai il desiderio di immergerti e la paura di perderti, dunque galleggi: sono sintomi antichi.

“Il sentimento panico della natura si mostra come esperienza di una perdita: perdita del nome proprio, dissolvimento della singolarità nel respiro delle cose”, scrive il letterato, che in questo caso è Antonio Prete, in Prosodia della natura. Frammenti di una Fisica poetica. Se questa fusione tra l’io e il mondo si compie a fior d’acqua, sulle increspature scintillanti del linguaggio, come in D’Annunzio, non corri il rischio di perdere il tuo nome: “Il ‘corpo immemore’ di Glauco, nel Ditirambo II, pronuncia dal suo marino abissale esilio il nome e l’appartenenza: “Io fui Glauco, fui Glauco, quel d’Antédone’”. Ma non tutti i poeti hanno le doti di galleggiamento di D’Annunzio: “Laddove questa dominanza dell’estetico è infranta, il sentimento della physis porta, come nell’Infinito leopardiano, allo spaurimento e al naufragio”. Oltre che di Leopardi, di cui Prete è un grande studioso, è il caso di Hölderlin: per loro, la perdita del nome “dischiude l’esperienza dell’estremo, della poesia come estremo, metafisico e tragico insieme”. Gli approdi più comuni sono il silenzio, un’afasia stuporosa, al limite la retorica dell’ineffabile.

Ma veniamo allo psichiatra. In un libro ormai classico pubblicato nel 1959, L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale, Ronald D. Laing descrive un intricato stratagemma per vincere l’ansia, riportando le parole della paziente che lo aveva escogitato da ragazzina:

Avevo circa dodici anni, e per raggiungere il negozio di mio padre dovevo attraversare un grande parco. La lunga camminata mi faceva un po’ paura, specie quando cominciava a far buio, e per passare il tempo inventai un gioco. Lei sa che da bambini si contano le pietre o si salta da una pietra all’altra evitando le fessure: il mio gioco era una cosa di questo genere. Mi venne in mente che, se avessi guardato a lungo e intensamente il paesaggio, mi sarei confusa con esso fino a sparire, cioè il posto sarebbe rimasto vuoto e io non ci sarei più stata: come quando ci si porta a non saper più chi si è né dove ci si trova. Insomma si arriva a confondersi completamente con l’ambiente. Allora viene anche un po’ di spavento, perché si comincia a sentirsi così anche quando non si vuole. Io andavo avanti e sentivo che mi ero confusa con il paesaggio, allora mi spaventavo e mi chiamavo per nome tante volte, come per farmi tornare.

Se ci pensi, anche il gioco della lettura – specie la lettura dei romanzi – è “una cosa di questo genere”: si sprofonda in un paesaggio lontano ma oscuramente familiare fino “a non saper più chi si è né dove ci si trova”. A quanto pare, caro Leopoldo, da qualche tempo hai una grande paura di non riuscire più a trovare la via del ritorno da quel paese immaginario. Il letterato ti direbbe che temi, nella lettura, il dissolvimento panico; lo psichiatra, magari, parlerebbe semplicemente di panico.

Il bibliopatologo, non essendo né l’uno né l’altro, ma solo un mostro da zoologia fantastica, ti consiglia di goderti, per quanto puoi, le letture di galleggiamento – ci sono anche i saggi, dove il rischio di naufragio è più contenuto; e prevede che, quando avrai affrontato i tuoi timori anche negli altri aspetti della vita, tuffarti con tutto te stesso in un romanzo e tirarne fuori la testa fradicio e soddisfatto tornerà a essere un gioco da ragazzi.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

Dal 5 al 7 ottobre Guido Vitiello terrà un workshop sull’arte della recensione al festival di Internazionale a Ferrara.

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